Nota: Próximamente se publicará en español

Opus Dei e Massoneria

Carlo María, 22 de febrero de 2010

 

Premessa.

L’Opus Dei è una Massoneria? L’idea di ipotizzare una risposta esauriente a una simile domanda in un primo tempo mi è apparsa molto difficile, per non dire impossibile. Poi però mi sono documentato (con internet non è difficile), e ho scoperto alcune coincidenze sorprendenti.

Le ipotesi che si vanno a esprimere, nel rispetto della libertà religiosa di ciascuno, rappresentano peraltro solo una delle possibili letture, una riunione del tutto personale di ciò che è sparso, per così dire, in qualche aneddoto di vita vissuta, in documentazione raccolta qua e là, e nelle testimonianze edite degli “ex”, che hanno avuto esperienza diretta e presentano contenuti più forti di quello che se ne riporta.

Specialmente all’estero, hanno sollevato un grande dibattito pubblicazioni come: Maria del Carmen Tapia (che aveva un ruolo direttivo molto alto, direttamente a contatto col fondatore), Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei, trad. it. Baldini e Castoldi, Milano 1996. - V. Feltzmann, in P. Hertel, I segreti dell’Opus Dei. Documenti e retroscena, trad. it. Claudiana editrice, Torino 1997 - Ana Ananza Elìo, Diecinueve años de mi vida caminando en una mentira: Opus Dei (19 anni della mia vita camminando in una menzogna: Opus Dei), Grupo Editorial El Olivo, Ubeda 2004. In Italia le testimonianze pubblicate recentemente da Ferruccio Pinotti, Opus Dei segreta, BUR, Milano 2006 ed Emanuela Provera, Dentro l’Opus Dei, ed. Chiarelettere, Milano 2009 fanno venire i brividi. In internet nei siti www.opuslibros.org in Spagna e www.odan.org (Opus Dei Awareness Network) negli USA si può leggere una grande quantità di testimonianze e informazioni spaventose.

Questa possibile lettura non è rivolta contro la Chiesa cattolica, ma, per dirla con il card. Martini, è per una chiesa aperta,[1] cioè per una fede libera, o, per dirla con san Giovanni della Croce, formula un’ipotesi ricostruttiva in questa notte oscura in cui l’Amato nei travagli e nelle tribolazioni mette alla prova la fede della sua sposa,[2] effettuata da chi da studente universitario poco più che ventenne vi ebbe a che fare, ma a vent’anni di distanza, quando incomincia a calare la benda dagli occhi. Ciascuno quindi sia libero di pensarla diversamente, in senso positivo come negativo.

In quest’ottica, si tratterà di: 1. Regno di Dio – 2. Analogie – 3. Aspetti controversi: L’itinerario giuridico dell’Opus Dei – 4. Ignoranza volontaria – 5. Fanatismo religioso:      5.1. castità, 5.2. povertà, 5.3. obbedienza, 5.4. fede, 5.5. carità, 5.6. A.O.P., 5.7. studio, lavoro, ordine, allegria – 6. Ambizione sociale – 7. Conclusioni.

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1. Regno di Dio.

Opus Dei, oppure “Opus non Dei”? Ossia, opera di Dio oppure no? Per poter rispondere a una simile domanda occorrerebbe prima intendersi su cosa si debba qualificare o meno come Regno di Dio.

Non ci si offenda se ci si permette di rilevare che il Regno di Dio è stato definito in vari modi. Nell’Antico Testamento, Isaia profetizza che Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto (Is 25,6-8). Dunque si parla di “grasse vivande” e “vini eccellenti”, “cibi succulenti” e “vini raffinati”. Al contrario, nel Nuovo Testamento san Paolo dichiara che Il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda ma è giustizia pace e gioia nello Spirito Santo (Rm 14,17). Sembrerebbe così delusa l’aspettativa di “grasse vivande” e “vini eccellenti”.

Con un orientamento intermedio, tuttavia, nel Vangelo, a proposito del carattere trascendente del Regno di Dio, Gesù dice che Alla risurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo (Mt 22,30). Quindi non dice se ci saranno venti vergini in attesa di ciascuno dei giusti, ma che, se anche le venti vergini ci saranno, resteranno vergini. Durante l’ultima cena, dice anche che In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio (Mc 14,25). Quindi, così come nell’episodio delle Nozze di Cana (Gv 2,1-11), non dice se si tratterà di Valpolicella, Piemonte, Toscana, Bordeaux, Bourgogne, Alsazia o Champagne (o magari, giusto per anticipare il tema, un aragonese Ribera de Duero), ma dice che, comunque, si berrà “di nuovo” del “frutto della vite”, come aveva profetizzato Isaia. E’ più consolante. In un altro passo ancora Gesù, apparso ai suoi dopo essere risorto, dice: avete qualcosa da mangiare? E gli offrirono una porzione di pesce arrostito. Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro (Lc 24,41-43). Quindi si potrà riporre una speranza anche nella grigliata di pesce. Non saranno le grasse vivande di Isaia, ma non è poi male, è anche più dietetica.

Passiamo su un piano più astratto. Il rituale della solennità di Cristo Re nel messale romano definisce il Regno di Dio come regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. In un antico rituale massonico si parla invece di regno della libertà e della ragione, della giustizia e dell’amore. Entrambe queste definizioni, sia pure per strade diverse, tendono allo stesso obiettivo, che è la “giustizia” e l’”amore” nel mondo, anche se diverso ne è il fondamento: “verità e vita”, “santità e grazia” nel primo caso, “libertà” e “ragione” nel secondo. Vedremo fra poco come “verità” e “santità” appaiano interpretate nell’Opus Dei. Quello che interessa notare è che, allo stesso modo, anche fra Opus Dei e Massoneria si possono rilevare sorprendenti analogie, e nello stesso tempo radicali divergenze, tanto nei metodi quanto nei fini.

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2. Analogie.

Cominciamo dalle analogie. Analogia di fini. In tutto il mondo è nota l’immagine della piramide con il vertice illuminato, raffigurata anche sul dollaro americano. L’Opus Dei utilizza un versetto del Vangelo secondo Giovanni (di quelli poco commentati, che in Chiesa di solito non vengono letti), in cui Gesù dice: Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32). Il versetto successivo spiega: Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire (Gv 12,33). Il fondatore dell’Opus Dei invece (san Josemarìa Escrivà de Balaguer y Albàs, spagnolo aragonese) spiegava quel versetto nel senso che Gesù ricorda a tutti che “quando sarò elevato da terra”, quando mi collocherete al vertice di tutte le attività sulla terra, allora attrarrò tutto a me. Significa che scopo dell’Opus Dei è quello di collocare Cristo (o meglio, attenzione: la versione del cristianesimo di Escrivà), al vertice di ogni attività, ossia di avere propri “membri” al “vertice” di ogni professione, per attrarre poi tutti nella stessa direzione. Sia pure nella diversità della simbologia, vi è una qualche analogia con l’immagine della piramide dal vertice illuminato.

Analogia di metodi. Il testo base di Escrivà, contenente 999 punti di meditazione, in lingua italiana è intitolato Cammino (nell’originale spagnolo Camino, in inglese The way; per questo, probabilmente, nella traduzione in lingua italiana del Codice da Vinci di Dan Brown si parla della Via). Ebbene, al punto di meditazione n.833 di Cammino, nel capitolo intitolato tattica, si legge testualmente: Capi!... Virilizza la tua volontà perché Dio faccia di te un capo. Non vedi come agiscono le maledette società segrete? Non hanno mai conquistato le masse. - Nei loro antri formano alcuni uomini-demoni che si danno da fare e sobillano le masse rendendole pazze, per trascinarle dietro di sé nel precipizio di ogni disordine ... e all’inferno. - Essi portano una semenza maledetta. Se tu vuoi..., benedetta mille e mille volte, la parola di Dio, che non può venir meno. Se sei generoso ..., se corrispondi, con la tua santificazione personale, otterrai quella degli altri: il regno di Cristo. Il testo fa arrabbiare sia i cattolici, che non accettano di considerarsi una società segreta, che i massoni, per la concezione negativa della Massoneria. Ma se lo analizziamo con freddezza, l’autore vuole che i suoi agiscano proprio come quelle che qualifica “maledette società segrete”: “non hanno mai conquistato le masse”, dice, ossia sono costituite da un numero di “membri” esiguo in rapporto al numero di persone che compongono la società, e “nei loro antri”, ossia nelle proprie sedi, “formano alcuni uomini”, ossia svolgono un’attività essenzialmente di “formazione” dei propri “membri”, che poi “si danno da fare e sobillano le masse ... per trascinarle dietro di sé”, ossia illuminano la società con il loro pensiero, come la piramide con la punta illuminata, o cercano di attrarre tutto a sé, come la croce al vertice di tutte le attività sulla terra: è questa attività di “formazione” (alcuni dicono “formattazione”) quella che viene svolta negli antri, detti “centri”, a qualsiasi livello, dell’Opus Dei.

Altre analogie si possono riscontrare nel fatto che i “membri” si qualificano fra loro come “fratelli”, e che non manifestano l’appartenenza propria o dei “fratelli”, per evitare il rischio di discriminazioni nella realtà professionale determinate dalla loro appartenenza. Segretezza? Ma no, non ci sono segreti! Riservatezza? Ma no, si usa il termine “naturalezza”, oppure quello, ancora più elegante, di “discrezione”.

Dalle testimonianze edite degli “ex” “membri” si apprende peraltro che le Costituzioni interne del 1950 dispongono che i membri numerari e soprannumerari devono sempre tenere un prudente silenzio riguardo ai nomi degli altri membri; e nessuno deve rivelare ad alcuno che essi appartengono all’Opus Dei, e ciò al fine di rendere più efficace il lavoro apostolico (art.191), ossia non per evitare il rischio di discriminazioni nella realtà professionale, ma per avvicinare nuovi potenziali adepti e sondarne le caratteristiche senza esporsi. Che è vietato rendere pubbliche tali Costituzioni, le istruzioni interne e tutto quanto concerne il governo dell’istituzione (art.193). Che neanche all’interno l’ordinamento interno è conosciuto: qualcuno ne potrebbe invocare qualche norma a proprio vantaggio.

Escrivà amava citare un altro versetto del Vangelo di quelli poco noti, in cui Gesù inviava i suoi dicendo loro ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Mt 10,16).

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3. Aspetti controversi: L’itinerario giuridico dell’Opus Dei.

Passiamo ad alcuni degli aspetti più controversi.

La Massoneria, secondo la definizione di un antico rituale inglese riportata da Dan Brown al capitolo 6. del romanzo Il simbolo perduto, è un sistema morale, velato da allegorie e illustrato da simboli. Un sistema etico, dunque.

E l’Opus Dei cos’è? Un movimento? Ma no, noi non ci “muoviamo”. Un ordine religioso? Ma no, roba del passato: “le sfide del mondo moderno esigono l’intervento dei laici nella società, quindi noi non siamo né preti, né frati, siamo laici”. Allora è una setta? Ma no, stiamo parlando di una potente organizzazione della Chiesa cattolica. Un’associazione? Ma no, ha una sua configurazione giuridica particolare, nell’ambito del diritto canonico. Ah, e quale sarebbe? E’ una prelatura personale (questo va detto con aria molto colta). A quel punto l’interlocutore teme di essere stato abbastanza indiscreto, non osa più insistere, e si accontenta di pensare che sia un gruppo di “prelati” di cui si raccontano pratiche religiose un po’ spinte, a disposizione “personale” del Papa.

Invece, è il momento di insistere. Prelatura personale significa che è una “porzione del popolo di Dio” (ossia della chiesa cattolica), con a capo un Prelato (donde il nome di “prelatura”), che è anche Vescovo, avente una giurisdizione “personale”, ossia non territoriale, ma rivolta alle persone appartenenti alla prelatura, ovunque si trovino. Una specie di diocesi extraterritoriale. Semplice, no? E dov’è il trucco?

Nell’Opus Dei è considerato fondamentale l’“itinerario giuridico” che ha portato a tale configurazione nell’ambito del diritto canonico, e di cui la prelatura va fiera e gelosa: in sintesi, il Concilio Vaticano II aveva previsto l’istituzione di prelature personali alle quali affidare speciali compiti pastorali, e una volta prevista tale figura giuridica anche nel codice di diritto canonico promulgato nel 1983 in sostituzione di quello del 1917, si è potuta verificare la “erezione” a “prelatura personale”. Semplice anche questo, no? A quel punto, anche l’interlocutore più diffidente si acquieta: davanti al diritto canonico ... Invece, occorre continuare ad addentare l’osso, senza lasciarsi sviare.

Una tesi di fondo del romanzo Il codice da Vinci di Dan Brown è contenuta nel capitolo 7, ove si legge che La loro ascesa alla grazia era iniziata con un balzo nel 1982, quando papa Giovanni Paolo II li aveva improvvisamente innalzati a “prelatura personale”, dando così l’approvazione ufficiale a tutte le loro pratiche. Curiosamente, l’avanzamento dell’Opus Dei era avvenuto lo stesso anno in cui, a quanto si diceva, la ricca associazione aveva trasferito quasi un miliardo di dollari all’Istituto vaticano per le opere di religione - lo IOR, comunemente noto come la Banca del Vaticano - evitandogli così un’imbarazzante bancarotta. Con una seconda manovra che aveva fatto sollevare molte sopracciglia, il papa aveva messo il fondatore dell’Opus Dei sul “binario veloce” della santificazione, accelerando in questo modo le procedure per la nomina a santo e riducendole, da un periodo dell’ordine di un secolo a una semplice ventina di anni.

Non a caso, le testimonianze edite degli “ex” riferiscono che nel 1982-83 tutti i direttori nazionali invitarono tutti a raccogliere soldi da tutte le persone con le quali venivano in contatto, assegnando persino precisi budget a ciascun membro, e riferiscono di avere assistito negli anni successivi a campagne economiche più specifiche, ma nessuna paragonabile a quella del 1982-83. Vi è chi ritiene che le finanze dello IOR fossero a loro volta fiaccate da ingenti finanziamenti a Solidarnosc, il sindacato polacco che ha avuto storicamente la funzione di contribuire a innescare la disgregazione dei regimi comunisti.

Corollario della tesi di fondo del romanzo di Dan Brown è quello contenuto nei capitoli 34. e 50., per cui se un Papa espresso dalla parte riformista del Collegio dei cardinali, che si fosse assunto la missione di ringiovanire la dottrina del Vaticano e aggiornare il cristianesimo per portarlo nel terzo millennio, facesse un giorno afflosciare la “erezione” della prelatura personale, quest’ultima porrebbe in atto ogni possibile energia intellettuale, economica e morale per cercare di conferirle nuovo turgore. Dunque, addentiamo nuovamente l’osso, e cerchiamo di completare una lettura alternativa di questo “itinerario giuridico”.

Alvaro del Portillo, all’epoca braccio destro di Escrivà e poi suo primo successore, faceva parte della commissione del Concilio Vaticano II incaricata della redazione del testo della Presbyterorum ordinis”, il Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri (cioè i sacerdoti). Nelle pieghe di tale documento inserì l’ipotesi di costituire prelature personali. Ma come? Non vi si tratta dei presbiteri? Nell’Opus Dei non si vantano di essere laici? E dove se ne parla?

Andiamo a leggere la Presbyterorum ordinis”: nel capitolo II, Il ministero dei presbiteri, titolo II, rapporti dei presbiteri con gli altri, al paragrafo 9, i presbiteri e i laici, non se ne parla. Con uno sguardo malizioso si potrebbe pensare che, forse, avrebbe potuto dare nell’occhio. Ma ecco al capitolo II, titolo III, Distribuzione dei presbiteri e vocazioni sacerdotali, al paragrafo 10, sollecitudine di tutte le Chiese: nella seconda metà di un capoverso dedicato a tutt’altro, si legge a un certo punto che lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, si faciliti non solo una distribuzione funzionale dei presbiteri, ma anche l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura continenti. A questo scopo potrà essere utile la creazione di seminari internazionali, peculiari diocesi o prelature personali, e altre istituzioni del genere, cui potranno essere ascritti o incardinati dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa, secondo norma da stabilirsi per ognuna di queste istituzioni, e rispettando sempre i diritti degli ordinari (cioè dei vescovi) del luogo.

Con Paolo VI, papa dal 1963 al 1978, non se ne fece nulla. Al punto che in un’udienza privata (ben nota addentro la prelatura), avendo chiesto ad Alvaro del Portillo, divenuto successore di Escrivà, se avesse avuto qualche problema, e avutane come risposta che “il problema è che stiamo diventando tantissimi” (cosa che in realtà significava che aveva urgenza di ottenere la configurazione giuridica che desiderava), Paolo VI si limitò a rispondere: “il problema è tutto qui?”, e a ringraziare cordialmente l’ospite per la visita.

Con Giovanni Paolo II, papa dal 1978 al 2005, i toni, come si è rilevato, cambiarono: il 25.1.83 viene promulgato il nuovo Codice di diritto canonico; il 19.3.83 (meno di due mesi dopo) viene formalizzata la decisione pontificia di “erezione” dell’Opus Dei a prelatura personale.

Andiamo a leggere il Codex Juris Canonici del 1983: al libro II, il popolo di Dio, parte II si occupa della costituzione gerarchica della Chiesa e, fra le altre cose, al canone 369 dispone che La diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio. Nello stesso libro II, il popolo di Dio, ma nella parte I, i fedeli, e quindi al di fuori della parte II, dedicata alla costituzione gerarchica della Chiesa, al titolo IV si occupa delle prelature personali. In particolare, vi è disposto che: canone 294 - Al fine di promuovere un’adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le conferenze dei Vescovi interessati. - canone 295 - 1. La prelatura personale è retta dagli statuti fatti dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo del servizio alla prelatura. - 2. Il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il predetto titolo, sia al loro decoroso sostentamento - canone 296 - I laici possono dedicarsi alle opere apostoliche di una prelatura personale mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa; il modo di tale organica cooperazione e i principali doveri e diritti con essa connessi siano determinati con precisione negli statuti. Dunque una prelatura personale dovrebbe essere formata da presbiteri e da diaconi, e la presenza dei laici dovrebbe essere solo eventuale e a livello di cooperazione esterna.

Al contrario, nell’Opus Dei i sacerdoti sono il 2% dei membri, non vi sono diaconi, e la presenza dei laici è essenziale, sino ai livelli direttivi più alti.

Inoltre specialia opera pastoralia, ossia compiti pastorali specifici, dal latino specialis, contrapposto a generalis, secondo quanto si legge nel citato canone 294 e nel decreto del Concilio Vaticano II, dovrebbero riguardare una missione specificamente definita nello spazio e nel tempo, finalizzata a una distribuzione equilibrata dei “presbiteri” all’interno del “popolo di Dio”. E quali sarebbero le specialia opera pastoralia che giustificherebbero lo stato di prelatura personale dell’Opus Dei? Lo dicono gli Statuti del 1982: La Prelatura si propone di adoperarsi fattivamente affinché persone di ogni condizione e stato della società civile, e inannzitutto gli intellettuali, aderiscano con tutto il cuore ai precetti di Cristo Signore e li mettano in pratica, mediante la santificazione del lavoro professionale proprio di ciascuno, in mezzo al mondo, affinché tutto sia ordinato alla Volontà del Creatore; e formare gli uomini e le donne ad esercitare parimenti l’apostolato nella società civile (art.2, par.2).  Per la realizzazione di un simile progetto non basterebbero secoli, significa volersi installare permanentemente all’interno della Chiesa cattolica, altro che “distribuzione dei presbiteri” per una missione definita nello spazio e nel tempo.

Una simile applicazione di norme giuridiche difficilmente passerebbe dinanzi a un Tribunale civile, poiché non regge a una severa analisi sul piano logico argomentativo. Si aggiunga che, secondo le testimonianze edite degli “ex”, le Costituzioni del 1950, mai rese pubbliche, seppure formalmente abrogate con la “erezione” a prelatura personale, rimangono in realtà vigenti all’interno dell’istituzione, poiché gli Statuti del 1982 non abrogano le Costituzioni del 1950, salvo questo non venga precisato espressamente. Si aggiunga quanto riferito da Maria del Carmen Tapia, “ex” particolarmente attendibile, dato che aveva collaborato direttamente con Escrivà nell’organismo direttivo mondiale della sezione femminile, per cui, quando lavorava nella tipografia interna, la stampa del testo definitivo delle Costituzioni del 1950 era stata tenuta in sospeso, per modificarne il testo definitivo dopo che il Papa aveva già apposto la propria firma al termine dell’ultima pagina.

Ovviamente, se quelli che hanno giurisdizione in ordine all’interpretazione e all’applicazione del diritto canonico vogliono tenersela così com’è, se la tengano pure, anche perché la cosa per la prelatura appare di importanza vitale, se hanno speso le loro migliori forze per 35 anni per ottenerla, poiché consente loro, al contrario dei religiosi: a) di sottrarsi alla giurisdizione dei vescovi diocesani, essendo loro stessi retti da un vescovo, assoggettato a sua volta solo alla giurisdizione della congregazione per i vescovi, b) di esercitare attività economiche.

Per questo appare ragionevole supporre che, pur senza immaginare gli scenari romanzeschi di Dan Brown, schiererebbero le loro migliori intelligenze giuridiche e cercherebbero di dimostrare anche che la neve è rossa, le rose sono nere e la terra non gira intorno al sole, al contrario di quanto asserivano in modo sacrilego Copernico e Galileo, pur di spuntarla su questo aspetto: in caso di approfondimento di tali requisiti, infatti, potrebbe emergere che non c’è posto per l’Opus Dei neanche nell’attuale codice di diritto canonico.

L’ipotesi di fondo del romanzo Il codice da Vinci di Dan Brown circa l’importanza della configurazione giuridica di prelatura personale appare dunque verisimile, anche se, a differenza che nei romanzi Il codice da Vinci e Il simbolo perduto di Dan Brown, non vi è la ricerca di alcuna parola, file o password perduta, di alcuna sapienza interiore: lì la verità c’è già, io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,16), in nessun altro c’è salvezza (At 4,12), e persino della Sacra Scrittura vengono commentati sempre gli stessi passi, e sempre allo stesso modo: una sorta di “Vangelo secondo Escrivà”, in cui l’unico merito sta nel riprodurre fedelmente il copione.

Ma non anticipiamo il contenuto dei prossimi capitoli, e proseguiamo con ordine la rassegna degli aspetti controversi.

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4. Ignoranza volontaria.

Lo sviluppo interiore proposto dalla Massoneria porta a spaziare liberamente in ogni campo della conoscenza, senza limitazioni dogmatiche.

Ma allora, perché uno entra nell’Opus Dei? Avrò sentito fare almeno 300 volte questa domanda. Cos’è che attrae? E’ la proposta di un cristianesimo vigoroso:       non quello delle parrocchie, di un movimento qualsiasi, o degli oggi ammuffiti ordini religiosi ... o almeno così ti fanno intendere. Non è neanche la credulità di quello che va da una maga e le dà un sacco di soldi in cambio della promessa di evocazione di uno spirito satanico che gli avrebbe dato sesso, denaro, successo e felicità, per poi scoprire che né lo spirito sarebbe stato evocato, né i benefici effetti si sarebbero prodotti, e fare causa alla maga per avere indietro il denaro (fatto realmente accaduto negli anni ’90 dinanzi al Tribunale di Milano). Avete visto l’itinerario di ingresso nel diritto canonico? Vediamo ora l’itinerario di ingresso nella vita dei singoli.

Al punto 1. di meditazione di Cammino, nel capitolo di apertura, intitolato “carattere”, si legge: Che la tua vita non sia una vita sterile. Sii utile. Lascia traccia. Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore. E al punto 999 si legge: Qual è il segreto della perseveranza? L’Amore. Innamorati, e non “lo” lascerai. Dunque vi è un fortissimo coinvolgimento emotivo, legato a orizzonti di significato della propria esistenza. Questo fattore può contribuire a spiegare anche l’intensità dell’odio degli “ex”, dopo la disillusione.

E al punto 1. di meditazione di Forgia (affine a Cammino), nel capitolo di apertura, intitolato “folgorazioni”, si legge: Figli di Dio. Portatori dell’unica fiamma capace di illuminare i cammini terreni delle anime, dell’unico fulgore, nel quale mai potranno darsi oscurità, ombre o penombre. - Il Signore si serve di noi come di torce, perché questa luce illumini ... Da noi dipende che molti non rimangano nelle tenebre, ma percorrano sentieri che conducono fino alla vita eterna. E’ difficile non restare attratti, o quanto meno incuriositi, da una simile grandeur di orizzonti. Lo studente universitario, o la persona adulta, partecipa così a qualche incontro su argomenti di tipo religioso. Uno non aveva ricevuto, di solito, una formazione religiosa forte, che andasse al di là del vecchio catechismo imparato da bambini (il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica di Ratzinger invece è così complicato, che non vi è speranza che i bambini lo imparino).

Così, mentre nelle altre materie dopo la scuola elementare si segue la scuola media, il liceo, l’università, in materia religiosa si resta ignoranti come bambini. L’Opus Dei si presenta pertanto come una grande catechesi, che si propone di sopperire a questo genere di lacuna, per formare dei cristiani che vivano una fede presentata come adulta, vigorosa, in edifici ordinati e sfarzosi, da persone che appaiono allegre e ottimiste, ben curate, dalla linea perfetta e i modi educati.

Quindi uno va lì, e ascolta. Poi però non c’è nessun dibattito, nessuno scambio di opinioni, nessun arricchimento reciproco attraverso il confronto delle idee: nessuno può intervenire e dare un contributo all’approfondimento dell’argomento trattato, nessuno può porre anche solo domande al relatore. Ci pensa poi il relatore a trovare appena possibile l’occasione per parlargli a tu per tu e a verificare se egli ha obiezioni: in tal caso, “gli si spiega” perché “non ha capito”. Il lavoro di spiegazione non è difficile per chi lo tiene, poiché le obiezioni sono quasi sempre le stesse da parte di tutti, mentre per lui è proprio quello il suo mestiere.

Gli argomenti trattati sono precostituiti e distribuiti mese per mese in modo che,    da settembre a maggio, sia allo studente che partecipi alle attività “formative” per liceali o universitari, sia a chi partecipi alle attività “formative” per adulti, viene aperta a poco a poco la prospettiva di una vera e propria “vocazione”, ossia di una vera e propria chiamata di Dio, alla quale sarebbe ben poco generoso non corrispondere: perbacco, incendiare tutti i cammini della terra, o illuminare come torce, perché molti non rimangano nelle tenebre: non vorrai mica restare uno spettatore?

Un aspetto sorprendente che viene riferito è la sensazione di libertà che, sia pure all’interno di binari assai ristretti, si prova all’interno: uno è consapevole che vi siano dure limitazioni, ma le accetta, in nome della motivazione superiore di cui si è detto poco fa. Anche l’intelletto non sembra affatto represso, al contrario, vengono stimolati un’attenzione e una capacità di osservazione costanti, sia pure tenendo l’intelletto costantemente occupato in determinate direzioni.

L’uso delle facoltà intellettive però è messo a dura prova: non è ammesso pensare, il verbo “credo” è espressione da riservare ai dogmi di fede religiosa, e se uno nel parlare usa espressioni come “direi che”, “ritengo che”, “penso che”, qualcuno gli può chiedere con un sorrisino ironico: “tu pensi”? e tutti ridono (ridano pure ...), e se qualcuno dice “sto pensando”, può sentirsi rispondere qualcosa come “allora sforzati, qualcosa uscirà” (qui almeno ridono un po’ meno, per la volgarità dell’allusione). E le limitazioni di vita diventano con altrettanto sorprendente rapidità asfissianti quando uno osa porsi qualche dubbio e comincia a non essere allineato perfettamente.

E perché uno esce? Quando incomincia ad accorgersi di cosa sta facendo, e osa esprimere qualche dubbio, “gli si spiega” non solo che è lui che “non ha capito”, come a quelli che partecipano ai primi incontri, ma, assumendo aria sprezzante, come se uno puzzasse, “gli si spiega” che “non ha capito niente”, anche se, uscendone, tradirebbe Cristo, la Chiesa e l’istituzione: in tal modo egli non finirà necessariamente all’inferno, ma il rischio che correrà di finirvi sarà molto più alto...

Questo fatto che è lui che non ha capito niente è uno degli aspetti inaccettabili: sarebbe come se, sotto vincolo di coscienza (e attenzione, perché è tutto sotto vincolo di coscienza), uno fosse costretto a convincersi che la neve è rossa, le rose sono nere, o la terra non gira intorno al sole. Anche per questo gli avversari più accaniti (e i più temuti, perché la conoscono) sono gli “ex”. Occorrerebbe quindi riflettere sulle analisi spietate che ne danno proprio coloro che ne sono usciti.

Un altro degli aspetti inaccettabili è la reticenza elevata a sistema, che è persino teorizzata nelle tracce precostituite per chi deve tenere incontri di “formazione spirituale”: per loro il limite della menzogna è la reticenza, basta che in un’affermazione ci sia una parte di vero, e che se ne taccia un’altra parte scomoda da spiegare, e l’intera affermazione non è mendace. Poi nelle dichiarazioni ufficiali ti mostrano la prova di quella parte di vero, e pretendono che valga per l’intero, sfumando sul resto.

Un esempio? Come si rileva dalle testimonianze edite degli “ex”, in risposta all’interpellanza parlamentare del 1986 sull’applicabilità all’Opus Dei della legge 17/82, quella che ha disposto lo scioglimento della P2, l’allora ministro dell’Interno, circa il controllo cui possono essere sottoposti i membri all’interno della struttura, basandosi sulle dichiarazioni unilaterali ufficiali, concludeva che il dovere di obbedienza riguarda esclusivamente materie spirituali. E’ vero. Dov’è il trucco? Che per san Tommaso d’Aquino[3] ogni azione umana ha un rilievo morale, se la si consideri in relazione al fine per cui è compiuta, anche una passeggiata. In questo modo il dovere di obbedienza assume i contorni di un controllo totale, attraverso il profilo etico, o presentato come tale, delle azioni umane, che ogni e qualsiasi azione, in campo anche professionale, comporta. Dunque dire che il dovere di obbedienza riguarda esclusivamente materie spirituali significa dire che esso riguarda il profilo morale, o presentato come tale, di ogni azione umana.

Altro esempio di reticenza: se uno, quando si sta chiedendo se entrare, chiede se una particolare professione è compatibile con quel tipo di strada, la risposta è certo che sì, in nulla cambia la tua situazione laicale, non diventi un religioso (ma anche questo è vero soltanto sul piano giuridico, ossia del diritto canonico, per il resto uno deve poi vivere come un monaco). Quindi ogni attività professionale può essere “santificata come figli di Dio nell’Opus Dei”. Salvo che, ovviamente, si presentino esigenze particolari, per le quali ti possa essere richiesto qualcosa di diverso. Ovvio, no? Peccato però che vi sarà sempre una qualche esigenza particolare per cui ti sarà chiesto di fare qualcosa di diverso, anche perché vanno apposta (o meglio, devono andare apposta, è il fondatore che li fa andare, poiché ha stabilito e approvato tutto lui come deve funzionare) contro le inclinazioni di ciascuno, per farlo essere “più libero” dalle inclinazioni personali. La presunzione è che in questo modo uno renda meglio (salvo che proprio riesca rapidamente e ad alto livello nella professione, o che venga da una famiglia talmente importante che sarebbe antipatico contrariarla).

E’ chiaro che, a queste condizioni, sono molti quelli che, prima o poi, non si prestano più al gioco.

Di ragionamenti solo apparentemente concludenti, quelli che, nella terminologia propria della logica filosofica, sono detti “sofismi”, è disseminata l’Opus Dei. Ma occorrerebbe un intelletto di notevole spessore, anzi, non basta l’intelletto, per quanto vivace, di un singolo individuo da solo, per strapparne tutte le ragnatele argomentative. L’unica, magra soddisfazione è che quando uno gliene strappa davvero qualcuna anche loro si arrabbiano, eccome, anche se non fanno trapelare      la cosa all’esterno della “prelatura”.

Un terzo aspetto inaccettabile, oltre al fatto che sei tu che non hai capito niente, e alla reticenza elevata a sistema, sono i “criteri sulle letture”: le “pubblicazioni interne” non possono essere divulgate all’esterno, perché “non sarebbero capite”, almeno così bisogna dire (ma forse, al contrario, proprio perché sarebbero capite benissimo). Qualunque pubblicazione esterna, invece, viene classificata da 1 a 6: 1 o 2 si può leggere, 3 va valutato coi direttori del proprio antro, o “centro”, 4 o 5 occorre il permesso dei direttori nazionali, 6 occorre il permesso esplicito del Prelato. Quindi se, per necessità di studi universitari o professionali, occorre leggere uno dei libri vietati, o si trova il modo di evitarlo, ad esempio si cambia esame o tesi di laurea, o se ne legge soltanto una sintesi sterilizzata, redatta da qualche professore universitario o direttore dell’Opus Dei. Solo per citare alcuni esempi di “6”, si va da Boccaccio a Cartesio a Rousseau, da Kant a Hegel, da Marx a Engels, da Jung a Fromm, da D’Annunzio a Umberto Eco e Norberto Bobbio. Nelle istruzioni interne per i direttori dei “centri”, di cui danno conto le testimonianze edite degli “ex”, si legge persino che se un figlio della Prelatura dovesse leggere senza il necessario permesso - cosa che non accadrà - pubblicazioni sbagliate o confuse, trasgredirebbe una espressa disposizione dettata dalla sollecitudine pastorale del Padre, ed esporrebbe inesorabilmente la sua anima a grave pericolo; se questo comportamento è abituale, si dovrà informare immediatamente la Commissione regionale, ossia i direttori nazionali.

La libertà di pensiero nell’Opus Dei è come la sensazione di libertà che si può avere nell’andare in macchina quando guida un altro: non hai bisogno di imparare la strada, e non la impari, al punto che quando devi rifare la stessa strada guidando tu, probabilmente non sei neanche in grado, e devi studiarla da capo. Ma questo annullamento dell’intelletto, tenuto solo apparentemente sveglio, ma impegnato in mille altre priorità, va contro la natura razionale, che è stata data all’uomo da Dio.

Domanda da cento milioni di dollari: chi ne è uscito può poi trovarsi in sintonia con il pensiero della Massoneria? Se si guarda al punto 833 di Cammino, probabilmente no. Probabilmente può, se amando la libertà di pensiero abbatte dentro di sé le colonne dell’integralismo politico e religioso e ne calpesta dentro di sé le vestigia. In ogni caso, guarderei alla celebre definizione dell’illuminismo data da Kant: L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di fare uso del proprio intelletto senza essere guidati da altri. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza! E’ questo il motto dell’illuminismo.

Cosa si potrebbe consigliare, dunque, a chi ne è uscito, ma anche a chi ne potrebbe restare attratto, e persino a chi ne è dentro?

Molto semplice! Sono in prevalenza intellettuali: allarghino per prima cosa i propri orizzonti intellettuali, sia all’interno, sia all’esterno della Chiesa cattolica. Facciano un po’ il confronto! Si rendano conto che sia all’interno della Chiesa cattolica, sia all’esterno della sua struttura gerarchica, esistono altre opzioni culturali. Leggano attentamente, ad esempio, gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, usati in tutta la Chiesa cattolica, a cominciare dal Papa, tranne che lì. O le opere, anche se un po’ difficili da leggere, di Kant, che visse come professore di filosofia a Koenigsberg (oggi Kaliningrad), capitale del ducato di Prussia, all’epoca di Federico II, ed è considerato nella storia della filosofia come il punto più alto dell’illuminismo, anche se fu posto in ombra dal marxismo, che lo considerava filosofo “borghese”, come del resto la rivoluzione francese era bollata dal marxismo come rivoluzione “borghese”.

L’esistenza di Dio in Kant? Il grande filosofo dimostra che la ragione umana non vi può arrivare, se sottopone a una severa analisi critica le vie che sono state proposte nel tempo, ma che nemmeno può arrivare al contrario e dimostrare che Dio non esista, come è spiegato nella Critica della ragion pura. L’immortalità dell’anima? Stessa cosa: la ragione umana non può dimostrare né quando l’anima abbia inizio, né se sopravviva dopo la morte, ma non può neanche dimostrare che non abbia inizio, né che si dissolva con la morte. Il sommo bene? Se osiamo spingerci appena oltre il pensiero esposto da Kant nella Critica della ragion pratica (mi si permetta di farlo) è un concetto di ragione, ma da ciò non discende che esso esista; anche se non si può neanche dimostrare che esso non esista. Il fine ultimo? Stessa cosa: se osiamo spingerci appena oltre il pensiero esposto da Kant nella Critica del giudizio, è un concetto di ragione, ma da ciò non discende che esso esista; anche se non si può neanche dimostrare che esso non esista.

La ragione umana non ci arriva, sono concetti ai quali si può aderire solo per via di fede: non è una conclusione scettica, è la consapevolezza dei limiti della ragione umana, che non arriva a comprendere né ciò che è infinitamente grande, né ciò che è infinitamente piccolo. Ma una simile consapevolezza nell’Opus Dei, leader dell’ala radicale della Chiesa cattolica, non può essere accettata, poiché ammettere che si tratta di concetti raggiungibili solo per fede e non attraverso la ragione umana legittima il pluralismo religioso de iure, e non soltanto de facto, per usare le parole dell’allora card. Ratzinger[4]. A quel punto, infatti, la fede non sarà necessariamente quella cattolica, o, quanto meno, la versione che ne dà l’Opus Dei. Al riguardo appare invece illuminante la posizione del card. Martini,[5] quando rileva che Gandhi, ad esempio, ha percorso la via di un Indù, la via verso Dio, cui Gesù conduce noi cristiani.

Altro che ricerca della sapienza interiore, quindi: c’è tutto il contrario, per questo si può parlare di “ignoranza volontaria” nella quale viene mantenuto l’intelletto. Ed è ben lontano anche sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, quando dice che la scrittura suppone che abbiamo intelletto.[6]

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5. Fanatismo religioso.

Le spietate analisi degli “ex” “membri”, al di là della curiosità che suscitano, in molti casi rischiano di non cogliere nel segno, per almeno tre ordini di ragioni: 1) danno una visione totalmente negativa, e limitata alla prospettiva dei membri “numerari” e “numerarie”, quelli che non si possono sposare, vivono nei “centri”, compiono studi di filosofia e teologia ecclesiastica e hanno la “direzione spirituale” di “soprannumerari” e “soprannumerarie”, che invece si possono sposare e vivono nelle loro famiglie; 2) provengono da quegli stessi che fino al giorno prima avevano fatto parte attivamente della “prelatura”; 3) criticano, spesso senza fornire proposte alternative, aspetti che costituiscono caratteristica comune a questa o quella realtà della Chiesa cattolica, che quindi non interviene.

Cerchiamo dunque di prendere le distanze da questi tre atteggiamenti.

5.1. Castità.

Come è vissuta la sessualità? Già nel ‘700 sant’Alfonso Maria de’ Liguori metteva in guardia contro il rigorismo in materia di morale, affermando che alle anime è di gran danno la rigidezza. Ai nostri tempi, il card. Martini, gesuita, oltre ad avere le pupille più intelligenti che mi sia capitato di vedere, quasi trentenne, è considerato la voce più autorevole dell’ala moderata della Chiesa, quella che, stando alle informazioni riportate dai giornali, nel conclave del 2005 sosteneva il candidato di minoranza con 50 voti contro 70, ma che dopo poche “fumate nere” non avrebbe fatto mancare al card. Ratzinger la maggioranza qualificata di 80 voti su 120 necessaria per l’elezione a Papa, per evitare che un prolungamento del conclave manifestasse con troppa evidenza le divergenze di vedute all’interno della Chiesa cattolica.

In tema di sessualità, nel capitolo 2. delle citate Conversazioni notturne a Gerusalemme il card. Martini scrive che Nella preparazione all’elezione dell’ultimo papa abbiamo discusso apertamente tra cardinali i problemi che lo attendevano, ai quali avrebbe dovuto dare nuove risposte. Fra questi, a mio avviso, figuravano il rapporto con la sessualità e la comunione per divorziati e risposati. E che non possiamo fingere di non vedere che la Chiesa degli ultimi decenni ha perduto molti giovani. Al capitolo 5. scrive anche che Con l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI (quella che ha proibito i contraccettivi), molte persone si sono  allontanate dalla Chiesa. Dopo di essa i vescovi austriaci e tedeschi, e molti altri vescovi, hanno seguito, con le loro dichiarazioni di preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti: 40 anni di distanza potrebbero consentire una nuova visione. Sono fermamente convinto, prosegue testualmente, che la direzione della Chiesa possa mostrare una via migliore, riacquistando credibilità e competenza, se saprà ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri. E inoltre: La Bibbia limita in modo evidente i messaggi sulla sessualità. Di fronte all’adulterio traccia una linea netta, ed è chiarissima anche riguardo alla violenza sulle donne.

Al contrario, nell’Opus Dei, come rileva elegantemente Dan Brown al capitolo 15. di Il codice da Vinci, i numerari celibi, ma anche i soprannumerari sposati devono fedelmente negarsi ogni indulgenza sessuale, anche autosomministrata.

L’ipotesi è che l’uomo si distingua dall’animale poiché è dotato di intelligenza, quindi possa comprendere che il sesso ha per natura la funzione di essere strumento per la procreazione. Quindi ogni uso del sesso fatto al di fuori di questa finalità è peccato, e peccato grave. Come ho sentito spiegare in modo assai poco fine da un numerario, sarebbe come usare una lampadina per mettersela nello stomaco: la lampadina è fatta per illuminare, non per infilarsela lì.

A un simile ragionamento si potrebbe replicare che allora i piedi hanno per natura la funzione di essere strumento per camminare, quindi l’automobile, il treno o l’aereo sono peccato, e peccato grave, poiché distolgono i piedi dall’importante finalità che è stata assegnata loro per natura.

In ogni caso, la conseguenza è che numerari e numerarie devono negarsi del tutto ogni e qualsiasi indulgenza sessuale, anche autosomministrata, e devono evitare ogni possibile contatto con persone dell’altro sesso, soprattutto con numerari o numerarie dell’altro sesso, o con le numerarie ausiliari, quelle che passano la loro vita a pulire pavimenti, servire a tavole e lavare stoviglie, per prevenire ogni possibile tentazione. Soprannumerari e soprannumerarie possono usare dei doni di Venere, come li chiamava Catullo, soltanto per procreare, salva eccezionale autorizzazione a seguire la dottrina del dottor Ogino-Knaus, e sono spinti ossessivamente a formare una famiglia numerosa, meglio se con 8, 10, 15 o 50 figli.

Persino il vocabolo “castità” non viene usato, forse bisogna distinguersi dal resto della Chiesa: va chiamata “purezza”, anzi, “santa purezza”, come il titolo del capitolo 4. di Cammino, così la si collega al versetto evangelico beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8), come se la purezza di cuore fosse un qualcosa che ha a che fare unicamente con l’uso degli organi atti alla procreazione: eppure questo è l’argomento principale attorno al quale ruota il 99% delle lezioni di morale  impartite nei “mezzi di formazione” dell’Opus Dei.

Quindi, per essere chiari, lo studente modello che un’ora dopo essersi masturbato muore investito in motorino, o il professionista integerrimo che muore in un incidente d’auto la mattina dopo avere praticato con sua moglie un coitus interruptus coronato da masturbazione finale, è condannato all’inferno, mentre Hitler e Stalin, se hanno avuto la lestezza di confessarsi un attimo prima di morire, hanno accesso almeno al purgatorio. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt 25,13). E’ una realtà dura da accettare, ma purtroppo è così ... ti spiegano.

Siamo agli antipodi del card. Martini. Persino papa Ratzinger, in un passo sfuggito ai più, commenta un versetto di san Paolo, per cui Il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, resterà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco (1Cor 3,15). E il commento del Papa è che come il paradiso sarebbe riservato a persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo, così l’inferno sarebbe riservato a persone che hanno vissuto per l’odio e che hanno calpestato in se stesse l’amore, come alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso.[7]

Analogamente, quanto al numero dei figli, il card. Martini scrive che occorre una responsabilità consapevole nei confronti dei figli: posso assumere la responsabilità di mettere al mondo un figlio oppure no?[8] Anche su questo aspetto, dunque, oltre che sulla sessualità in generale, siamo agli antipodi del card. Martini.

5.2. Povertà.

Come è vissuta la povertà? I pellegrini e turisti che si recano sotto la Basilica inferiore di Assisi a visitare la tomba di san Francesco restano impressionati da quel pezzo di pietra grezza che racchiude i resti mortali del santo e rappresenta nei secoli uno schiaffo all’uso smodato del denaro, che ricorda a tutti che ancor oggi vasti strati della popolazione mondiale vivono in condizioni di miseria, e che fino a pochissimi secoli fa anche nei paesi occidentali una ristretta cerchia di persone agiate viveva accanto a una grande maggioranza della popolazione in condizioni di miseria.

Su questo aspetto, tuttavia, non appare condivisibile quanto riferisce Dan Brown al capitolo 5. di Il codice da Vinci, per cui Murray Hill Place, la nuova sede nazionale negli USA, nel cuore di Manhattan, sarebbe costata 47 milioni di dollari, e che il vescovo Manuel Aringarosa, ossia il vescovo prelato Javiér Echevarrìa, viva nella sede di New York. La solita centralità americana. Non è esatto, almeno per due ordini di considerazioni: il primo è che, secondo le testimonianze edite degli “ex”, soltanto il valore dichiarato al fisco della sede di New York sarebbe di 70 milioni di dollari, non soltanto 47, cui vanno aggiunti addobbi e arredi. Il secondo è che la sede mondiale, ove abita il vescovo prelato, è a Roma, ed è molto più grande, poiché è costituita da un palazzo che occupa un intero isolato del lussuoso quartiere Parioli.

I pellegrini che si recano nel piccolo spicchio del palazzo cui si accede dal civico 75 di viale Bruno Buozzi, indirizzo ufficiale centrale dell’Opus Dei, anche se fuori non c’è scritto nulla, e scendono ai piani inferiori per visitare la tomba di Escrivà, restano impressionati da quello sfarzo di marmi luccicanti che accompagna alla “cappella prelatizia”, ove l’altare poggia su una teca con dentro la tomba d’argento ornata di bassorilievi che racchiude i resti mortali del santo e che rappresenta nei secoli, unitamente al resto del palazzo, che include vaste zone di rappresentanza interdette agli stessi numerari, un vero schiaffo alla povertà francescana.

Ma come? E non dicono che l’Opus Dei non possiede nulla, e che i membri costituiscono una “famiglia numerosa e povera”?

E’ vero. Ma, anche questa volta, solo in senso giuridico: poiché non hanno nulla a sé intestato. Centri, attività culturali, residenze universitarie, case editrici, è tutto intestato e gestito attraverso una costellazione di enti e associazioni, nei quali però non sfugge un centesimo di euro agli occhi vigili dei numerari: questo rende la struttura, come è stato rilevato, 1) invisibile alle istituzioni governative e locali che volessero concedere sostegni di carattere finanziario – 2) consentirebbe di sfuggire a leggi nazionali che in un qualche stato dovessero decretare un giorno la confisca dei beni ecclesiastici – 3) rende le strutture invisibili a quelli che vengono invitati a frequentarne qualche attività culturale, o che sono ospiti, ad esempio, di residenze universitarie per studenti provenienti da città diverse da quelle ove si trova l’università: ovviamente, all’invito alle attività culturali segue a poco a poco l’invito alle attività di “formazione spirituale”, e inizia il percorso di reclutamento.

Ad esempio in Italia, come pure riferito dalle testimonianze edite degli “ex”, i finanziamenti deliberati nel 2005 dall’allora ministro dell’Università per incentivare la realizzazione di nuovi alloggi e residenze per universitari, in 18 casi su 40 istituti finanziati avrebbero finito per sovvenzionare “iniziative apostoliche dell’Opus Dei”, due delle quali non svolgerebbero neanche la funzione di centri di alloggio per studenti, ma sarebbero abitate esclusivamente da numerari. Nel 2007 la legge finanziaria avrebbe previsto una riduzione dei contributi statali destinati ai collegi universitari, ma il finanziamento sarebbe stato ripristinato dall’attuale Governo con la legge n.1 del 2009.

In ogni caso, il sistema di raccolta del denaro, cui si è fatto cenno parlando del periodo in cui stava prendendo forma la “erezione” della prelatura, è capillarmente articolato, tanto che vi è chi ha paragonato questo tipo di istituzioni a una sorta di “buco nero” che fagocita tutto il denaro che vi ruota intorno: oltre ai finanziamenti pubblici ottenuti attraverso un uso attentamente studiato delle legislazioni degli Stati, vi è l’intero patrimonio di numerari e numerarie, che non possono tenere nulla per sé, esattamente come un monaco di clausura, e dopo un certo numero di anni sono moralmente tenuti a fare anche testamento in favore di enti o associazioni controllati dalla prelatura. Vi è inoltre una buona fetta del patrimonio dei soprannumerari, che sono tenuti a un contributo mensile minimo commisurato al costo del mantenimento di un figlio, ma sono oggetto di richieste di contributi straordinari per iniziative particolari, e ai quali del resto nessuno può impedire di contribuire ulteriormente, in proporzione alla propria “generosità”. Vi è inoltre il c.d. “apostolato del chiedere”, ossia la costante richiesta di contributi economici anche all’esterno: andate, non fatevi frenare dalla vergogna, e chiedete opportune et importune, per usare un’espressione di san Paolo, i contributi arriveranno alla prima richiesta, alla seconda, o alla decima, ma arriveranno. Vi sono inoltre i semplici “cooperatori”, che non sono membri effettivi, non sono tenuti al regime di vita dei soprannumerari, ma sono tenuti ad obblighi di contributo economico, in cambio di preghiere, suffragi e indulgenze che potranno abbreviare loro il periodo di permanenza in purgatorio dopo la morte, almeno questa è l’ipotesi prospettata.

Come il vocabolo “castità”, anche quello di “povertà” però non viene usato, forse bisogna distinguersi dal resto della Chiesa cattolica: va chiamata “distacco”, per meglio rendere il rapporto con gli ingenti beni materiali che contraddistingue la vita di chi risiede in centri che all’interno, in gran parte dei casi, fanno invidia alla reggia di Versailles e agli chateaux della Loira, o nelle lussuose dimore di molti soprannumerari, mentre dell’opzione preferenziale per i poveri, caratteristica del cristianesimo, non si sente parlare.

5.3. Obbedienza.

Come è vissuta l’obbedienza? Anche in questo caso la distinzione dal resto della Chiesa cattolica è sottolineata da un gioco linguistico: nel resto della Chiesa cattolica, infatti, la sottomissione della volontà caratteristica dell’obbedienza viene sottolineata dall’espressione “obbedire usque ad cadaverem”. Al contrario, Escrivà soleva ripetere che i cadaveri lui non li voleva, li seppelliva, e usava l’espressione di “obbedienza intelligente”, per indicare che uno deve sforzarsi di assimilare contenuti e significato del comando, detto “indicazione”, ricevuto, e trasformarlo in una decisione propria.

Significa che non basta obbedire in ragione del fatto che questo fa parte del cammino che si è intrapreso, mettendosi sotto i piedi la propria volontà individuale, ma si pretende anche che uno si metta sotto i piedi il proprio intelletto, sforzandosi di capire che le rose possono essere nere, la neve può essere rossa, la terra può non girare attorno al sole: è il sole che gira intorno alla terra, anzi tutto l’universo, fino alle più remote galassie, anzi, la stessa terra si muove essa stessa, ma in relazione  alla posizione del “Padre”, il vescovo prelato; se, ad esempio, egli siede in automobile, è la strada che si muove sotto i suoi piedi, e con essa la terra, il sole e l’intero cielo stellato.

Dell’obbedienza comunque si è già detto: in risposta all’interpellanza parlamentare del 1986 sull’applicabilità all’Opus Dei della legge 17/82, quella che ha disposto lo scioglimento della P2, l’allora ministro dell’Interno, basandosi sulle loro dichiarazioni unilaterali, concludeva che il dovere di obbedienza riguarda esclusivamente materie spirituali. E si è già detto che il dovere di obbedienza riguarda il risvolto morale di ogni e qualsiasi azione umana.

Il meccanismo di controllo è sorprendentemente semplice: una chiacchierata settimanale di una ventina di minuti, detta in italiano “colloquio” e in spagnolo “charla”, con il proprio diretto superiore o altro superiore incaricato, che tutti i numerari e soprannumerari devono avere, avente per oggetto il “come si sono vissuti” gli aspetti di cui si è appena detto e quelli di cui tra poco si dirà, nonché la comunicazione delle “indicazioni”, ossia dei comandi, per la settimana successiva.

5.4. Fede.

Come è vissuta la fede cristiana? Il card. Martini recentemente ha commentato un passo degli Atti degli Apostoli in cui san Paolo mette in guardia dalle “dottrine perverse”, dicendo che “perfino di mezzo a noi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé” (At 20,30). Il commento è che Per noi oggi una dottrina perversa è quella che esagera le esigenze della santità, è quella che impone atti di ascesi e di devozione assurdi, quasi eroici, sulle spalle della povera gente.[9] E Kant nel libro La fine di tutte le cose prospetta persino la possibilità che la fine di tutte le cose si realizzi con l’avvento dell’Anticristo, cioè con l’imposizione del cristianesimo sulla base di un autoritarismo imperioso e la perdita dell’“amabilità morale” che gli è caratteristica.

Molto si è discusso sul “piano di vita”, o “piano della tua santità”, come è denominato in Cammino, ossia sulle abitudini di vita che devono essere osservate dai soprannumerari, e soprattutto dai numerari, assimilabili a quelle di una monaca di clausura. Al di là della indubbia curiosità che tali abitudini suscitano, non mi paiono peraltro il problema principale. Uno sarà pur libero di pregare in latino, di baciare per terra con il sedere per aria quando si alza al mattino, di inginocchiarsi con le braccia stese a forma di crocifisso prima di andare a dormire, di prender Messa e comunione tutti i giorni (in latino, se non partecipano soggetti estranei alla prelatura), di recitare il rosario tutti i giorni (anche questo in latino, ma solo se non sono presenti estranei), di recitare ogni martedì mattina il salmo 2 (che pare costituisse l’inno di battaglia dei cavalieri Templari), di confessarsi almeno una volta alla settimana, di salutare i propri “fratelli” con l’augurio “pax”, cui si risponde “in aeternum” (mi raccomando, vanno detti a bassa voce), di chiamare i “fratelli” “persone di casa” per distinguerli da chi “non è di casa”, di chiamare “nostro Padre” il fondatore e “Padre” il prelato, di dormire su un’asse di legno senza il materasso (ma solo se donna: i numerari maschi dormono in comodi letti da una piazza e mezzo), di fare la doccia con l’acqua fredda tutte le mattine, di portare il cilicio almeno due ore al giorno, o di frustarsi il sedere una volta alla settimana. O no? Anche il Papa dice la Messa in latino, anche i fedeli di altre religioni pregano con la faccia rivolta per terra, anche gli appartenenti a ordini religiosi e movimenti praticano, chi più chi meno, mortificazioni corporali, anche i massoni, come racconta Dan Brown nel prologo del romanzo Il simbolo perduto, bevono vino in un teschio.

Sono cose della nostra vita privata, lamentano quelli dell’Opus Dei quando se ne parla: certo, ma loro nella vita privata delle persone entrano, e a gamba tesa.

A me la cosa più curiosa è parsa il fatto di baciare per terra dove cammina il “Padre”, ossia il prelato: questo l’ho sentito scappar detto da un giovane numerario, che in una frazione di secondo è stato zittito dal suo direttore, che lo ha ripreso a bassa voce, ricordandogli che si tratta di una devozione personale e volontaria dei diretti collaboratori del “Padre”: quindi, vi è da supporre che sia vero. Beh, però dev’essere il massimo della libidine avere persone che baciano per terra dove cammini, altro che bere vino in un teschio, questo è indice di totale sottomissione, deve dare una soddisfazione pari almeno a quella di un magnum di Krug millesimato, pieno di bollicine.

Anche su questi aspetti, tuttavia, non appare condivisibile quanto viene riferito da Dan Brown in vari passi di Il codice da Vinci: il cilicio punge, ma non provoca ferite, è riservato ai numerari, non va assolutamente portato al di fuori dei “centri”, e all’interno dei centri, almeno per i non sacerdoti, va indossato “soltanto” per due ore al giorno, oltre ai tempi nei quali uno tiene “attività formative”, e ad eccezione dei giorni festivi secondo il calendario liturgico interno. La disciplina, ossia il frustino di corda con cui frustarsi il sedere una volta alla settimana in ricordo della flagellazione di Nostro Signore (i sacerdoti anche dopo ogni sessione di confessioni), è pure riservata ai numerari, non deve essere munita di strumenti di tortura atti a provocare sanguinamento, questo lo faceva solo il fondatore. Quindi quello che riferisce Dan Brown non è esatto: ci si può dormire sopra, come ha detto il “Padre”, ossia il vescovo prelato, in un’intervista televisiva all’epoca della pubblicazione del libro.

In fondo, le pratiche di mortificazione corporale possono essere viste semplicemente come una sorta di sado-maso al contrario, diretto non ad accrescere, ma a prevenire l’eccitazione sessuale, e, come tali, effettivamente fanno un po’ parte della vita privata. In secondo luogo, probabilmente anche un religioso deve chiedere il permesso per prendere un’aspirina, anche un membro celibe di uno degli altri “movimenti” della Chiesa cattolica non può avere intestata neanche un’automobile, ed entrambi, per millenaria tradizione, vengono allontanati dalla famiglia d’origine. Quindi su tutti questi aspetti le critiche appaiono un po’ fuori centro: non pare quello delle abitudini di vita il punto che possa destare le maggiori perplessità.

Quello che può lasciare invece perplessi in tali abitudini di vita, è che all’interno è vietato indagare realtà della Chiesa cattolica alternative, e persino riferire esperienze di altre spiritualità (come è espressamente prescritto nei “Cuadernos” di istruzioni interne): persino gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, spagnolo come Escrivà, ma basco, usati da centinaia di anni in tutta la Chiesa cattolica, sono del tutto ignoti e completamente sfigurati: basta vedere come si arrabbiano quando un numerario, ma anche un soprannumerario, o ancor peggio uno studente in fase di reclutamento, va a confessarsi da un sacerdote esterno, specie se frate, specie se gesuita.

Persino i modi di pregare sono unicamente canalizzati verso un dialogo immaginario mentale dell’uomo con Dio, ed è di fatto bandita ogni forma di preghiera alternativa comune alle altre realtà della Chiesa cattolica, come il silenzio interiore di chi riflette nella propria mente e trova la via per pugnalare i propri  difetti e asperità sulla strada di un equilibrio morale simile a quello che dovrebbe contraddistinguere chi è chiamato a prendere decisioni secondo giustizia: c’è forse il rischio che uno si metta a pensare? Anche in questo caso la posizione del card. Martini è agli antipodi: La preghiera più autentica e più completa, secondo la Bibbia, è la contemplazione libera e spontanea di Dio, è la lode della sua grandezza, non si domanda nulla a Dio né lo si ringrazia per un motivo concreto, lo si esalta per il solo fatto di esistere.[10]

5.5. Carità.

Come è vissuta la carità cristiana? Sarebbero probabilmente pochi quelli che non resterebbero affascinati dal canto delle Clarisse di clausura proveniente da dietro la grata che le separa dal mondo anche nel corso delle celebrazioni liturgiche aperte al pubblico, o dal canto della Salve Regina dei monaci Benedettini alle cinque del pomeriggio nel santuario all’ingresso della chiesa antistante l’enorme monastero di Einsiedeln, nella Svizzera tedesca. Ma a nessuno passa per la mente di accusare le Clarisse, o i Benedettini, per il rigoroso regime di vita cui si sottopongono.

E allora, perché prendersela con l’Opus Dei? Non sono forse liberi di sculacciarsi il sedere con un frustino, o di baciare dove vogliono? Il problema è che non se ne stanno tranquilli nei loro centri a sculacciarsi il sedere, o a inginocchiarsi davanti a un’ostia consacrata tra fumi d’incensi e canti gregoriani in latino.

Uno degli aspetti più discussi, e sul quale le testimonianze degli “ex” sono assolutamente univoche, è la connotazione essenzialmente proselitistica che la caratterizza, ma di proselitismo occulto, e che ne è essenziale elemento costitutivo. Abbiamo visto al capitolo che precede come uno vi viene attratto; abbiamo visto alcuni dei punti di meditazione che attraggono per la grandeur di orizzonti che viene proposta; abbiamo visto che studenti e adulti vengono indirizzati nell’arco di pochi mesi alla prospettiva di una vera e propria vocazione. Dalle testimonianze edite degli “ex”, gravi, precise e concordanti, che come tali pertanto, come dicono i giuristi, fanno prova, emerge senza possibilità di equivoco che la natura missionaria, o proselitistica del cristianesimo, volta ad aprire la possibilità della fede cristiana a chi non la conosce, è univocamente orientata al reclutamento di nuovi membri, attività imposta a poco a poco a numerari e soprannumerari, senza esclusione, anche se i soprannumerari, quelli sposati, la esercitano in modo meno aggressivo, e solo ai numerari viene imposta come la loro vera e propria attività professionale. A proposito, come negli esempi fatti in alcuni dei paragrafi che precedono, anche il vocabolo proselitismo, o slancio missionario, usato nel resto della Chiesa cattolica, sul piano terminologico non viene utilizzato: in questo caso, il vocabolo da impiegare è “apostolato”, come viene denominato anche negli ultimi capitoli di Cammino.

Questo aspetto costituisce la priorità assoluta, se si rilegge il punto di n.1 di Cammino con questa chiave di lettura: Che la tua vita non sia una vita sterile. Sii utile. Lascia traccia. Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore, cioè da numerario. E anche se si rilegge il punto di n.1 di Forgia: Figli di Dio. Portatori dell’unica fiamma capace di illuminare i cammini terreni delle anime, dell’unico fulgore, nel quale mai potranno darsi oscurità, ombre o penombre. - Il Signore si serve di noi come di torce, perché questa luce illumini ... Da noi dipende che molti non rimangano nelle tenebre, ma percorrano sentieri che conducono fino alla vita eterna: quelli da numerario. All’inizio di Cammino il prologo dell’Autore mostra anche l’intento di agire sull’inconscio del lettore: Leggi adagio questi consigli. Medita con calma queste considerazioni. Sono cose che ti dico all’orecchio, in confidenza d’amico, di fratello, di padre. E queste confidenze le ascolta Dio. Non ti racconterò nulla di nuovo: intendo ridestare i tuoi ricordi per far emergere qualche pensiero che ti colpisca; così migliorerai la tua vita, ti avvierai per cammini d’orazione e d’Amore, e diverrai finalmente un’anima di criterio, ossia un numerario, o tutt’al più un soprannumerario.

Questo è quindi considerato l’aspetto più pericoloso. Gli altri sarebbero quasi innocui, se si limitassero ai membri che spontaneamente vi aderiscono. Che lo si preferisca qualificare come apostolato, slancio missionario, proselitismo, reclutamento o adescamento, il problema è che credono di esercitarlo per il bene del prossimo: se il bene più grande che hai è la vocazione che hai ricevuto da Dio, quale maggiore atto di carità che aprire questa possibilità anche ad altri? Sono infatuati dalla grandeur di orizzonti di cui si è detto, e alcuni pensano persino che chi è stato posto sulla loro strada sia stato posto da Dio sulla strada della “vocazione all’Opus Dei”, e quindi vada posto in condizione di entrare: lui vuole entrare, ma non sa ancora di volerlo ... questa è la prospettiva! E attenzione che la tecnica è tutta codificata dal fondatore: ad esempio, quando uno sta per chiedersi se accettare di entrare, il consiglio di Escrivà è che in questo periodo di transizione, sii prudente nell’imporre e persino nel manifestare gli obblighi che la nostra gente ha.

A chi si rivolge l’attività di reclutamento? Essenzialmente, a reclutare affermati professionisti nella categoria dei soprannumerari (il vertice di tutte le attività sulla terra, di cui si è detto all’inizio), e studenti liceali o universitari di qualità intellettuali superiori alla media, meglio ancora se di famiglia benestante, da destinare al ruolo di numerari. Nelle Costituzioni del 1950, mai rese pubbliche, ma tuttora in vigore in forza del richiamo operato dagli Statuti del 1982, all’art.3 si legge che il fine specifico dei membri dell’Opus Dei è impegnarsi perché la cosiddetta classe intellettuale aderisca ai precetti di Cristo Nostro Signore e li metta in pratica. Quindi è riservata un’attenzione privilegiata agli intellettuali, che più frequentemente finiscono per assumere ruoli direttivi nell’ambito della società civile.

In quest’ottica, in ogni città e in ogni Stato vengono contattati i vertici di politica, finanza e mass media nel “lavoro di san Gabriele”, di reclutamento soprannumerari. Lo stesso Escrivà scriveva che banche, compagnie assicurative, attività economiche, io vorrei che fossero mille volte di più di ciò che sono, e spero solo che esse prendano corpo il più presto possibile. Del resto, un cristianesimo così “esclusivo” appare particolarmente adatto per far presa su persone ai vertici della società, poiché “non è cosa da tutti”, “la gente”, ossia il volgo, “non capisce certe cose”. Gli altri cristiani, quelli delle parrocchie e delle diocesi, dei movimenti e degli ordini religiosi, sono una specie di “profani”, che non sono in grado di comprendere certe cose sublimi.

Quanto al proselitismo giovanile, detto “lavoro di san Raffaele”, volto al reclutamento di numerari, nei migliori licei e università vengono invece avvicinati gli studenti più svegli, e che possono essere assoldati a tutti gli effetti, di fatto, sin dall’età di 14 anni, anche se, in termini giuridici, avranno la qualifica di semplici “aspiranti”, per eludere la normativa ecclesiastica che per l’incorporazione giuridica vera e propria richiede il compimento della maggiore età e, benché minorenni, sono anche tenuti a non manifestare la propria appartenenza all’Opus Dei ai propri genitori. Fra i giovani, pressoché predestinati sono ovviamente i numerosi figli dei soprannumerari, che vengono avviati alle attività culturali e spirituali svolte dai numerari che abitano nei centri della prelatura sin dai primi anni d’età e che si trovano accerchiati fra l’insaziabile “anelito apostolico” (in spagnolo afàn de almas) dei numerari da un lato e quello degli zelanti genitori dall’altro.

Non è invece appetibile, oltre a chi è separato, divorziato, senza lavoro o in difficoltà economica o negli studi, né chi è considerato vicino alla Massoneria o ad altre realtà della Chiesa cattolica, poiché può fare il confronto, con il doppio inconveniente che difficilmente entrerà, e che nello stesso tempo rischierà di influenzare negativamente chi lo vorrebbe far entrare.

Si è visto al paragrafo “povertà” che i centri non appaiono all’esterno come tali: residenze universitarie, centri culturali, attività sportive e ricreative, convegni e seminari di studi, benché gestiti da numerari, recano al massimo una piccola indicazione a piè di pagina sui dépliants informativi, che spiega che vi possono essere svolte attività di formazione spirituale affidate all’Opus Dei. La tecnica utilizzata è quella di invitare professionisti e studenti ad attività sportive e culturali di vario tipo, per poi far partecipare ad “attività formative” dirette da sacerdoti o membri della prelatura, secondo schemi precostituiti di argomenti trattati nel corso dell’anno.

Tale tecnica è stata denominata dallo stesso Escrivà come “piano inclinato”, in cui le caratteristiche della “vocazione” vengono proposte, spiegate e fatte porre in pratica una alla volta, in modo che uno vi scivoli sopra gradatamente; oppure come la tecnica della “canna da pesca”: il pescatore, quando il pesce abbocca all’amo, non deve tirare tutto d’un colpo, altrimenti il filo si spezza, deve tirare un po’ alla volta; all’occorrenza, se il pesce si agita, deve dare indietro un po’ di filo, poi riprendere a tirare un po’ alla volta, finché a poco a poco il pesce viene tirato fuori dall’acqua. Un vero e proprio marketing religioso, in cui occorre far capire al potenziale acquirente che il prodotto che gli vuoi rifilare è proprio quello che lui sta cercando e di cui ha bisogno, altrimenti non lo compra.

Non si pensi che sia facile resistere: è la loro attività professionale, c’è tutta una serie di domande e risposte preparate, hanno “note di esperienza” raccolte su migliaia di casi simili, archivi organizzati particolareggiatamente su tutte le attività cui uno partecipa e tutte le obiezioni che uno manifesta. Se uno dei reclutatori riceve un’obiezione alla quale non sa rispondere, ne parla nel “colloquio settimanale” con il suo “direttore”, che gli spiega come replicare, e se non ci riesce neanche lui, su e su, fino al vescovo prelato e ai suoi consiglieri, se occorre ... E poi, è una realtà che ha ottenuto il sigillo DOCG della Chiesa cattolica, perbacco! E uno non si accorge in che guaio si sta cacciando.

Le stesse “attività formative”, tenute alternativamente da sacerdoti e laici, vengono effettuate sulla base di argomenti e tracce schematiche rigorosamente precostituite, in cui l’unico spazio di fantasia lasciato a chi tiene l’attività è: a) quello di fare esempi applicativi dei principi che vengono esposti, in modo da far sembrare la trattazione originale (ad esempio, a questo punto citare il punto tal dei tali di Cammino e illustrarlo con degli esempi), b) di inserire riferimenti fatti su misura per qualcuno degli ascoltatori (ad esempio, se c’è qualcuno che ha detto di star leggendo le opere di quel Papa o di quel santo, viene spiegata per inciso l’importanza della lettura degli scritti del fondatore).

Che fare per resistere? Anche su questo le testimonianze edite e i siti internet sono univoci, la ricetta è una sola: darsela a gambe, e dire senza tanti mezzi termini a chi ti tampina di smetterla di fingere. E cosa devon fare i genitori, se i loro figli rischiano di restarne avviluppati sotto il loro naso? Non basta invitarli a riflettere bene perché possano resistere a una simile seduzione, poiché è già stata data loro l’impressione di riflettere, e invitarli a riflettere serve solo a rafforzare in loro l’attrattiva cui stanno andando incontro. Occorre che mettano in pratica quello stesso consiglio che Escrivà dava per prevenire scorribande amorose o deviazioni di altro tipo da parte dei numerari: estàr de vuelta, llegar a tiempo, y saber de trigonometrìa, ossia tenere gli occhi aperti, arrivare in tempo e saper effettuare le opportune triangolazioni, senza mai esprimere il proprio consenso, anzi, avendo cura di negare espressamente il proprio consenso circa l’appartenenza dei figli, e anche se maggiorenni.

Ma quanti ne escono? Probabilmente si tratta della realtà della Chiesa cattolica che può vantare il numero maggiore di defezioni. Le testimonianze edite degli “ex” sono concordi nel ritenere che il numero di coloro che ne escono, specialmente numerari e numerarie fra i 30 e i 40 anni, stia crescendo in tutto il mondo. In effetti, l’espansione è iniziata in Spagna dopo la guerra civile alla fine degli anni ’30 del ‘900; nel 1975, alla morte del fondatore, i membri dichiarati erano 62.000, e ora sono circa 85.000.

Quindi, nonostante la matrice esasperatamente proselitistica e il serbatoio di “vocazioni” costituito dai figli dei soprannumerari, la crescita non sta avvenendo in progressione né geometrica, né anche soltanto aritmetica: con un’analisi elementare dei dati appena riportati, nei 39 anni dal 1936 al 1975 si ha un incremento medio di circa 1.600 “membri” all’anno, mentre nei 35 anni dal 1975 ad oggi si ha un incremento medio di meno di 666 membri all’anno, il numero della “bestia” dell’Apocalisse, poco più di un terzo. Un vero fallimento, direbbe Escrivà: che lascia supporre che la parabola dell’espansione numerica volga alla fase discendente.

Si aggiunga la qualità delle defezioni: non soltanto personaggi noti some il senatore Marcello Dell’Utri in Italia o il filosofo Raimon Panikkar in Spagna, ma intorno al 1972 persino il capo dell’organizzazione per l’Italia, circostanza che fece dire a Escrivà di “sentirsi un fallito” in Italia, e, sembra, negli anni ’50 persino il braccio destro originario di Escrivà. Ovviamente chi esce, secondo la versione che si autoraccontano, è perché non ce l’ha fatta a vivere le necessità di una vocazione così esigente ... continuino pure a crederlo, se fa loro piacere.

In ogni caso, non vi sono elementi sufficienti per ipotizzare che la struttura abbia esaurito la sua funzione storica: in primo luogo, i dati ufficiali non sono verificabili, in secondo luogo, continuano a farne parte personaggi di rilievo, anche nelle alte gerarchie ecclesiastiche. Comunque gli 85.000 membri attualmente dichiarati sono concentrati geograficamente per il 90% in Spagna e America latina, ove contendono il campo alla teologia della liberazione. Al di fuori di queste aree, una presenza significativa si registra solo in Italia, con 4.000 membri, e un po’ negli USA, con 3.000, mentre la presenza è numericamente irrilevante nel resto d’Europa e del mondo.

In Italia, le città di sviluppo sono più che altro Milano (cuore economico della nazione, ove ha sede la direzione per l’Italia), Roma (ove ha sede anche la direzione mondiale, vicino al Papa e ai vertici della Chiesa cattolica), e Palermo (ove ha sede una delegazione della direzione nazionale). Non sembra invece che attecchisca tanto facilmente in città ove è già radicata una significativa cultura laica o una significativa realtà cattolica locale con la quale entrare in concorrenza.

Nei paesi di lingua spagnola si discute molto della presenza di ministri appartenenti all’Opus Dei nei governi di Franco in Spagna, Pinochet in Cile e Videla in Argentina (quello che resterà famoso sui libri di storia per lo sconcertante fenomeno dei desaparecidos). Vi è chi ha testimoniato persino di aver sentito personalmente Escrivà qualificare Hitler e la II guerra mondiale come una crociata contro il marxismo. In Italia, attualmente, viene riferito essere membro soprannumerario, fra gli altri, il senatore relatore del disegno di legge sul testamento biologico, volto a delimitare il diritto di autodeterminazione riconosciuto dalla giurisprudenza della corte di cassazione italiana.

Un altro aspetto che può suscitare sconcerto è che, secondo le testimonianze edite degli “ex” numerari, il quarto piano della clinica psichiatrica dell’Università di Navarra è riservato a numerari e numerarie affetti da attacchi di indecisione in ordine alla propria vocazione, perché accettino la propria condizione come un’infermità mentale da ricevere come una prova divina. Vi è chi osserva che in questo i vertici dell’Opus Dei avrebbero in comune con i teorici dello stalinismo l’idea che la deviazione ideologica sia un’infermità mentale. Adesso che a Roma è stata aperta dal 2006 la clinica universitaria Campus biomedico romano, la stessa “idea” probabilmente potrebbe essere importata anche in Italia.

Le stesse testimonianze riferiscono inoltre che incomincerebbero a trapelare, nonostante lo sforzo di occultamento messo in atto da parte dei vertici, oltre a frequenti frustrazioni, depressioni e abbandoni, anche un crescente numero di suicidi o di tentativi di suicidio, situazioni sulle quali le informazioni crescerebbero man mano che aumenta il numero degli “ex” numerari disposti a narrare le vicende cui hanno assistito.

5.6. A.O.P.

La sigla sta per “apostolato dell’opinione pubblica”, ossia rapporti con la stampa e i mezzi di comunicazione, altra attività da esercitare professionalmente, e di importanza essenziale per una realtà che sin dai primi albori ha suscitato forti perplessità sia all’interno che all’esterno della Chiesa cattolica.

Gli addetti a questo delicato “apostolato”, oltre a cercare di reclutare giornalisti alla “vocazione” alla prelatura, fanno delle risposte alle critiche la propria attività professionale. Il direttore mondiale di questo settore nevralgico era Joaquìn Navarro Valls, prima di essere nominato portavoce della santa Sede da Giovanni Paolo II, carica che ha mantenuto sino al 2007, quando papa Ratzinger lo ha sorprendentemente sostituito con padre Federico Lombardi, gesuita.

Anche il settore AOP è dotato di un consumato repertorio di risposte alle critiche, che vertono spesso intorno ad argomenti simili fra loro, e anche in questo caso se un addetto all’AOP non ha la risposta pronta, ancora una volta si consulta, su e su, fino al vescovo prelato e ai suoi consulenti, per unire le intelligenze in difesa dell’istituzione.

Le critiche provenienti dall’esterno della Chiesa cattolica solitamente vengono neutralizzate cercando di mostrare che verrebbero attaccati aspetti che farebbero parte integrante della Chiesa cattolica, e quindi che si tratterebbe di attacchi non all’Opus Dei, ma alla Chiesa cattolica. Sempre evitando comunque di entrare nel merito delle critiche via via proposte.

Le critiche provenienti dall’interno della Chiesa cattolica solitamente vengono neutralizzate spiegando che quelli che criticano non la conoscono, non l’hanno capita abbastanza, sono inesatti su qualche particolare, o, sempre avendo cura di non entrare nel merito delle critiche via via proposte, spiegando che queste vengono fatte putantes se obsequium praestare Deo, ossia ritenendo erroneamente di agire ad maiorem Dei gloriam, di dare a Dio maggior gloria: quindi, “preghiamo per le loro anime”.

Le critiche degli “ex” provengono da chi ha avuto conoscenza diretta dei fatti: allora per neutralizzarle è importante minarne l’attendibilità, spiegando che si tratterebbe di “opinioni isolate”, di chi avrebbe avuto problemi di ordine personale, magari psichiatrico, o che non avrebbe saputo “far fronte alle necessità di una vocazione così esigente”. Sempre, però, evitando accuratamente di entrare nel merito delle critiche via via proposte: “questo no, per carità”, o di consentire un qualsivoglia dibattito, confronto, replica o contraddittorio, ancorché a distanza.

In tempi recenti, tuttavia, si sono fatte sempre più numerose le testimonianze edite di “ex”, soprattutto numerari, e sono sorti i siti internet citati all’inizio, che raccolgono e pongono in circolazione una quantità rilevante di informazioni. Alcune testimonianze presentano i limiti di cui si è già fatto cenno, altre sembrano persino auspicare ingenuamente un mutamento di rotta nell’istituzione. Questo appare impossibile, se si rileggono i testi del fondatore, che ne presentano le caratteristiche costitutive, e se si considera che neanche i successori del fondatore sono legittimati a modificare qualcosa, poiché è lui che l’aveva “vista da Dio” così com’è. Nell’era dell’informazione le testimonianze comunque sono sempre più numerose e dai contenuti univocamente gravi, precisi e concordanti, pertanto non potranno più essere bollate con l’etichetta di “opinione isolata”.

5.7. Studio, lavoro, ordine, allegria.

Il lettore che desidera formarsi un’opinione equilibrata deve ascoltare con attenzione anche gli argomenti a favore. Dunque, dove sono gli aspetti positivi, o almeno quelli che restano tali anche dopo la disillusione? Nel “piano di vita” quotidiano, di cui si è detto sopra al paragrafo “fede”, Escrivà ha inserito una serie di “norme di sempre”, ossia di atteggiamenti di fondo che ai membri è prescritto tenere sempre; fra questi, gli ultimi quattro sono: studio, lavoro, ordine, allegria.

Studio. Non è soltanto l’esigenza di assimilare una profonda preparazione scolastica e professionale, ma un atteggiamento, come si è detto, di fondo, per cui, ad esempio, a) ogni cosa prima si studia, poi si fa; b) occorre buscàr los relieves, diceva Escrivà, ossia ricercare gli aspetti rilevanti di quello che si vede o si legge; c) anche le persone con cui si parla prima si osservano, si studiano, poi si parla, un po’ come si può veder fare nei filmati televisivi da capi di Stato come Gorbaciov o Putin, o come può capitare di notare in chi ha fatto parte dei servizi segreti di alcuni paesi, o in alcuni ecclesiastici di alto livello.

Lavoro. E’ un aspetto fondamentale in un’organizzazione che ha il vocabolo lavoro, in latino opus, anche nel nome, e consiste, secondo uno slogan del fondatore, nel “santificare il lavoro, santificarsi col lavoro, santificare gli altri col lavoro”, ossia:      a) abituarsi alla cura di ogni più piccolo dettaglio senza lasciare nulla al caso, neanche il modo di attaccare una graffetta con la cucitrice o il francobollo su una busta, ad approfittare in modo ordinato di ogni istante del tempo che si ha a disposizione, e a porre non soltanto la prima pietra, ma anche “l’ultima pietra” in tutto quello che si fa – b) considerare il lavoro come partecipazione all’opera della creazione, secondo il versetto della Genesi per cui Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Gn 2,15): il testo in latino suona ut operaretur et custodiret illum, e questo ut operaretur, affidato all’uomo ancor prima del peccato originale, starebbe a significare che la partecipazione dell’uomo all’opera della creazione attraverso il lavoro farebbe parte dello stato di natura originario –      c) terzo aspetto, santificare gli altri con il lavoro, ossia utilizzare il proprio appeal professionale a fine di proselitismo; quest’ultimo aspetto però rientra nella strumentalizzazione della carità di cui si è detto sopra. Attenzione, poi, anche ai giochi linguistici sulla parola “lavoro”: anche all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz campeggiava la parola lavoro, nell’espressione arbeit macht frei, ossia        “il lavoro rende liberi”. Peccato, inoltre, che anche Gesù nell’episodio di Marta e Maria (Lc 10,38-42) abbia dichiarato che Maria si è scelta la parte migliore, prediligendo la via contemplativa rispetto a quella operativa.

Ordine. Anche questo come atteggiamento di fondo, significa che se uno è ordinato dentro, se uno mette “ordine nella propria vita”, come direbbe un gesuita,[11] avrà chiari gli ordini di priorità nelle cose, osserverà una puntualità svizzera negli orari, avrà in ordine anche i cassetti del guardaroba o della scrivania, o gli oggetti nella borsetta se donna, lascerà sempre sgombra la scrivania una volta finito un lavoro, e tutto questo si rifletterà anche nel suo contegno esteriore: certo, è più difficile avere chiaro il proprio ordine di priorità quando uno nel mettere ordine a partire dal caos deve fare da solo e vuole far uso del proprio intelletto senza la guida di un altro.

Allegria. Anche questa come atteggiamento di fondo significa mettere buon umore in tutto quello che si fa; avere “visione positiva”, per usare un altro escrivaismo, ossia vedere in ogni cosa l’aspetto positivo che può presentare, e considerare la tristezza come un nemico da sopprimere. Effettivamente, se uno aspetta di raggiungere la felicità per vivere con allegria, non sarà mai contento, poiché i desideri umani non sono mai sazi, sono sempre portati a cercare di raggiungere qualcosa di più intenso.

Si tratta di aspetti indubbiamente positivi, anche se che non rappresentano affatto un’esclusiva dell’Opus Dei: probabilmente anche i dipendenti delle banche svizzere devono lasciare la scrivania sgombra la sera. Il fondamento della spiritualità dei gesuiti sta nel fatto che l’uomo deve servirsi delle cose create tanto quanto lo aiutino a raggiungere il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscano[12]. Per questa ragione, ad esempio, i gesuiti dell’Università Gregoriana, a vent’anni dalla caduta del comunismo, stanno riflettendo su quali aspetti della filosofia di Marx conservino perdurante attualità e siano tuttora suscettibili di approfondimento. Nei confronti dell’Opus Dei, tuttavia, una simile operazione di discernimento appare prematura, poiché non sono ingenui, è tutto monitorato, e non è possibile avervi a che fare soltanto per studio, lavoro, ordine, allegria (e per l’utilità che ne può derivare), senza “vivere” anche fede, carità, obbedienza, povertà, castità e limitazioni intellettuali o, se preferite, senza praticare “santa purezza”, “distacco”, “docilità”, “piano di vita”, “apostolato”, “criteri sulle letture” (poi ti interrogano), “naturalezza”, “discrezione” nei termini sopra delineati.

*

6. Ambizione sociale.

Contrariamente a quanto sembrerebbe da alcuni degli interventi pubblicati sui siti internet citati all’inizio, tutto ciò non sembra fine a se stesso, come una specie di meccanismo volto solo a esercitare un potere sadico sulle persone o su gruppi, anche vasti, di persone. Cerchiamo dunque di ipotizzarne il fondamento filosofico.

Abbiamo visto all’inizio il versetto in cui Gesù dice: Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32), e la spiegazione che ne dava Escrivà. Vediamo ora anche il versetto precedente: il principe di questo mondo sarà gettato fuori (Gv 12,31). Quindi il testo completo si legge in un altro modo: il principe di questo mondo, identificato con Satana, ossia con tutto ciò che si oppone a Dio (o almeno a ciò che viene identificato come Dio), sarà gettato fuori, ed io quando sarò elevato da terra attrarrò tutti a me.

Abbiamo visto anche il punto 833 di Cammino, che invita a guardare a quello che viene qualificato come il metodo operativo delle “maledette società segrete”.

Nell’Opus Dei c’è chi teme la Massoneria, accusandola, se di accuse si può parlare, di avere provocato non soltanto la costituzione, ancora attuale, degli USA, la rivoluzione francese, l’unità d’Italia (con la conseguente caduta dello Stato pontificio, definita a suo tempo sacrilega da Pio IX) e la nascita e le attività, ancora attuali, dell’ONU, ma persino la disgregazione dell’Impero austroungarico, in quanto ritenuto troppo vicino alla Chiesa di Roma, e la caduta degli Zar, in quanto monarchia teocratica. Esagerati. Probabilmente i romani pontefici dell’epoca non hanno gradito l’unità d’Italia, di cui l’anno prossimo si celebrerà il 150° anniversario, e la conseguente caduta dello stato pontificio, e questo probabilmente contribuisce a spiegare alcune prese di posizione non del tutto favorevoli alla Massoneria che sono state assunte dalla Chiesa cattolica.

Il punto di riferimento al riguardo è comunque Leone XIII, che nella lettera enciclica Humanum genus - condanna del relativismo filosofico e morale della Massoneria, del 20.4.1894 dichiarava che la Massoneria si propagò con incredibile celerità, e incominciò ad essere potente in modo da parer quasi padrona degli Stati, e che della Massonica setta apparisce supremo intendimento distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo.

Non mi è dato di sapere quali aspetti della Massoneria possano legittimare una simile conclusione, ma davanti a una sentenza di condanna occorre verificarne le motivazioni. Vediamo quindi le ragioni addotte da Leone XIII: a) ritengono che fondamentale principio è la sovranità dell’umana ragione. Quindi non ammettono dogmi, non verità superiori all’intelligenza umana, non maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’officio da credere in coscienza – b) propongono separazione della Chiesa dallo Stato ... in mano allo Stato gli avanzi dei beni ecclesiastici ... il Romano Pontefice spogliato del Principato civile – c) propongono il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti: via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre – d) insegnano che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti, e sono di condizione perfettamente eguali; che quindi il popolo è sovrano: chi comanda, non aver l’autorità di comandare se non per mandato o concessione del popolo – e) al contrario, riguardo al potere sovrano ... l’investito di tale autorità è ministro di Dio. Laonde fin dove è richiesto dal fine e dalla natura dell’umano consorzio, si deve obbedire al giusto comando del potere legittimo, non altrimenti che alla sovranità di Dio reggitore dell’universo: ed è capitalissimo errore dare al popolo piena balia di scuotere, quando gli piaccia, il giogo dell’obbedienza – f) inoltre, facendo credere alle moltitudini che dell’iniqua servitù e miseria, in cui gemevano, tutta della Chiesa e dei sovrani era la colpa, sobillarono il popolo, e lui smanioso di novità aizzarono ai danni dell’uno e dell’altro potere.

“Il problema è tutto qui?”, si potrebbe dire. Vediamo una per una tali “accuse”. La prima è di non ammettere maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’officio da credere in coscienza: ma sul piano etico questo dipende dalla libera adesione della fede di ciascuno, non lo si può imporre per argomentazione razionale, se non in forza della correttezza intrinseca delle argomentazioni addotte.

La seconda accusa è la soppressione dello Stato pontificio e la separazione della Chiesa dallo Stato: si tratta peraltro di questioni che oggi potrebbero apparire storicamente superate.

La terza accusa è di proporre la parità di tutti i culti: ma anche la via dell’ecumenismo aperta dal Concilio Vaticano II oggi potrebbe avere storicamente superato la questione della pari dignità delle varie religioni.

La quarta accusa è di insegnare l’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge e di far derivare l’autorità di governare da un mandato del popolo: effettivamente, l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge, così come il “no” alla pena di morte e alla tortura e le garanzie nel processo penale, oggi recepiti in gran parte delle Costituzioni dei paesi occidentali e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 10.12.1948, non appaiono storicamente come frutto né del pensiero giuridico dei latini, né della cultura cristiana, bensì dell’illuminismo giuridico.

La quinta accusa, connessa alla quarta, è di negare che l’investitura del potere politico provenga direttamente da Dio: ma anche questa impostazione oggi sembrerebbe storicamente superata.

La sesta accusa rivolta alla Massoneria è di far credere alle moltitudini che la miseria nella quale all’epoca si trovava a vivere la gran parte della popolazione in tutti i paesi del mondo dipendesse da responsabilità di chi era investito del potere politico e religioso: e di chi, se no?

Vediamo allora anche i consigli di Leone XIII contro cotanta turpitudine. La prima cosa da farsi si è togliere alla setta Massonica le mentite sembianze e renderle le sue proprie, ammaestrando i popoli, quali siano di tali società gli artifizi per blandire ed allettare, quali la perversità delle dottrine e la disonestà delle opere. Questo consiglio, di smascherarne le mentite sembianze, sembra adattarsi bene anche all’Opus Dei.

E poi: E’ necessario in secondo luogo ... lo zelo dell’istruzione religiosa ... ma causa così bella e di tanta importanza richiede altresì l’industria cooperatrice di quei laici, che all’amore della religione e della patria congiungono probità e dottrina. Ecco il punto! Qui c’è forse la spiegazione del perché dicano che è una grande catechesi, e perché sia formata essenzialmente da laici: perché per causa così bella e di tanta importanza ... è necessario lo zelo dell’istruzione religiosa, che richiede l’industria cooperatrice dei laici.

Appare dunque possibile ipotizzare che non sia una Massoneria, ma una sorta di antimassoneria all’interno della Chiesa cattolica, costruita non per attaccare apertamente né i gesuiti, né la Massoneria, ma per contendere ai gesuiti, all’interno della Chiesa cattolica, il compito della difesa e propagazione della fede e alla Massoneria, all’esterno, di lavorare per il progresso dell’umanità, perché il principe di questo mondo, identificato come si è detto poco fa, sia gettato fuori (Gv 12,31).

Parafrasando Leone XIII, se della Massonica setta apparisce supremo intendimento distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo, dell’Opus Dei, che non è una setta, anche se probabilmente ne ha tutte le caratteristiche, ma una prelatura personale, si può quindi ipotizzare che apparisce supremo intendimento restaurare da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale previgente, tentando di restaurarne gli aspetti cui fa riferimento Leone XIII: se così fosse, si tratterebbe di un vero e proprio regresso dell’umanità, verso il Medioevo.

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7. Conclusioni.

La storia, che non sai di dove viene e dove va (Gv 3,8), dirà se l’Opus Dei attrarrà veramente tutti dal vertice, o se riuscirà ad affondare con sé la Chiesa cattolica nella fossa di un integralismo religioso, o se, ancora, una Chiesa aperta saprà liberarsi da ciò che è di ostacolo al rispetto della libertà di pensiero e della libertà religiosa, che è fatta di rispetto per l’opinione altrui, anche in materia religiosa, non è la libertà di aderire a una determinata ricetta o finire sul rogo, anche se, ai nostri tempi, fortunatamente si può far temere soltanto il rogo eterno, quello dell’inferno, e non anche il rogo fisico, quello di chi veniva arso ancora vivo sulla pubblica piazza.

Si è trattato di Regno di Dio, apparenti analogie, itinerario giuridico, ignoranza volontaria, fanatismo religioso e ambizione sociale. Questi ultimi tre aspetti, ignoranza, fanatismo e ambizione, corrispondono alle tre domande cui, per Kant, la filosofia è chiamata a dare una risposta: 1. che cosa posso sapere? – 2. che cosa debbo fare? – 3. che cosa mi è lecito sperare?, sviluppate, rispettivamente, nella Critica della ragion pura, nella Critica della ragion pratica e nella Critica del giudizio. Si possono anche intendere come corrispondenti a una fede, una carità e una speranza laica: una fede laica, che abbia chiari i limiti e le possibilità della ragione umana e di ciò che appartiene alle opzioni della fede religiosa, al contrario di un’ignoranza culturale volontaria, una carità laica, fatta di amore per il bene del prossimo, al contrario di un integralismo cristiano, e una speranza laica, nel progresso dell’uomo e dell’umanità, come nell’enciclica Populorum progressio di Paolo VI, al contrario dell’ambizione di attrarre tutto a sé. Ebbene, su questi tre aspetti, al di là delle possibili analogie di metodo e della solo apparente analogia di fini, la divergenza di quello che si è visto nei capitoli che precedono non soltanto con la Massoneria, ma, più in generale, con l’illuminismo e con l’intera modernità, non potrebbe essere più radicale.

Un aspetto misterioso, ma probabilmente in linea con quanto si è detto poc’anzi,       è che l’emblema, che tutti si ritrovano sotto gli occhi nelle sedi, ma a cui nessuno fa caso, come spesso accade ai simboli che uno ha davanti al naso, è rappresentato da una rosa e una croce. La croce è iscritta in un cerchio con il braccio trasversale posto in posizione rialzata rispetto alle normali raffigurazioni, in modo che le lunghezze dei bracci stiano fra loro in proporzione corrispondente alla sezione aurea. Sotto al cerchio, più bassa, è raffigurata una rosa. Ma di questo simbolo quelli che ho avuto occasione di interpellare non hanno mai fornito spiegazioni plausibili, se non dire che la croce nel cerchio rappresenterebbe la croce in mezzo al mondo, e aggiungere puntualmente un aneddoto ripetuto pappagallescamente e legato a una visione più o meno mistica del fondatore, che un bel giorno avrebbe visto una rosa, ma che non dice nulla sul significato simbolico dell’emblema.

Un’ultima annotazione: contrariamente ad alcune fantasie giornalistiche, se qualcuno partecipasse a una delle attività e riuscisse a informarsi su nomi, cognomi e indirizzi dei partecipanti, nella maggior parte dei casi finirebbe per dire: “ma come?”, “tutto qui?”. Certo: personaggi di rilievo ci sono, ma non si fanno vedere tanto facilmente. Del resto, se li incontri in borghese senza averli visti sulle pagine di qualche giornale non li riconosci tanto facilmente, e comunque non sono lì ad aiutare il primo che passa.

A quel punto però, per parafrasare l’ultimo capitolo di Il codice da Vinci, il professor Robert Langdon si svegliò nell’hotel Ritz di Parigi, e si accorse che aveva soltanto sognato: è tutta una burla, disse fra sé. Non può essere così! E’ impossibile!

E’ vero, può non essere così, spero proprio che non sia così: è soltanto una delle possibili letture, per una Chiesa aperta, per una fede libera.

 

Carlo Maria

 

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