Escrivá de Balaguer e l’Opus Dei. L’attuale ricerca storica

I testimoni. I documenti ritrovati. Le nuove piste di ricerca

di Pier Luigi Guiducci

Nell’attuale periodo le ricerche sull’Opus Dei[1] sembrano, a parere di alcuni studiosi, concentrarsi più su tematiche legate a vissuti contemporanei[2], a temi spirituali, a scritti agiografici, e meno su documenti storici, utili a comprendere meglio il rapporto tra il sacerdote spagnolo Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975; canonizzato nel 2002) e l’Opera da lui fondata. Per talune opinioni, una migliore chiarezza sulle fonti di questa Istituzione aiuterebbe a comprendere meglio la personalità del fondatore e il suo autentico pensiero. Su questo punto esistono linee diverse.

Escrivá de Balaguer a Canterbury


Monsignor Escrivá de Balaguer (al centro) a Canterbury, in Gran Bretagna (1958)

 

1) In alcuni ambienti si ritiene esaustiva l’attuale documentazione storica. Tale linea, però, sarebbe da rimodulare alla luce di nuovi studi.[3] 2) Sulla vita interna dell’Opera ci si orienta di frequente verso una distinzione tra l’insegnamento di Escrivá e le prassi in uso nei centri dell’Opus Dei. In tal modo, questa sarebbe la logica sottesa, esiste una costante positività che attiene alla figura del sacerdote aragonese, mentre non si possono escludere debolezze, limiti ed errori in membri dell’Opera, specie dopo la morte di Escrivá. 3) Esistono poi autori che preferiscono continuare a studiare il rapporto tra il fondatore e l’Opera fin dagli inizi. La tesi sostenuta è che talune criticità hanno origine nel modo di agire dello stesso Escrivá. In tale contesto si pone un quesito: quale strada percorrere? A questo punto, non spetta allo storico entrare in dibattiti che talora deviano in lunghe polemiche, e che costruiscono inutili steccati. Al contrario, l’apporto dello studioso può essere utile per rintracciare documenti da mettere in comune con la Comunità scientifica e con gli stessi storici dell’Opus Dei (professori Pioppi, Illanes e altri).

 

Un testimone del tempo. Ramón Rosal Cortés


   Un aspetto che trova d’accordo più autori (García Moles, Rocca, Moncada, Badules, Felztman…) è che diversi documenti riguardanti Escrivá e l’Opus Dei non sono stati ancora resi noti nel mondo scientifico, o lo sono stati in modo non completo (esempio, chirografo di Paolo VI a Escrivá del 1° ottobre 1964
[4]). Per tale motivo si prosegue nella ricerca di scritti e di memorie. Tale lavoro ha fornito risultati. Nel 2009, ad esempio, è stato possibile leggere un libro di ricordi di un ex numerario (con documenti inediti). Si tratta di un sacerdote spagnolo: Don Ramón Rosal Cortés. Questo presbitero, nato a Barcellona nel 1932, aveva quattro anni quando il padre fu assassinato da membri del Fronte Popolare.[5] All’età di sette anni dovette affrontare un’altra criticità: uno zio venne fatto fucilare dall’autorità franchista per il sostegno dato al Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE). Nella sua città natìa, presso il Collegio «Mayor Monterols», conobbe l’Opus Dei (1950). Interagì con più interlocutori: Raimundo Panikkar, Antonio Pérez, Jesús Arellano, Álvaro d’Ors e altri. Inserito ormai nell’Opera, studiò all’Università di Barcellona e, in seguito, a Roma (1953), presso il Collegio Romano dell’Opus Dei. Nel 1955 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Operò in seguito in Andalucía e in altre zone del Paese Iberico. Rimase nell’Opera 23 anni (5 come laico e 18 come sacerdote). Nel 1973 lasciò l’Opus Dei, ma restò sacerdote. Proseguendo i suoi studi, ebbe modo di conoscere il «Movimiento de la Psicología Humanista». Ciò gli permise di interagire con più studiosi, tra i quali la Dottoressa Ana Gimeno-Bayón Cobos.[6] Dopo aver affrontato ulteriori ricerche, Rosal Cortés fondò nel 1978 l’Istituto «Erich Fromm di Psicologia Umanista» (Barcellona). Tale organismo continua ad avere più scopi: ricerca scientifica, formazione di psicoterapisti, attività di supervisione, psicoterapie. Nel corso del tempo, questo studioso arrivò a ideare un modello terapeutico: la «Psicoterapia Integradora Humanista». Gli esiti del suo cammino scientifico sono stati pubblicati in otto libri.[7] Altre pubblicazioni riguardano tematiche religiose. Solo nel 2009 questo Autore decise alla fine di raccontare la propria esperienza in un libro. Il titolo è: Naufragio y rescate de un proyecto vital. Testimonio de un ex cura del Opus Dei (Naufragio e riscatto di un progetto vitale. Testimonianza di un ex sacerdote dell’Opus Dei, Editorial Milenio, Lleida 2010, 430 pagine). Il lavoro rimane significativo perché l’Autore ha dedicato molti anni della sua vita ad aiutare le persone come sacerdote e come psicoterapista. Tra chi scrive e Rosal Cortés c’è stato uno scambio epistolare con dono di libri.

 

Rosal Cortés ed Escrivá de Balaguer


   Nel 1953, a Zaragoza, Ramón Rosal Cortés conobbe Escrivá. In seguito, nei tre anni trascorsi a Roma, ebbe modo di interagire frequentemente con il fondatore dell’Opus Dei. Con il trascorrere del tempo, rimase deluso dalla figura di questo sacerdote. Osservandolo con attenzione gli sembrò un uomo piuttosto rozzo, dai modi un po’ grezzi. Eccessivamente autoritario. Conservatore. Per studiare meglio tali dati, può essere utile leggere un paragrafo del suo libro Naufragio y rescate… dal titolo: «Creciente decepción respecto a la persona y conductas del fundador» («Crescente delusione per quanto riguarda la persona e il comportamento del fondatore»).
[8] In questa parte del volume si trovano delle sottolineature che rimangono significative perché annotate da un testimone del tempo:

– «Se questa canonizzazione pretende che il Padre Escrivá costituisca un modello di santità, nella linea di una spiritualità secolare, mi risulta difficile accettarlo».[9]

– «Mi rammarico che durante il processo [canonico] sia stato respinto l’intervento di alcuni ex membri che avevano avuto molti contatti con Padre Escrivá e che avevano ritenuto conveniente presentare le loro obiezioni alla canonizzazione. Si supponeva, immagino, che questi sarebbero partiti da atteggiamenti antiecclesiali. Ci fu rispetto verso tutte quelle persone? Ciò non costituì una perdita importante di informazione per una soddisfacente investigazione del caso?».[10]

Successivamente l’Autore cerca di offrire una lettura psicologica della personalità di Escrivá. Si riportano alcuni passi chiave.

– «Vale la pena di ammettere, questo sì, la probabilità che le sue apparenti carenze etiche e spirituali fossero conseguenza di qualche disturbo [«trastorno»] psicologico, in tal caso la sua responsabilità morale sarebbe rimasta, almeno, notevolmente diminuita. Mostrerò quindi le basi di questa ipotesi, che considero la più probabile. Anche così è difficile per me percepirlo come un modello attuale di santità cristiana».[11]

– «Ciò che intendo offrire è una descrizione delle principali caratteristiche della personalità e del comportamento del Padre Escrivá. Sono stato in grado di percepirne una parte direttamente nelle occasioni in cui ho dovuto vederlo e ascoltarlo, soprattutto durante i tre corsi [«cursos»] in cui ho vissuto vicino al Collegio Romano, dal gennaio 1953 al luglio 1955, a parte gli incontri sporadici durante i suoi viaggi in Spagna».[12]

Ramón Rosal Cortés, nella sua analisi, oltre gli incontri con il fondatore (principalmente in forma di «tertulias»[13]), utilizza pure gli scritti di quest’ultimo (citati CaminoPraxisCatecismoInstruccionesNotas). Inoltre, fa pure riferimento a informazioni ricevute da membri dell’Opera o da ex numerari.

 

Alcune evidenze riscontrate da Ramón Rosal Cortés


   Cortés cerca di osservare la personalità di Escrivá in modo graduale, non impulsivo. Esamina più aspetti, e scrive alla fine: «D’altra parte, esistono dei tratti che non si conciliano con le caratteristiche di certe virtù della morale naturale e cristiana e della spiritualità». Aggiunge inoltre: se, per ipotesi, il fondatore fosse stato segnato da un determinato «tipo de trastorno de personalidad», diventava allora più grave la responsabilità di chi gli era rimasto accanto senza migliorare alcune situazioni nel governo centrale dell’Opera (Álvaro del Portillo
[14] «in primis»). Un altro aspetto che l’Autore pone all’inizio: «Il male è che nella vita dei membri dell’Opus Dei, a motivo delle affermazioni esplicite del fondatore, si interpretarono come volontà di Dio le sue molteplici direttive e pensieri, e qualunque indicazione dei direttori nella direzione spirituale».[15]

Ramón Rosal Cortés
Foto di Ramón Rosal Cortés

 

Ramón Rosal Cortés, poi, racconta: «Provavo un certo dispiacere per alcune sue ripetute dichiarazioni; per esempio: la sua esagerata insistenza sul fatto che le Costituzioni dell’Opera fossero “sante, perpetue e immutabili”; “chi obbedisce non sbaglia mai”; “tra voi e le vostre sorelle, 5.000 chilometri di distanza”. Alcune delle sue reazioni o dichiarazioni mi sorpresero e dispiacquero in modo speciale. Tra le altre, queste due: la sua profonda rabbia verso il Papa Pio XII quando quest’ultimo approvò la liceità del metodo Ogino nelle relazioni matrimoniali dei Cattolici. Esclamò adirato che se il Papa aveva l’autorità di un dottore della Chiesa, anche lui [l’aveva]. Era chiaro che ai membri sposati dell’Opera, i soprannumerari, sarebbe stato proibito praticarlo.

[…] Un’altra frase famosa che mi ha contrariato, soprattutto quando l’ho udita per la seconda o terza volta (ciò provava che non si trattava di un fatto spontaneo occasionale ed esagerato, ma di un qualcosa di molto ponderato ), era questa: “Nella tua vita conoscerai qualche Papa, centinaia di Cardinali, migliaia di Vescovi. Però di fondatori dell’Opus Dei ce n’è solo uno. Darai conto a Dio di avermi conosciuto”».[16]

 

I passi successivi


   «In seguito, comunque, ho dato poca importanza a tale fatto. Lo intendevo come un linguaggio molto spontaneo ed energico, per mostrare a noi la sua grave responsabilità di realizzare qualcosa che Dio gli aveva ispirato (sottolineava che il fondatore era Dio, non lui), e la nostra [responsabilità] come “co-fondatori”, anche se presto capii che quest’ultima espressione restava solo una parola priva di un contenuto reale. Non mi fece piacere nemmeno ascoltare un commento sprezzante su Raimundo Panikkar
[17], quando ci incontrammo – una cinquantina di persone – in una “tertulia” al Collegio Romano. Ciò non dovette accadere solo in quella occasione, perché un numerario che lasciò l’Opera [“desvinculado”] negli anni Settanta[18] raccolse [poté udire] qualcosa di simile, con riferimento a come Escrivá squalificasse le persone».[19]

 

«In diverse occasioni sono stato colpito dalle sue esplosioni di rabbia, con grida, indirizzate principalmente all’architetto numerario che era incaricato di completare le opere del Collegio Romano. I direttori interpretavano queste urla commentandole come un segno dell’amore di Dio da parte del Padre, ma le sciocchezze che le avevano causate – piccoli e inevitabili ritardi nelle opere, per esempio – avevano poco a che fare con l’indignazione di Gesù Cristo che espelleva i mercanti dal Tempio. […] Qualcosa che ha attirato anche la mia attenzione, e suppongo di essere rimasto deluso, è stato il suo [di Escrivá] totale silenzio su questioni come le ingiustizie sociali, i problemi della fame nel Terzo e Quarto Mondo, i documenti della Dottrina Sociale della Chiesa, eccetera. Ricordo di non averlo sentito riflettere sui problemi sociali. Se mai lo ha fatto, questo deve essere avvenuto pochissime volte, perché non me lo ricordo».[20]

 

 

 

La posizione rigorista


   «A partire dalla metà del secolo scorso [cioè il XX], aumentò l’invio a ciascun Centro di note e avvisi inviati da Roma, con molteplici direttive e divieti. […] È da tutti questi regolamenti eccessivi e opprimenti che ho gradualmente percepito gli aspetti dell’Opus Dei come negativi o addirittura contraddittori rispetto all’immagine che mi era stata trasmessa all’inizio. […]. Di tutti quegli atti, il principale responsabile era Padre Escrivá, con la collaborazione costante ed efficace di Don Álvaro del Portillo
[21], che in seguito divenne il suo successore. Più tardi sono stato in grado di capire che era la mente del fondatore a caratterizzarsi per un atteggiamento radicalmente conservatore, ciò provocò un crescente autoritarismo, quello che ha dato origine a un proselitismo frequentemente coattivo diretto agli adolescenti, con le sue richieste di un aumento obbligatorio annuale [di adesioni] con cifre concrete, e questo contribuì a una prassi sempre più diversa dalla spiritualità secolare del “Cristiano ordinario”, riducendo la possibilità di esercitare la libertà e la spontaneità. Tutto ciò, dato che era chiaro che proveniva da Padre Escrivá, che era l’incarnazione istituzionalizzata della sua mentalità, interpretata dai suoi fedeli seguaci come volontà divina, conduceva in alcuni, e in me stesso, a una grande delusione. Da parte mia, ho avuto la sensazione […] che il mio progetto di vita “fosse naufragato”».[22]

 

Sviluppo di una riflessione. Cinque aspetti


«Purtroppo, con il passare degli anni, in modo più accentuato dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II, e con intensità crescente in anni successivi alla mia uscita dall’Opera (dal 1973), sono stato in grado di verificare che quel Padre Escrivá non solo aveva una personalità peculiare, ma da rispettare, ma che in alcune persone aveva reso loro incompatibile una vita nell’Opera. Devo riconoscere dolorosamente che apparvero condotte abituali nel suo percorso di vita difficilmente compatibili e apparentemente contrarie alle virtù della morale naturale e cristiana. Le riassumo qui in cinque comportamenti difficilmente compatibili con: 1) la verità e la veracità; 2) il rispetto per la persona; 3) la sensibilità sociale e la sobrietà; 4) l’amore alla Chiesa; 5) l’umiltà».
[23]

 

 

1) Condotta compatibile con l’amore alla verità e alla veracità?


Nel suo libro, Ramón Rosal Cortés riferisce una serie di affermazioni di Escrivá che sono state raccolte dalla Prelatura nel libro: Conversaciones con Monseñor Escrivá de Balaguer (in sigla: CME).
[24] Si trascrivono qui di seguito.

– «Diamo un’importanza primaria e fondamentale alla spontaneità apostolica della persona, alla sua libera e responsabile iniziativa, guidata dall’azione dello Spirito, e non dalle strutture organizzative, da mandati, da tattiche e piani imposti dal vertice, in sede di governo» (CME, 19).

– «Non tiriamo fuori nessuno dal proprio luogo, né allontaniamo nessuno dal suo lavoro o dai suoi sforzi e nobili impegni di ordine temporale» (CME, 20).

– «La preminenza che nell’organizzazione dei nostri lavori attribuiamo alla persona, all’azione dello Spirito Santo nelle anime, il rispetto della dignità e della libertà che proviene dalla filiazione divina del Cristiano; il difendere, contro la concezione monolitica e istituzionalista dell’apostolato dei laici, la legittima capacità di iniziativa dentro il necessario rispetto del bene comune» (CME, 22).

– «Difeso sempre la libertà delle coscienze. Non comprendo la violenza. Non mi pare adatta, né per convincere né per vincere; l’errore si supera con la preghiera, con la grazia di Dio, con lo studio; mai con la forza, sempre con la carità» (CME, 44).

– «Per me, dopo la Trinità Santissima e la nostra Madre la Vergine, nella gerarchia dell’amore, viene il Papa» (CME, 46).

– «Spero sia diventato chiaro cosa significa “organizzazione disorganizzata”: che allo Spirito venga data priorità sull’organizzazione, che la vita dei membri non si limiti a slogan, piani e incontri» (CME, 63).

– «Quanto all’Opus Dei, considerata nel suo insieme, si può ben affermare senza alcuna arroganza, grazie alla bontà di Dio, che non avrà mai problemi di adattamento al mondo: non si troverà mai nella necessità di “recuperare”» (CME, 72).[25]

Rosal Cortés riporta, inoltre, altre due affermazioni che il fondatore ripeteva in molte occasioni.

– «Non terremo mai seminari minori».

– «Nell’Opera la porta è socchiusa per entrare e spalancata per uscire».[26]

Al riguardo commenta Cortés: «Mi dispiace dover affermare che nella vita della stragrande maggioranza dei membri numerari e aggregati dell’Opus Dei queste descrizioni non sono state rispettate; si sperimenta esattamente l’opposto, cioè che non sono vere».[27]

«A parte queste contraddizioni tra teoria e vita reale, si sono verificate una serie di pratiche che costituiscono bugie coscienti, sebbene si possa presumere che siano state realizzate con il buon scopo di proteggere la vita e lo sviluppo dell’Opus Dei. Vediamo alcuni esempi. Le pubblicazioni di Padre Escrivá – supponendo che siano autenticamente le sue opere – scritte in una certa data, sono state redatte attribuendo la loro paternità molti anni prima.[28]

Ci sono due riviste per uso interno dei membri intitolate “Crónica” [“Cronache”] e “Obras” [“Opere”]. Alla seconda possono accedere persone esterne all’istituzione ma interessate a conoscere le sue realizzazioni sociali e apostoliche nei singoli Paesi del mondo. Quando un membro lascia l’Opera (“desvincula”), da Roma si ordina che in tutti i numeri di queste riviste – dall’inizio, intorno al 1950 – le pagine in cui appare il suo nome o forse anche la sua fotografia vengano tagliate o rimosse. Compito, certamente, molto laborioso, anche se suppongo che da Roma debbano inviare le nuove pagine che sostituiscono quelle. In tutte le case dell’Opera c’è una persona incaricata di scrivere un diario. Però niente si può scrivere di quanto avvenuto che possa essere considerato come un fatto negativo, per esempio, che trascorrono mesi senza attrarre nuovi proseliti o che qualcuno in casa è stato per un certo tempo con uno stato d’animo depresso. Se al responsabile del diario sfugge di raccontare qualche fatto di questo tipo, il direttore o la direttrice gli ordina di strappare quei fogli dal taccuino.

Secondo l’impostazione del diario, tutto deve andare liscio, e i sentimenti di ammirazione verso “il Padre” (successore del fondatore), o verso “nostro Padre” (il fondatore), come le riflessioni sulle sue parole, dovrebbero apparire con frequenza».[29]

 

2) Comportamenti compatibili con il rispetto delle persone?


   «Uno dei suoi [di Escrivá] punti deboli – di cui fui testimone alcune volte nel Collegio Romano – […] furono le sue esplosioni di rabbia per piccole cose. Uno dei primi numerari […] attesta quanto segue: “S’infuriava in modo esplosivo per fatti insignificanti che traduceva ‘come mancanza di amore per Dio’. Per esempio se un oggetto era un po’ storto, se le inservienti lasciavano qualche utensile per la pulizia dimenticato, se c’era un piccolo difetto nel cibo o se questo non era di suo gradimento. Allora strillava, si arrabbiava, urlava e noi ricevevamo la doccia [‘el chaparrón’] senza dire una parola. Un giorno pioveva a dirotto, il fruttivendolo che stava portando la frutta entrò in cucina con le provviste per non bagnarsi, visto che la porta della cucina immetteva direttamente sul giardino. Il Padre Escrivá passò di lì e lo vide. Aveva dato ordine che nessun fornitore uomo poteva mai entrare (perché sempre era ‘mai’) (la sua ossessione sessuale era malata). Le sue grida si udirono in tutta la casa. Non abbiamo mai saputo il motivo per cui da un momento all’altro scoppiava in grida, tale era la violenza del suo carattere. A suo avviso, non è mai stato trattato con l’onore, la riverenza, l’affetto che meritava, eravamo sempre in debito. Parlava male di tutti. Nel processo di beatificazione si è parlato di virtù eroiche. Quali virtù? Penso che quella di cui occorre parlare sia la virtù per eccellenza che è la carità e io non l’ho vista da nessuna parte”.
[30]

 

Un’altra numeraria che aveva una posizione direttiva nel governo centrale del ramo femminile e che successivamente ha svolto un’attività apostolica molto fruttuosa in Venezuela favorendo un alto numero di vocazioni, è stata improvvisamente ritirata nella Casa centrale, violentemente ammonita dal fondatore con insulti che non voglio qui menzionare[31], e ha avuto serie difficoltà a fuggire da dove era stata relegata, decidendo di uscire dall’Opera [“desvincularse”]. Probabilmente ciò fu dovuto al fatto che si permise di adattare alcune norme della prassi [dell’Opus Dei] alla mentalità e alle circostanze del popolo venezuelano come si deduce da questo paragrafo:

“A distanza di anni comprendo che Monsignor Escrivá si permetteva di dare criteri riguardo a cose che non conosceva pienamente, Paesi, costumi, eccetera. E giudicava i suoi figli e le sue figlie senza la piena conoscenza della causa, che, secondo me, era il riflesso di una notoria ignoranza umana e di una superbia da tenere molto in conto. E noi, quelli che aveva mandato in altri Paesi, come suoi burattini, ballavamo al ritmo della corda che da Roma muoveva”.[32]

Questa medesima persona si è rammaricata per l’infantilismo che [Escrivá] provocava nelle numerarie ausiliarie, assegnate ai compiti domestici, dirette da una numeraria. Credo corretto considerare anche questo fatto come una mancanza di rispetto alla persona.

“Monsignor Escrivá le trattava come bambine e incoraggiava tale infantilità che rasentava la follia. Loro sapevano che erano ‘le piccole figlie del Padre’ e come tali si comportavano. Al punto che nella Casa di Roma la mentalità infantile delle inservienti era deplorevole. Era uno spettacolo tristissimo vedere anziane donne che agivano, a seguito dell’indottrinamento ricevuto, come creature di 13 anni».[33]

La dottrina rigida ed esagerata che stabiliva che tutto quello che decide il proprio direttore è volontà divina tendeva a provocare un comportamento crescente di obbedienza cieca, malgrado nei primi anni fosse sempre stata difesa l’obbedienza intelligente».[34]

A questo punto Rosal Cortés riporta la testimonianza di un ex numerario. Questo è il testo:

«“La formazione nel cosiddetto ‘spirito dell’Opera’ risulta per forza volontarista, ripetitiva di argomenti e frasi fatte, autoritaria e – ciò che è peggio – non razionale, perché viene insegnato solo a ricondurre tutti gli argomenti a un’equazione principale, tanto infallibile quanto fallace: ‘La volontà di Dio è uguale alla volontà dei direttori’, o viceversa. Che cosa succede quando qualcuno dimostra che questa equazione non è indefettibile, non è necessaria, e non è neanche vera? Succede allora che l’argomento intellettuale genera una crisi personale di ampia portata, sempre dolorosa e non priva di angoscia, le cui conseguenze vitali sono imprevedibili in ogni caso”».[35]

Rosal Cortés annota poi una sottolineatura: «Tutto quello che ho riferito […] riguardo alla crescente diminuzione del margine per l’esercizio della propria libertà e spontaneità costituisce anche una mancanza di rispetto della persona. Però, lo è pure il contributo personale volto a rovinare le vocazioni intellettuali, a motivo di una mancanza di empatia e comprensione verso il valore intrinseco, e non solo strumentale (per fare apostolato, o meglio proselitismo con i compagni) del lavoro scientifico, filosofico o teologico. Uno dei primi dodici membri dell’Opera, che era un architetto di prestigio e che ha sofferto molto fino alla sua uscita [dall’Opera], ha scritto: “Secondo la mia opinione, Padre Escrivá, che non era un intellettuale, non si rendeva conto delle profonde implicazioni che reca con sé una vera dedizione alla scienza”».[36]

 

3) Condotte compatibili con la sensibilità sociale e la sobrietà?

«Sono abbondanti gli aneddoti che sconcertano, non solo perché non possono conciliarsi con lo spirito di povertà, distacco e sobrietà che era richiesto a tutti i membri, ma perché in alcuni casi potevano provocare [in chi osservava] una pessima impressione di “nuovi ricchi” che spendono lasciandosi spingere dai propri capricci. È chiaro che la sua finalità soggettiva era che gli edifici principali dell’Opera di Dio dovevano essere attentamente curati, specie gli oratori, e dovevano durare per secoli. Ma le situazioni in cui improvvisava le spese, o permetteva un’attenzione esagerata ai suoi capricci, non potevano non danneggiare la sensibilità sociale di alcuni osservatori. Alcuni aneddoti sono sorprendenti e grotteschi:

“Gli piacevano oggetti costosi, ristoranti costosi e tutto di altissima qualità. In un’occasione fu a Siviglia e mangiò nella sala da pranzo della residenza studentesca maschile. Siccome la sala era molto grande, era divisa con due paraventi che appartenevano a un’aristocratica andalusa. […] Quando [Escrivá] vide i paraventi, la numeraria che stava in cucina occupandosi del cibo sentì che disse: ‘Questi paraventi a Roma’. Naturalmente la marchesa non poteva darli via e dette dei soldi per comprarne altri almeno simili.

Un altro fatto si verificò a Madrid con un tappeto d’epoca. Anche questo gli piacque e lo chiese alla gente dell’Opera. Ebbe la medesima risposta ricevuta a Siviglia. Non poteva prenderlo perché apparteneva al patrimonio di una famiglia. E così [i membri dell’Opera] andarono da un antiquario e comprarono un arazzo simile (un milione di ‘pesetas’ del periodo 1968-1969). […]

Comprò una grande zuppiera d’argento di oreficeria meravigliosa e disse: ‘Questa è per la Procura, così, quando verranno i Cardinali, resteranno a bocca aperta ed esclameranno – ah! –’. […]

Insegnava a noi nella biblioteca della Casa di Roma e diceva: ‘Questo piano è realizzato in onice. Le signore fanno anelli con queste pietre’.

Un’altra volta [si trattò di] una collezione di monete d’oro. Le ottenne come sempre attraverso dei ricchi soprannumerari, lo stesso [si verificò per] una collezione di ventagli antichi che voleva per una vetrina. Un’altra volta ottenne uno smeraldo di grande dimensione ‘per porlo nel fondo della coppa di un calice e nessuno lo avrebbe visto tranne Dio’. E dopo rimase esposto in sagrestia con luci indirette così da esser visto da tutti.

Un’altra volta andò a Lisbona con l’illusione di mangiare l’aragosta. Curiosamente quel giorno non la trovarono nel mercato. La sua rabbia era così grande che non voleva provare nulla e si seccò vedendo gli altri mangiare.

Gli piacevano i pasticceri. Aveva un gusto barocco, accentuato, e chiese di preparargli i pasticcini che gli piacevano. ‘Dai, andiamo a lavorare!’

Quando se ne andò, uscimmo subito a comprare il necessario, non dormimmo tutta la notte, così che quando si alzò li trovò già pronti.

Penso che fosse un uomo che ha sempre avuto i suoi capricci, la cui lista potrebbe essere infinita. Aveva tutto, tutto, tutto ciò che voleva […].

All’inizio del mio ingresso nell’Opus Dei, il fondatore vide che una ragazza della Casa in cui vivevo usciva in strada senza calze (questo avveniva nell’anno 1945) e mi disse di licenziarla. Il giorno dopo mi chiamò al telefono dicendo:

‘Hai licenziato l’inserviente?’

‘No padre. Mi ha dato pena buttarla per strada.’

Andò in collera e mi disse:

‘Pena solo con l’Opera! Licenziala immediatamente’”».[37]

 

La questione sociale

«Un numerario che fece parte dell’Opera anche per molti anni, dagli anni Quaranta del secolo passato [il XX], espresse la sua delusione con queste parole, riferendosi alla noncuranza di Escrivá rispetto alla questione sociale: “La santificazione del lavoro e degli obblighi di ogni giorno è un messaggio bello, semplice e pieno di speranza, interclasse e universale. Sempre che vengano inclusi gli obblighi sociali, che iniziano – ma non terminano – nell’ambito familiare. E sempre che si attribuisca ogni volta la massima importanza a una tradizione millenaria della Chiesa Cattolica, ai Concili e, in definitiva, ai Vangeli… piuttosto che alle parole forse occasionali di un uomo passionale nel drammatico contesto della guerra civile spagnola e della Seconda Guerra Mondiale. Che rispetto, senza condividere in assoluto il suo autoritarismo, la sua intolleranza con i dissidenti, né la sua assenza di dialettica interna”.[38]

Inoltre, si può considerare manifestazione di sensibilità sociale il fatto che tutti i membri con piena dedizione al lavoro interno dell’istituzione – siano essi laici o chierici – non versino contributi alla Previdenza Sociale, così che se arriva un giorno in cui decidono di andar via si ritrovano socialmente non protetti? È possibile che ci sia stato qualche cambiamento di recente, a causa di alcuni reclami o denunce. Non ne sono sicuro. Va tenuto presente che nel caso dei numerari, una grande maggioranza è sempre stata quella che non ha svolto un normale lavoro professionale nella società civile. Tra quelli che sono stati assegnati all’amministrazione delle case e dei centri dei membri dell’Opera – uomini o donne – oltre quelli che sono stati incaricati di concentrare il proprio lavoro su lavori aziendali, oltre coloro che si occupano di compiti burocratici come dirigenti o assistenti, sono stati ridotti a una piccola minoranza coloro che, per esercitare un lavoro civile, hanno dovuto versare contributi alla Previdenza Sociale. A livello maschile, da una fase iniziale in cui la grande maggioranza dei membri numerari e aggregati esercitava diverse professioni nella società civile, è andata aumentando la percentuale di coloro che sono coinvolti in compiti interni, la maggior parte in opere educative o aziende sociali o altre opere controllate indirettamente dall’istituzione. In apparenza, nel caso degli uomini, ciò che è stato realizzato per quanto riguarda il versamento del contributo alla Previdenza Sociale, è stato con una grande differenza rispetto a quanto accaduto con gli amministratori, le numerarie ausiliarie e i sacerdoti numerari».[39]

 

4) Condotte compatibili con l’amore alla Chiesa?

«In precedenza ho fatto riferimento ad alcuni di questi comportamenti, in particolare: a) il suo [di Escrivá] atteggiamento dispregiativo verso l’agire di Papa Pio XII, esprimendo rabbia in più occasioni davanti a un folto gruppo di giovani numerari [inseriti] nei corsi di formazione interna; b) ci sono anche testimonianze di alcuni aggettivi dispregiativi in riferimento ai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI; c) il suo chiaro disinteresse per le encicliche di questi ultimi due [Pontefici] sulla dottrina sociale della Chiesa; d) il suo modo un po’ sprezzante di proclamare, davanti a un uditorio numeroso, che se Paolo VI aveva deciso di sopprimere l’Indice dei libri proibiti, lui aveva deciso immediatamente di crearne uno suo. Al riguardo, questo era incomparabilmente più limitante di quello precedente, data l’abbondanza degli attuali teologi che furono censurati; e, in modo straordinario, dato il suo profondo disinteresse e disagio per il Concilio Vaticano II, nonostante il fatto che in alcune occasioni – ad esempio nel libro Conversaciones… – abbia elogiato il suo contributo, pur facendo riferimento solo ad alcuni contenuti.

Evocando gli anni del Concilio, durante la sua permanenza a Roma, una ex numeraria ha scritto: “Non si parlava della Chiesa, non si parlava dell’apostolato, si parlava solo di proselitismo. Non si parlava tanto di Dio come del Padre. Il Concilio Vaticano II si stava celebrando, però non fu menzionato in una sola ‘tertulia’”.[40]

In non poche occasioni, davanti a un pubblico molto vasto, si ascoltarono da Escrivá commenti esageratamente pessimisti e negativi sulla situazione della Chiesa dopo il Concilio; frasi che cominciavano con l’affermazione: “La Chiesa è corrotta…”, senza mai menzionare le realizzazioni e i risultati di valore di molti diversi gruppi ecclesiali in più parti del mondo».[41]

 

5) Condotte difficilmente compatibili con l’umiltà?

«Ho già fatto riferimento ad alcune di queste condotte di cui sono stato testimone diretto. Però ci sono altri esempi abbastanza accreditati come autentici. Un ex membro sacerdote numerario, poco prima di decidere la sua separazione e la successiva riduzione allo stato laicale, descrisse in una lettera alcune delle cause della sua delusione riguardo a Padre Escrivá. […]

Per quanto mi riguarda, furono molte altre le condotte concrete del fondatore che mi furono motivo di delusione, non vedendole compatibili con la virtù cristiana dell’umiltà. Segnalerò alcune:

a) Il fatto di aver permesso, o addirittura incoraggiato, un culto esagerato della sua persona e di aver stabilito il dovere di salutarlo con una genuflessione. Una manifestazione di questo culto era l’abitudine di preservare oggetti legati alla sua persona come tonache e vecchi pigiami, denti estratti o capelli di quando andava dal parrucchiere, venerati come reliquie future.

b) Il fatto di aver mutato il proprio cognome, e l’elaborazione di una storia familiare distorta, alla ricerca di cognomi che risalgono al passato e che pretendevano giustificare degli stemmi che erano preparati per essere collocati in molti edifici.

 

Escrivà con Giovanni XXIII

Escrivà (a sinistra) con Giovanni XXIII. Si nota la non cordialità.

 

Contemporaneamente affermava, di tanto in tanto, che non era altro che un povero peccatore e uno strumento inetto e sordo (che forse era un’affermazione saggia), ma penso che la seguente interpretazione di un ex prete numerario non sia molto sbagliata:

“Nell’Opera nessuno può essere ammirato, amato, onorato e glorificato tranne il Padre e, su scala minore e gradualmente, gli altri direttori. A nessuno può essere offerto un dono se non al Padre, nessuno può essere lodato e amato (e adorato) tranne lui. Solo a lui è permesso di essere o di mostrarsi buono e umile. Era solito dire: ‘Prega per me che sono un povero peccatore’. Ma se tu dicevi la stessa cosa, ti avrebbero detto ma chi pensavi di essere. Una simile umiltà la può solo avere il Padre. Si tratta di una Umiltà con la maiuscola, non della vera umiltà”.[42]

c) Attribuirsi un grado di unione con Dio eccezionale e unico, come si manifesta in questa dichiarazione che già mi sorprese durante gli ultimi anni della mia appartenenza all’Opera: “Miei figli, se non passate per la mia testa, se non passate per il mio cuore, avete equivocato il cammino, e non tenete Cristo in voi”. Da lì [ne consegue] che alcune volte si poteva sentire un direttore nel circolo settimanale di studi dichiarare quello che un ex membro ha riferito nel seguente paragrafo:

“Il relatore (dell’ultima conferenza inserita in uno degli esercizi spirituali) era un relatore qualificato dell’ambiente della Prelatura. E questo ha reso più inquietante il discorso ascoltato. In sintesi – una sintesi fatta dallo stesso relatore – disse (sic) letteralmente: ‘Dobbiamo essere come nostro Padre, il modello che Dio ci ha dato è San Josemarìa, e quando saremo più simili al Padre saremo più simili a Dio’. Chi parlava allora era certamente una brava persona. Sembrava convinto delle sue affermazioni, e si mantenne molto calmo.

Ma trovo preoccupanti queste espressioni, l’intenzionalità pastorale che serviva e anche il suo contesto, dal momento che si stabiliva di fatto una ‘mediazione’ di questo ‘nostro Padre’, analoga a quella del Verbo incarnato, per realizzare l’unione con Dio, in base al fatto di aver ricevuto la vocazione all’Opus Dei”.[43]

d) Il fatto di richiedere sempre un trattamento speciale. Ad esempio, stabilì che quando si recava in Spagna dovevano essere presenti ad accoglierlo i Ministri del Governo Franchista membri dell’Opera in quegli anni.

“Decise e fece rispettare [la prassi] che ogni volta che arrivava in Spagna, dovevano essere presenti ad attenderlo con le autorità dell’Opera, tutti i Ministri di Franco che appartenevano a quella. E quell’abitudine, non più importante di quando giungeva in aereo, ricevuto sempre in sala VIPs [Very Important Persons], risultò un po’ scioccante quando arrivava seguendo un percorso stradale, con Ullastres[44] e gli altri che dovevano recarsi per tale motivo a Irùn.[45] Tutto ciò era senza dubbio un qualcosa che ricordava gli usi riservati ai Vescovi, ai quali non aveva l’accesso desiderato”.[46]

Padre Escrivá di solito non andava alle riunioni ove non era chiaro in anticipo che sarebbe stata la persona più importante – afferma Antonio Pérez[47]. Ecco perché andava a così poche. Ma un pomeriggio Ruiz Jiménez[48] lo invitò a un ricevimento presso l’Ambasciata Spagnola e quando arrivò, lo salutò con un “come sta Padre Escrivá?”. Escrivá si voltò e se ne andò. Quindi Álvaro Portillo spiegò che questo non era il modo per trattarlo. Ruiz Jiménez avrebbe potuto dire “Padre” o “Monsignor Escrivá”, ma non “Padre Escrivá”.[49]

Vignetta satirica

Fonte: https://opusencastillayleon.wordpress.com/category/casa-aldebaran/

 

Alcune critiche a Escrivá de Balaguer vennero espresse in Spagna anche con vignette umoristiche.

“Due numerarie appositamente selezionate preparavano i suoi pasti con grande delicatezza e anche lo accompagnavano quando viaggiava, portando lattine di paté francese e fiori per le mense, così come altre provviste squisite, secondo la testimonianza di Rosario Badules. Mentre tutti i membri dell’Opus Dei hanno insistito sul fatto che mangiamo senza mettere in discussione ciò che ci hanno messo davanti, evitando eccezioni, il fondatore ha sempre viaggiato accompagnato da numerose numerarie che erano incaricate di preparare il cibo secondo i suoi gusti. Quando ciò non accadeva, erano frequenti scene violente di protesta, come quella che si verificò durante una delle sue visite al Collegio Maggiore ‘La Estila’ (Santiago de Compostela), in cui si mostrò molto contrariato per questioni meschine, come il tipo di pane che gli avevano dato, e inoltre gridò e manifestò il proprio disappunto perché in quei giorni non avevano l’acqua nel Collegio Maggiore per un guasto.

Penso conveniente far sapere che tale modo di lavorare con il fondatore è proseguito nel tempo a livello istituzionale, poiché è continuato con i suoi successori: questi viaggiano anche con un servizio speciale, anche quando vanno a mangiare in qualsiasi centro di Roma. È frequente che in questi viaggi si chieda alla numeraria del luogo esperta in cucina, con diversi mesi di anticipo (!), di preparare un progetto di menù, pensando anche alla presentazione estetica. Il progetto viene rivisto dall’Assessorato regionale e nella Sede Centrale, chiedendo di rifarlo tutte le volte che ciò era necessario, a volte [le modifiche] sono diventate più di una dozzina. Quale opinione può avere un Cristiano ordinario riguardo a questi modi di vivere? È possibile che siano tipici di un despota ‘marchese’ d’altri tempi, ma non costituiscono certamente un modello di santità per la gente ordinaria, semplice, che si sposta a piedi, che vive la povertà comune senza atteggiamenti clamorosi. Oppure, andiamo a convertire in ‘divine’ le raffinatezze mondane della comodità – non esente da classismo – con la scusa della secolarità?”.[50]

Quando Padre Escrivá veniva in Spagna, lo spreco era incredibile perché quando si trattava di lui, non si guardava affatto al denaro “perché uno solo è il Padre” si diceva. Conosco una persona che stava sul punto di lasciare l’Opera, perché in uno di quei viaggi l’avevano impegnata per tre giorni alla ricerca di un nasello da spiedino per i suoi pasti. Una volta Padre Escrivá disse: “Se tu fossi intelligente mi daresti ​​vino di marca in una brocca d’acqua, in modo che non me ne accorgessi”. Per mandarle a Roma ho comprato le cose più costose di Madrid, frutta fuori stagione, mandorle dolci trovate solo in un determinato posto (a proposito, un giorno andai a comprare delle caramelle e mi disse: “Le conosco, compravo grandi quantità da quello molto caro”). Tutto questo lo si inviava a Roma in modo che il Padre Escrivá lo potesse consegnare durante le “tertulias” [gli incontri].

In un’altra occasione, i nipoti di Padre Escrivà fecero la loro prima comunione presso il “Mulino Vecchio”. [Quel luogo] si trasformò in un negozio di fiori, tante erano le composizioni floreali presenti. Queste non provenivano nemmeno da Segovia che era accanto, ma da Burguiñon, il negozio più costoso di Madrid. Nella dispensa fu preparato ogni tipo di piccolo dolce in modo che i nipoti potessero prendere tutti quelli che gradivano.[51]

e) Le sue relazioni con le persone apparivano come uno sfruttamento. […] “La sua mentalità totalitaria invase tutto, anche il dominio delle sfere più intime della persona e della coscienza. L’ambito della libera autonomia in pratica non esisteva. E questo lo chiamava: ‘Essere totalmente devoti’. Però ciò non era un qualcosa di dedicato a Dio, ma all’impresa di Escrivá: era il richiamo a decidere tutto ciò che era importante e, una volta prese le grandi decisioni, la loro concretizzazione e realizzazione dovevano essere sostenute da coloro che lo servivano, indipendentemente dai sacrifici, per la loro piena realizzazione”.[52]

“Il lavaggio del cervello consiste precisamente nel far vedere ai membri, in particolare nella prima ora, che l’Opera è perfetta perché proviene da Dio e che qualunque cosa il Fondatore dica è divina anche perché è ispirata da Dio stesso.[53]

Da lì nasce la ‘divinizzazione’ delle azioni di governo, nella misura in cui le sue decisioni sono presentate come ‘realizzazione autentica’ dello spirito trasmesso dal Fondatore – sul quale non si discute o si polemizza – e, quindi, tanto ‘divino’ come lo spirito fondazionale. Non facendo distinzioni e non separando le tematiche [i diversi aspetti], l’istituzione sta diventando sempre più totalizzante, molto totalizzante e anche totalitaria.

Tutto ciò che è empirico è soppiantato dal mito e più tardi non si riconosce alle singole vocazioni una realtà distinta dalla vocazione unica del Fondatore; secondo questa opinione, nel Fondatore ‘reso un mito’ c’è tutto, e questo non è solo una causa esemplare, ma è anche una causa efficiente e formale di tutte le ‘chiamate’ all’Opus Dei”.[54]

f) La sua tendenza a contrariarsi quando erano altri a ricevere dimostrazioni di deferenza. Don Antonio Pérez, all’epoca in cui era consigliere dell’Opera in Spagna, durante un viaggio a Roma, incontrò un numerario peruviano, Lucho Sánchez Moreno[55], divenuto Vescovo. Don Antonio gli si avvicinò cordialmente per baciare l’anello pastorale. Osservando quel gesto, Padre Escrivá si contrariò e avvertì che “in casa, si bacia solo la mano del Padre”. Quando un membro dell’Opera iniziò a mettersi in evidenza e a entrare in competizione con il suo prestigio, venne rimosso e trasferito in altro luogo. Raimundo Panikkar[56], secondo Miguel Siguán, “fu un direttore spirituale in odore di moltitudini”, quando era cappellano del Collegio Maggiore della Moncloa.[57] Poco dopo, partecipò al tentativo di rinnovamento universitario di Laín Entralgo.[58] Apparentemente, la gelosia di Escrivá per la fama di Panikkar lo pose al margine a Salamanca per tre anni. [Panikkar] approfittò dell’occasione per studiare.[59]

Come ho già detto, era normale che Padre Escrivá non partecipasse a riunioni o celebrazioni in cui non era la persona principale, ad esempio: funerali di Vescovi o Cardinali, ordinazioni sacerdotali di membri numerari o aggregati, eccetera. Alcuni suoi segni di atteggiamento arrogante erano le reazioni violente [con riferimento] ad aspetti della decorazione di una casa che lo disgustavano».[60]

Sviluppo della ricerca storica. La salute mentale di Escrivá

I temi trattati, non gradevoli per alcuni, significativi per altri, conducono a loro volta gli storici (specie chi non è membro dell’Opus Dei) a compiere ulteriori passi avanti. Alcune realtà sembrano costituire una possibile materia di studio. Un primo itinerario di ricerca cerca di comprendere possibili aspetti della salute mentale del fondatore. Rosal Cortés, in particolare, fa riferimento al DSM-IV-TR[61] e indica i «trastornos de la personalidad» («disturbi della personalità»). Tali disturbi, sottolinea l’Autore, sono stati tenuti in considerazione dall’Istituto «Erich Fromm».[62] Lo studio in questione ha comunque integrato il manuale DSM con le opere di Theodore Millon[63], autore tra gli altri del volume: Disturbi della personalità. Oltre il DSM-IV (1995). Ugualmente, sono state recepite le concezioni sui disturbi della personalità legate all’analisi transazionale di Eric Berne[64], e al lavoro della Dottoressa Ana Gimeno-Bayòn[65], al quale ha collaborato lo stesso Rosal Cortés.

Scrive al riguardo quest’ultimo: «Nel DSM si distinguono dieci diversi tipi di disturbi della personalità, che nella classificazione di Millon – che a noi sembra più completa – sono estesi a quindici. Marcus Tank, in un eccellente studio, presenta e sostiene la sua ipotesi che Padre Escrivá probabilmente soffriva di un disturbo narcisistico della personalità nella sua vita».[66] Tank, pur seguendo una linea di comprensione, rileva comunque l’impressione che non devono essere mancate le occasioni in cui Escrivá era chiaramente consapevole di manipolare la verità per raggiungere i suoi scopi.[67] In tale contesto, ci si è interrogati sulle cause che possono aver innestato un «trastorno narcisista de personalidad». L’orientamento di più autori (cominciando da Rosal Cortés e da Marcus Tank) è che tale situazione avrebbe origine da frustrazioni subite da Escrivá in più momenti della sua vita: infanzia (dramma economico legato alle attività paterne), esperienza non gratificante presso il «Seminario de los pobres» (collegato al «Seminario de San Carlos de Zaragoza»), conflitti interni alla Spagna, criticità relazionali successive.[68]

 

Sviluppo della ricerca storica. Escrivá e gli ex numerari

Secondo più autori[69], l’attenzione alla struttura psichica della personalità di Escrivá mantiene a tutt’oggi un suo motivo perché può far comprendere taluni comportamenti segnalati da ex numerari. Tale percorso di ricerca rimane comunque solo uno dei progetti di indagine. Diversi storici, infatti, cercano oggi di focalizzare meglio il rapporto tra il fondatore e coloro che lasciarono l’Opera. Anche in questo caso si trovano, ad esempio, dei dati che non concordano tra loro. Da una parte, in più occasioni e pure per iscritto, Escrivá volle sempre accentuare la piena libertà di chi voleva entrare nell’Opus e di chi manifestava l’intenzione di uscirne: «Nell’Opera la porta è socchiusa per entrare e spalancata per uscire».[70]

Dall’altra, sono decine le testimonianze di persone che, lasciando l’Opera, hanno testimoniato la durezza di posizioni che non si conciliano con lo spirito del Vangelo. In particolare, ci sono tre situazioni che sembrano ripetersi in modo costante nelle dichiarazioni: 1) l’abitudine dei membri dell’Opus Dei ad abbandonare chi esce dalla Prelatura; 2) la politica della «terra bruciata» intorno a chi non è più numerario o numeraria (chi esce è considerato nemico); 3) l’attivarsi di una linea di maldicenza capace di infangare l’ex numerario e la ex numeraria, senza escludere neppure coloro che possono aver annotato rilievi non favorevoli pur rimanendo all’interno di studi scientifici.

Il 27 ottobre del 1972, un membro dell’Opus Dei (che ha pregato di rimanere anonimo) scrisse da Madrid a Escrivá in un periodo nel quale non aveva ancora deciso di lasciare l’Opera. Questo testo, sul piano storico, rimane significativo perché segna una richiesta di aiuto. Scrive tra l’altro l’Autore: «Caro Padre, approfittando del tuo soggiorno presso di noi, considero un dovere di coscienza scriverti per raccontarti e farti parte di una serie di problemi che negli ultimi tempi mi hanno preoccupato con intensità progressiva. Il tema centrale di queste preoccupazioni è qualcosa che mi interessa davvero molto, l’Opus Dei e in particolare, a mio avviso, una situazione di contraddizione che, penso, possa sorgere tra lo spirito dell’Opera e alcune manifestazioni ed eventi che stanno accadendo oggi a casa.

[…] Osservo con sorpresa come nell’Opera succedono cose che, a mio modo di vedere e dalla mia particolare prospettiva, si scontrano con lo spirito di libertà e di pluralismo che è essenziale nell’Opus Dei. [Noi] soci dell’Opera non siamo come gli altri Cristiani, “siamo gli altri Cristiani”. Padre, lo hai ripetuto a noi molte volte. Eppure, l’ambiente che chiameremmo “domestico”, interno, è in ogni caso, io penso, molto diverso rispetto alla realtà esterna, alla vita normale della Chiesa. Si censura una gran quantità di libri, praticamente tutta la teologia attuale, vengono aumentate in modo più o meno diretto riviste, editoriali, distributori di libri, correnti di pensiero, eccetera, tutto ciò implica, io penso, una rottura del pluralismo nato dallo spirito della casa.

L’esempio del distributore [“distribuidora”] “Delsa” penso sia abbastanza chiaro: se tutti i membri leggono praticamente negli stessi giorni gli stessi libri ufficialmente raccomandati dall’Opera, sembra ovvio, almeno mi sembra, che la libertà di opinione rimane condizionata dall’influenza dell’Opera su temi opinabili, poiché i soci ritengono, per la loro fiducia nell’Opera, che i punti di vista difesi in quei libri siano i migliori, punti di vista che seguono una linea conservatrice.

A parte questo, la diffusa critica e censura dei Vescovi, almeno di quelli spagnoli, come se tutti o quasi tutti fossero intorno all’eresia o, almeno, alla confusione, alla ripetizione (che a me suona trionfalista) che noi siamo al sicuro mentre la maggior parte delle istituzioni della Chiesa mostrano insicurezza o mostrano segni di imperfezione, il silenzio censurante sugli eventi della vita ecclesiale spagnola, che i nostri Vescovi a stragrande maggioranza hanno sostenuto, la raccomandazione predominante di alcuni testi del Magistero su altri (ad esempio, della Humanae Vitae, e non tanto della Populorum Progressio), eccetera; tutto ciò, inoltre, in una linea uniforme, che potremmo definire conservatrice, mi spaventa. Mi spaventa davvero, Padre.

Di quell’Opus Dei che Voi volevate senza nome, con riferimento a un’istituzione con influenza in molte aree della vita opinabili, attraverso non solo il lavoro professionale dei suoi soci, fino al supporto specifico della stessa istituzione (Università, collegi, editoriali, riviste, centri di distribuzione, librerie, centri di formazione di vario tipo, Collegi Maggiori, eccetera), vedo un salto che non arrivo a comprendere. Ciò potrebbe non essere così, ma sul piano personale mi sembra essere così e mi travolge. In molti momenti vivo una specie di doppia vita, parlo della stessa libertà degli altri Cristiani e avverto dei limiti reali che gli altri non hanno, affermo che l’Opus Dei non ha fini temporali (ne sono convinto) e che in questioni che la Chiesa ritiene opinabili i suoi soci hanno piena libertà, ed eludo [evito], o mi manifesto contraddittorio sul tema dei rapporti dell’Opera con questo o quell’organo di opinione, per fare un esempio.

Io so, Padre, come ho già detto, che l’Opus Dei ha da mantenere un modo di manifestarsi di tipo istituzionale. Affermare il contrario sarebbe poco scientifico, non sarebbe umano. Forse vorrei che il suo modo di manifestarsi fosse il meno accentuato possibile, così da ritenere quel modo il massimo consentito dallo spirito soprannaturale dell’Opera. Ciò che mi turba è l’estensione di queste istituzioni e l’impronta conservatrice che adottano. Riconosco che se quell’impronta fosse di segno opposto non mi turberebbe tanto, ma, senza pretendere che l’Opera si ponga all’avanguardia della Chiesa, visto che come istituzione deve muoversi in più luoghi, vorrei, e penso che ciò sia più conveniente al suo spirito di pluralismo e libertà, che almeno seguisse una linea conciliante, per favorire un processo di rinnovamento non brusco ma progressivo, tra i fedeli della Chiesa [“en el cuerpo medio de la Iglesia”].

Caro Padre, non so fino a che punto tutto ciò sia vero o si tratti di mie illusioni o deformazioni. Naturalmente, tutto è condizionato dal mio temperamento personale e dalle mie idee. Comunque, penso che ci siano dei dati e ritengo che il problema esista e che sia inevitabile. La situazione mi ha preoccupato profondamente per qualche tempo (so anche che non è solo mia) ed è per questo che volevo dirtelo. Mi chiedo spesso che cosa posso fare al riguardo, e penso che, a parte pregare e aspettare, posso fare molto poco o niente. La sensazione in questo senso è quella di [avere davanti] una struttura inavvicinabile e intangibile.

Padre, soprattutto credo nello Spirito Santo. Prego per le tue intenzioni e per l’Opera. Non smettere di pregare per me. Le manda un abbraccio e chiede la sua benedizione suo figlio (firma)».[71]

Alcune evidenze

Il testo della lettera che è stato riportato (tradotto dallo spagnolo) ha caratteri significativi perché attesta una sofferenza personale. L’Autore si è accorto che all’interno dell’Opera ci sono mutamenti, stanno avvenendo delle nuove scelte sul piano temporale mentre il sistema interno presenta criticità. A questo punto egli, dopo i contatti con i direttori, sceglie di scrivere direttamente al fondatore. Lo fa con rispetto e in modo filiale (ecco perché è stata scelta questa lettera). Studiando la vicenda si prende alla fine atto che l’Autore della lettera è rimasto solo. Non solo intorno a lui non vengono espresse delle comprensioni e non sono attivati tentativi di superamento almeno di alcune criticità, ma permane un silenzio anche da parte del fondatore. La persona avverte di essere divenuta estranea nell’Opera. Di essere stata posta ai margini. Da qui la scelta di uscire.

 

Sviluppo della ricerca storica. Il rinnovamento dell’Opus Dei

Esiste ancora un’altra strada che diversi storici stanno percorrendo, anche per compiti ricevuti. Tale orientamento tende ad affrontare un quesito: l’Opus Dei, oggi, è in una fase di rinnovamento o permane di fatto, al di là di dichiarazioni generiche, uno «status quo»?

Al riguardo, alcuni ricordano una frase di Escrivá: «Quanto all’Opus Dei, considerata nel suo insieme, si può ben affermare senza alcuna arroganza, grazie alla bontà di Dio, che non avrà mai problemi di adattamento al mondo: non si troverà mai nella necessità di “recuperare”» (CME, 72).[72] Anche i successori del fondatore hanno mantenuto tale linea. Intervistato da Marco Politi, il prelato Monsignor Javier Echevarría rimarcò un punto considerato chiave: «Io vedo ciò che ho sentito tante volte dire da San Josemaría Escrivá, non per orgoglio o superbia: che l’Opera non avrebbe avuto mai bisogno di nessun rinnovamento per adattarsi al mondo, perché il suo fine è di insegnare a tutti, a cominciare da noi, a santificare la quotidianità».[73] Il 1° ottobre del 2018 il prelato Monsignor Fernando Ocáriz Braña[74] ha voluto trasmettere una lettera pastorale ai membri dell’Opus Dei in occasione del 90° anniversario della fondazione dell’Istituzione.[75] Come è stato rilevato da più commentatori,[76] anche in tale occasione è stato evitato ogni riferimento a un possibile rinnovamento dell’Opera. Inoltre, sembra permanere un’assenza di riflessione sull’Opus Dei come una delle varie espressioni di Chiesa (e quindi come una Istituzione che si colloca in un rapporto di comunione con le altre Istituzioni cattoliche ispirate anch’esse da Dio).

Con il trascorrere del tempo, però, talune criticità si sono accentuate. Esse sono documentate, ad esempio, dall’uscita di numerari e di numerarie e dalle loro testimonianze (articoli, libri, interviste). Scrive al riguardo Ramón Rosal Cortés: «Durante gli ultimi otto o nove anni della mia presenza nell’Istituzione, ci sono state molte relazioni orali o scritte che ho indirizzato ai dirigenti spagnoli, presentando il mio stupore per le contraddizioni che ho riscontrato tra la prassi e alcuni principi dei documenti fondativi dell’Opus. La cieca fede che quasi tutti respiravano nella totale validità di una qualsiasi delle indicazioni o preferenze di Escrivá, lo stavo verificando, rendeva inutile questo tipo di riflessioni o dialoghi. […] Ho già citato brani tratti da lettere di ex membri, alcuni indirizzati al fondatore, in cui si manifesta una personale delusione per una serie di linee guida contraddittorie. Trascrivo di seguito uno dei tanti scritti o lettere che ho indirizzato a direttori di distinti livelli nell’istituzione (tutti i nomi che appaiono citati occupavano vari incarichi direttivi). Questa lettera è stata la mia risposta a una serie di correzioni che mi sono state indirizzate riguardo a sette punti. Scelgo qui le mie risposte all’accusa di aver manifestato condotte di sfiducia e disobbedienza ai direttori, di aver criticato le disposizioni interne riguardo alle letture, e di attribuirmi uno speciale carisma, che costituiva una malattia di orgoglio».[77]

Le risposte di Rosal Cortés furono precise e dettagliate. Lo stile rimane sempre rispettoso. Dalle diverse pagine si possono estrarre qui di seguito alcuni passaggi-chiave.[78]

« Che cosa si intende con il termine sfiducia? Considero la franchezza nella comunicazione con le persone come uno dei principali segni dell’esistenza della fiducia».

«Graduale sensazione di una incapacità psichica a resistere al regime imposto da una prassi e da un’interpretazione rigorista della stessa, ove si andavano accentuando in modo progressivo le disposizioni di tipo difensivo, preventivo, restrittivo in una linea integrista che rispetto e di cui tengo conto, però che mai corrisponde al mio temperamento e mentalità e nella quale mai mi sono sentito vincolato [considerato il fatto che] fin dall’inizio dei miei dubbi informai con ogni dettaglio in numerose e ampie comunicazioni tanto il mio direttore locale come [citate altre persone]».

«Do per scontato che nell’Opera l’obbedienza è intesa, non nel senso dell’obbedienza secondo lo stile del religioso, né secondo quello di altri “stati giuridici di perfezione”, ma nello stile che corrisponde a vivere questa virtù in una spiritualità secolare che è diretta a laici e a sacerdoti secolari. Il tema dell’obbedienza – come è logico – è appena accennato nelle Conversaciones… però tra gli altri aspetti propri di una spiritualità secolare si dice: “Voglio dire che diamo importanza primaria e fondamentale alla spontaneità apostolica della persona, alla sua iniziativa libera e responsabile, guidata dall’azione dello Spirito, e non dalle strutture organizzative, dai mandati, dalle tattiche e dai piani imposti dall’alto, nella sede del governo”».

«Si è aggiunto [alle precedenti contestazioni] in conclusione che la mia è una malattia di orgoglio, ove il male è nella testa. Che devo affidarmi completamente ai direttori, altrimenti agirebbe il potere di Satana. La mia risposta è: non intendo affatto cambiare le Costituzioni dell’Opera, pretesa che trovo grottesca e folle. Pretendo praticare la correzione fraterna, o proposte e suggerimenti convenienti, ai direttori – a ogni livello – i quali presentano una prassi contraddittoria con alcuni punti essenziali del Diritto interno e con i principali documenti del Padre. Pretendo far notare – perché in coscienza mi sento obbligato a farlo anche nel caso in cui la mia coscienza possa essersi sbagliata – che costituisce un grave danno per alcuni membri dell’Opera (quelli che non partecipano a una vibrante fede cieca, e che hanno determinate caratteristiche di temperamento e mentalità), e anche per il servizio alla Chiesa, lasciar posto a una realtà ove appaiono contraddizioni e incoerenze notevoli tra l’Opera degli scritti fondamentali e dell’informazione a uso pubblico […] e l’Opera concreta della prassi in vigore e soprattutto dell’interpretazione che di questa viene fatta dalla maggioranza dei direttori.

Questo è l’argomento di cui mi sono preparato senza indugio a scrivere per il Padre, poiché non farlo sarebbe stato una grave slealtà, un peccato contro l’unità dello spirito e una cooperazione colpevole (nel mio caso, per sentirlo in questo modo) dal danno che si produce nei membri dell’Opera.

Allo stesso modo che, secondo la dottrina comune in teologia fondamentale, un singolo criterio negativo di credibilità (ad esempio le contraddizioni o incoerenze intrinseche di una dottrina) invalida la natura soprannaturale di una presunta rivelazione religiosa divina, mi duole molto che si possa dare origine a questo modo di ostacolare la credibilità della natura soprannaturale dell’Opera, basandosi al momento sul fideismo dei caratteri di persone conservatrici.

Inoltre, il mio concetto sui carismi nella Chiesa si attiene con rigore alla dottrina del Magistero, specie nel numero 48 della Lumen Gentium».

 

Rinnovamento: la voce di ex numerari

Oltre a Ramón Rosal Cortés, sul tema del rinnovamento sono intervenuti altri ex numerari. Tra loro Carlo Maria (ha chiesto di non pubblicare il cognome). Questo Autore ha voluto ampliare l’analisi per inserirvi un ulteriore aspetto. Si tratta della non divulgazione all’esterno delle istanze interne di rinnovamento e di quelle trasmesse da chi è uscito dalla Prelatura. Al riguardo, ha ricordato che opera nell’Opus Dei un servizio, strutturato a livello nazionale e centrale, denominato: «Apostolato dell’opinione pubblica» (AOP). Tale definizione riprende un’espressione già ideata da altri autori nel 1947.[79] A Roma l’AOP ha un ufficio stampa esterno: una sorta di «opinion making». In tale contesto più autori si sono chiesti[80]: quale attenzione è riservata a chi esce dall’Opera? Dalle testimonianze di ex numerari si ricava l’impressione che all’interno dell’Istituzione vige il più totale silenzio su chi esce. Unitamente a ciò, nei rapporti esterni, il servizio AOP è stato anche incaricato di sfumare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle criticità evidenziate da più ambienti cattolici, da settori diversi delle Chiese locali, o dagli stessi ex membri della Prelatura. In pratica: si esprimono dubbi sulla loro attendibilità, si evita di rispondere nel merito ai rilievi evidenziati, si evita qualsiasi confronto reciproco o pubblico, si ripete che, in definitiva, si tratterebbe di opinioni isolate, provenienti da chi, dopo essere stato attratto dalla prospettiva di un Cristianesimo forte e impegnativo, non avrebbe saputo affrontare, per limiti personali, le conseguenze di una vocazione così esigente.

Gli ex numerari rispondono[81] che, al contrario, si tratterebbe di chi, dopo essere stato attirato attraverso la prospettiva di un Cristianesimo vigoroso, non si è lasciato controllare da direttive al di là di un certo limite. In secondo luogo, per gli ex numerari sarebbe necessario un sereno e leale confronto circa il merito delle criticità evidenziate. In terzo luogo, non si tratterebbe affatto di opinioni isolate: nell’era di internet non si possono più ignorare le centinaia di testimonianze dettagliate e concordi in senso negativo provenienti da ex numerari di più Paesi, poiché esse presentano contenuti gravi, precisi e orientati in una sola direzione.[82] In conclusione, esistono più voci (si tratta di interventi pubblicati e in rete) che, in nome di una trasparenza, chiedono alla Prelatura di far modificare taluni interventi dell’AOP.

 

Rinnovamento: silenzi e trasparenza

Nel contesto fin qui delineato sembra di comprendere che a tutt’oggi le indicazioni provenienti da direttive interne della Prelatura (fonte: ex numerari e numerarie; documenti pubblicati) restino su posizioni di silenzio (e di stretta autodifesa) sulla vita interna dell’Opera e sulle attività territoriali riconducibili all’agire di membri dell’Opera e alla presenza di sacerdoti numerari. Tale prassi, è stato rilevato[83], si trova comunque a essere rimodulata per eventi improvvisi e non positivi. Quest’ultimi sono noti anche all’opinione pubblica.[84] Ci si limita a dei cenni.

Nel 2003, il filosofo Eugenio Trías Sagnier, che appartenne all’Opus Dei nel 1960-1963, ha voluto pubblicare le sue memorie.[85] In questo testo ha voluto rivelare direttive interne trasmesse da Roma ai Centri dell’Opus Dei nel massimo segreto. Con tale scelta, ha inteso dimostrare le reali intenzioni dell’Istituzione e la sua strategia (pagine 240-241). Quest’ultima attività si trova pure evidenziata nella corrispondenza tra l’Ambasciatore Antonio Garrigues e il Ministro degli Esteri Spagnolo Fernando Castiella (4 aprile 1968).[86]

Il 27 luglio del 2016, in Francia, il tribunale di Amiens ha emanato un verdetto favorevole a Catherine Tissier. Quest’ultima, aveva accusato la direzione di una scuola alberghiera (promossa da membri dell’Opus Dei e seguita da sacerdoti numerari) di reati in materia di diritto del lavoro.[87] Nel marzo del 2014, in Portogallo, un sacerdote numerario, Don José Alfonso Guedes, si è reso protagonista di un episodio drammatico. Ha voluto porre termine alla propria vita con un suicidio. In precedenza, aveva espresso l’intenzione di uscire dall’Opera.[88] Il fatto ha destato impressione in molte persone.[89]

Mercoledì 5 marzo 2014, alle ore 21,25, in Argentina, un altro sacerdote numerario, Don Danilo Eterovic Garret, ha scelto di togliersi la vita gettandosi davanti a un treno in corsa.

Don Danilo Eterovic Garret

Don Danilo Eterovic Garret

In tasca aveva un biglietto: «Avvisa Padre Mariano Fazzio: Via Vicente López (Cap. Fed.) 1950 Tel. 4803-6071. Il PP Jorge C. mi ha detto che non ho incarichi per -sg -sr -sm (sono respinto). Sono molto MALATO - Non so come sono arrivato a questo». Gli acronimi si riferiscono a una classificazione interna degli apostolati della Prelatura (lavoro di San Rafael SR, con i giovani; lavoro di San Gabriel SG con le persone di solito sposate; lavoro di San Miguel SM che si fa con i numerari). Ciò che Don Danilo intendeva con quelle iniziali è che tutto il lavoro pastorale all’interno della Prelatura gli era stato tolto. Non è chiaro quando le autorità dell’Opus Dei si sono accorte della scomparsa di Don Danilo, e quando hanno iniziato ricerche. Tra le 21 e le 12,30 del giorno successivo, nessun superiore della Prelatura aveva avuto una chiara conoscenza della tragedia avvenuta quindici ore prima.

 

Giovedì 6 marzo, alle 11,20, dei poliziotti si recano presso un centro dell’Opus Dei per informare dell’accaduto, e per chiedere un «membro della famiglia» per identificare il cadavere. In quel centro viene dichiarato [confronta copia del verbale, pubblicata] che don Danilo «non vive [qui]» e «non è noto». Alle 12,35 di quello stesso giovedì, un membro della Commissione Regionale dell’Opera si presenta al personale dell’obitorio giudiziario per riprendere la salma di Don Danilo (consegna avvenuta dopo le 15,30). La notizia è ancora secretata. Alle 23, per via telematica, i membri dell’Opus Dei apprendono la vicenda.

Venerdì 7 marzo, alle 12, viene diramata una breve comunicazione ufficiale (malgrado la notorietà di Don Danilo e la sua anzianità di presenza in Argentina). Alle 13: celebrazione del rito funebre[90] e sepoltura (cimitero della Recoleta, a pochi metri dal Pilar). Nell’omelia della Messa, l’allora vicario regionale Don Mariano Fazio (destinatario del messaggio di don Danilo) ha affermato che «nella vita di Padre Danilo la sofferenza non era assente. Il dolore fisico e morale lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza. Il Signore avrà tolto molto bene da queste pene, per lui e per molte anime», e ha ricordato pure che «nella nostra famiglia ci amiamo con opere e verità».

A motivo della nota che ha lasciato, e del modo con il quale ha avuto fine la vita di Don Danilo, diversi Argentini ed ex numerari rimangono a tutt’oggi dubbiosi sulle effettive cure prestate al sacerdote, e su un reale accompagnamento affettuoso da parte dei membri e dei superiori della Prelatura. Nel dicembre 2014 Don Mariano Fazio è stato nominato Vicario generale dell’Opus Dei.[91]

Nel 2019 Vatican Insider (rubrica del quotidiano «La Stampa»), con molti altri media, ha riportato la notizia che la Prelatura ha dovuto risarcire una donna per le molestie sessuali subite da un sacerdote (Don C. John McCloskey) in anni precedenti. Nel 2002 questo prete era molto noto e attivo. Aveva il ruolo di direttore del «Catholic Information Center» di Washington DC. Solo dopo tre anni, l’Opera è riuscita a raggiungere un’intesa con la vittima pagandole un risarcimento di 977.000 dollari (circa 875.000 euro). E dopo diciassette anni si è avuta notizia della denuncia, resa pubblica nel gennaio 2019 dal «Washington Post». Sulla vicenda non si è arrivati a un processo. In questo caso si è trattato di una scelta della vittima che non ha voluto un dibattito in tribunale (creando così un pubblico scandalo) preferendo chiudere con un accordo dietro risarcimento.[92]

I fatti qui riportati, per cenni, non interessano per alimentare notiziari di cronaca. Per uno storico, che studia gli sviluppi dell’Opus Dei dal 1928 (Madrid) a oggi, costituiscono piuttosto delle vicende-segno, da avvicinare con rispetto e attenzione. Esse insegnano l’importanza in tutta la Chiesa – e quindi anche nella Prelatura – di mantenere una linea capace di tener conto di ogni fatto della vita. Di ogni vissuto. Di ogni richiesta, diretta o indiretta, di aiuto. Di ogni sensibilità. Di ogni limite umano. Di ogni criticità. Di qualsiasi realtà che esula da schemi rigidi predefiniti. In tal senso, secondo il parere di più studiosi[93], voler mantenere un velo di silenzio su vicende «difficili» non è da confermare ma da rimodulare. I mutamenti per un rinnovamento partono anche da qui.

 

Rinnovamento: identità e interazioni

Il tema del rinnovamento ecclesiale anche nell’Opus Dei, in sintonia con il Vaticano II e con l’insegnamento pontificio[94], trova un’ulteriore area di ricerca in talune situazioni che hanno sorpreso più studiosi. Ci si limiterà a dei cenni. Sul numero 17 del settimanale «Ora» (13 maggio 2020) si trova pubblicata la consueta rubrica Tra cielo e terra (pagina 10). Un sacerdote, Don Mauro Leonardi, risponde a domande dei lettori o commenta alcuni fatti. Quello che è stato segnalato da alcune persone (lettere ricevute) è la scheda di presentazione. Oltre al fatto che è un presbitero, si trova la nota: «Prete volontario a Rebibbia [dal 2018], blogger, scrittore, volto TV». Non è scritto che si tratta di un sacerdote numerario dell’Opus Dei (conosciuto a Como), attivo al Centro ELIS di Roma (collegato in più modi all’Opus, confronta l’interazione Escrivá-Paolo VI). Nel medesimo periodo, sul quotidiano «Nuovo» (numero 20, 20 maggio 2020, pagina 13), anche Monsignor Giovanni D’Ercole risponde ai lettori del periodico. In questo caso, pur potendolo fare (animatore di molti progetti, membro del Don Orione), non si presenta per le attività che sostiene ma per il suo ruolo base: egli è il Vescovo di Ascoli Piceno. In tal modo chi gli scrive sa esattamente che ha davanti un presule con precise posizioni dottrinali e pastorali. Da qui, alcuni suggeriscono all’Opus Dei un rinnovamento anche nel modo di presentarsi. Se un sacerdote è membro della Prelatura è giusto che si presenti ovunque come tale.

Oltre a Don Leonardi, alcuni studiosi (anche professori di storia della Chiesa) sono rimasti colpiti da altre vicende. Basti un cenno a una sola. Il Professor Luis Martínez Ferrer (nato a Madrid nel 1964) è un numerario della Prelatura. Ordinario di storia della Chiesa.[95] Vice direttore del Dipartimento di Storia Ecclesiastica. Nel suo impegno ecclesiale e scientifico è stato aiutato negli anni in molteplici occasioni.[96] Al di là di aspetti che allo storico interessano in modo limitato (il voler essere «padre spirituale» di laici; fitte addominali da ricondurre a vicende interne all’Opera; messaggi con parole così soppesate da far pensare a controlli interni; affermazioni non pacate) il punto è un altro. Si parte da un quesito. L’esperienza di interazione pluriennale con il Professor Ferrer attesta un rinnovamento nell’agire dei numerari? Sembrerebbe di no. Chi scrive ha letto i tre volumi di Andrés Vázquez de Prada.[97] Vari passaggi di questa opera, dati spuri e silenzi su precisi contesti, consigliavano un approfondimento. Ma con il docente questo dialogo tra storici non è stato possibile. Al di là di fatti contingenti che contrariavano il Professor Ferrer (ad esempio i riferimenti, in passeggiate, alla nota abitazione del Cardinale Julián Herranz, alla conosciuta amicizia tra il Vescovo Andrea Maria Erba e il prelato Echevarría), il docente ha reagito in modo non pacato quando una sera fu presentato come numerario dell’Opus Dei a un’anziana signorina dell’Opera della Regalità di Nostro Signor Gesù Cristo. Rimase non «sereno» in una mia conferenza all’Università della Santa Croce[98]. Non era gradita la presenza di tre amici: un Dirigente, ingegnere informatico[99]; il grande storico di Pio XII, il Gesuita Padre Peter Gumpel[100]; il Dirigente della Polizia di Stato, Dottor Raffaele Camposano[101]. L’«animus» del Professor Ferrer dette luogo anche ad altre vicende evitabili. In seguito, con i miei studi sugli ex numerari dell’Opus Dei, la non pacatezza del Professor Ferrer si espresse così[102]: con lui non si doveva più parlare di Escrivá e dell’Opus Dei.

 

Pur tenue, ciò sembrerebbe indicare un non rinnovamento. In pratica, chiunque fa rilievi sull’Opus Dei, o avvicina persone che non sono concordi su prassi della vita interna della Prelatura, è da allontanare. Da criticare. Da svalorizzare. Il rapporto con lui ha termine.[103] In tale contesto, su invito di Autorità Ecclesiastiche, sono stato pregato di continuare a trasmettere «on line» a Monsignor Mariano Fazio e al Professor Luis Martínez Ferrer le mie ricerche su Escrivá e l’Opus Dei. Il fine è di mantenere una linea di informazione (facendo conoscere fonti anche diverse da quelle dell’Opus Dei), trasparenza e comunione.

 

Qualche considerazione di sintesi

Nella storia della Chiesa, pur in presenza di avvenute canonizzazioni, molti storici hanno comunque continuato i loro studi su aspetti che riguardano un dato fondatore e la sua Opera. Sono nate da qui, ad esempio, la «questione francescana» (1893; su impulso del Calvinista Paul Sabatier), o quella delle fonti della dottrina cateriniana (affrontata da Giuliana Cavallini). I Papi hanno sempre incoraggiato ricerche su fondatori e su diverse espressioni ecclesiali al fine di oltrepassare posizioni retoriche, trionfalistiche, gli atteggiamenti falsamente umili e nascosti, e i dati spuri.[104] Inoltre, il contributo degli storici rimane molto importante nelle cause di canonizzazione.[105] È in tale contesto che si colloca anche questo studio. Quanto riportato è messo a disposizione della Comunità scientifica. Ogni studioso potrà rivedere le fonti, operare delle analisi comparate, individuare delle linee di tendenza, annotare impressioni e analisi.

 

Alcune indicazioni bibliografiche

Autori Vari, Pubblicazioni a cura dell’Istituto Storico dell’Opus Dei, Roma

Autori Vari, Testimonianze, articoli e libri sull’Opus Dei, in: Opus libros nueva web (on line), Madrid

Corrispondenza tra il Professor Luis Martínez Ferrer e il Professor Pier Luigi Guiducci (archivio privato Professor Pier Luigi Guiducci, fondo Opus Dei, numerari)

R. R. Cortés, Naufragio y rescate de un proyecto vital. Testimonio de un ex cura del Opus Dei (Naufragio e riscatto di un progetto vitale. Testimonianza di un ex sacerdote dell’Opus Dei), Editorial Milenio, Lleida 2010, 430 pagine)

E. Provera, Dentro l’Opus Dei, Chiarelettere, Milano 2016 (tre edizioni).

 

Ringraziamenti

Dottor Ramon Rosal Cortés, Direttore «Istituto Erich Fromm di Psicologia Umanista» di Barcellona. Ha donato copia del suo libro Naufragio y rescate de un proyecto vital con questa dedica: «Al profesor Pier Luigi Guiducci agradeciendo su valioso trabajo de investigaciòn historica, con especial afecto, Ramón Rosal, Barcelona, 5 Agosto, 2019» («Al professor Pier Luigi Guiducci ringraziandolo per il prezioso lavoro di ricerca storica, con particolare affetto, Ramón Rosal, Barcellona, ​​5 agosto 2019»). Dottoressa Ana Gimeno-Bayòn, co-Direttore «Istituto Erich Fromm di Psicologia Umanista» di Barcellona.

Traduzioni dallo spagnolo: Pier Luigi Guiducci.

 

Traducción al español por Ramón Rosal