KASPER, Walter; LEHMANN, Karl

Diavolo, demoni, possessione. Sulla realtà del male

2ª ed., Queriniana, 1985.

Recensión de dos artículos pertenecientes al libro Diavolo-demoni-possessione. Sulla realtà del male, contributi di Walter Kasper, Karl Kertelge, Karl Lehmann e Johannes Mischo, Queriniana 1985 (2ª edición italiana).

Los dos artículos de que trataré se enmarcan en el contexto de la polémica acerca de la existencia del diablo que se levantó hace unos años en el campo de la exégesis y de la teología especulativa. Ambos tienen en común la voluntad de defender la postura tradicional que mantiene la existencia de los ángeles y la personalidad del diablo, aun concediendo que es posible matizarla.

Iniciaré la exposición de cada uno con un esquema-resumen en italiano seguido de un breve juicio del contenido.

 Il problema teologico del male, Kasper, Walter.

L'annuncio fondamentale del Vangelo è che in Gesù Cristo, Signore di ogni realtà, Signore sulla vita e sulla morte, su tutti i principati e potestà del male, si è mostrato una volta per tutte Dio, per cui nella fede noi abbiamo la certezza che alla fine Dio sarà tutto in ogni cosa. Tutto ciò che teologicamente può e deve essere ancora detto, in definitiva non è altro che l'esplicitazione di questo enunciato.

La dottrina del male trova il suo più preciso sviluppo teologico nella dottrina della creazione. Per capire in un senso cristiano il problema del male bisogna escludere due estremi possibili: il dualismo e il monismo. In questo modo, rimane soltanto la possibilità di una determinazione metafisica del male. Questa è la risposta classica: la realtà è stata creata buona da Dio, e il male si è realizzato attraverso una decisione storica di una creazione dotata di liberta. Il mondo non esiste semplicemente ma avviene e si costituisce storicamente nel dialogo fra Dio e le sue creature libere. Ma Dio può volere la libertà soltanto accettando i rischi che essa comporta. La possibilità del male non deriva dell'imperfezione e debolezza della creazione ma, al contrario, della sua grandezza e dignità: la libertà e la persona. Così non è sostenibile teologicamente un male senza soggetto finito perché ci costringe a rendere Dio stesso causa del male.

Siccome l'uomo non si fa carico della realtà nella sua totalità ci si può domandare se esistono altri esseri liberi. La risposta ci viene dalla Rivelazione. Secondo essa gli angeli sono 'verità marginali', ma non perciò stanno affidati al nostro arbitrio. Invece c'è qualcosa di decisivo nella affermazione della sua esistenza: il senso universale-cosmologico del fatto redentivo di Gesù-Cristo.

Il male è niente (das Nichtige) non però nulla (das Nichts). Non soltanto si tratta di una carenza del bonum debitum ma la ribellione di una creatura libera. Il niente si può caratterizzare in un modo triplice: 1. È la libera negazione di Dio. 2. La negazione dell'essere divino di Dio e del suo piano salvifico in Gesù Cristo conduce alla privazione di grazia quale conseguenza del giudizio di Dio. 3. Per questo il male è una perversione di sé; è la potenza inquietante del caos nel cosmo creato da Dio.

Il diavolo è personale  secondo il concetto formale di persona, cioè, ha intelligenza e volontà, ma esiste personalmente nel modo della decomposizione o dissoluzione personale. È ciò significa che non è più un lui soltanto ma anche un esso, anzi è il sinonimo delle potenze impersonali e distruttive, del negativo e caotico presente nel mondo.

Il rapporto pratico col male deve tenere conto che: 1. Il discorso sul male è solo possibile in modo indiretto. Non c'è fede nel diavolo, ma rinuncia nel contesto della confessione battesimale. 2. Questo implica un atteggiamento di vigilanza. 3. Il più importante in questo rapporto è l'orazione. Ma non per questo dobbiamo rinunciare ai mezzi umani nella lotta contro le manifestazioni di esso.

VALORACIÓN DOCTRINAL

El artículo es una buena presentación del problema desde el punto de vista filosófico y teológico, y está en lo sustancial en pleno acuerdo con la Tradición y el Magisterio. Quizá se resiente un poco del ámbito polémico en el que está escrito al conceder, contra la opinión tradicional, que es discutible que la definición del Concilio Lateranense IV pretenda afirmar como contenido de fe la existencia de los ángeles (verdad de fe que, por otra parte, en ningún momento pone en duda). Al mismo tiempo, el autor exige una revisión urgente y radical de los criterios extrínsecos que enumera el Rituale Romano de 1614 para determinar la posesión diabólica. Por otra parte, resulta un poco ambigua la crítica a la interpretación tradicional del pecado original, concepto que califica de equívoco. En concreto, se refiere positivamente al abandono por parte de la mayor parte de los teólogos de la categoría 'hereditario', y su sustitución por categorías socio-ontológicas. El autor afirma expresamente que no es su intención tratar aquí este problema, pero el planteamiento que presenta adolece de cierta ambigüedad y, en mi opinión no hace justicia a la visión tradicional. No parece que una mejor explicación de dicha visión con el auxilio de aportaciones y categorías contemporáneas exija su abandono.

 Il diavolo, un essere personale?, Lehmann, Karl.

Ci sono tra i teologi voci contrarie a considerare il diavolo quale un essere personale. Nella teologia evangelica è un esempio Schleiermacher. Da parte cattolica, per esempio: Haag, per cui "nel Nuovo Testamento il concetto 'diavolo' sta semplicemente per quello di 'peccato'; e Duquoc che l'aveva messo ancor più seriamente in dubbio perché lo considera un alibi per eludere la responsabilità dell'uomo. In questo modo il diavolo sarebbe un chiave per la nostra comprensione di sé. La figura di Satana è funzione e simbolo, ma non persona e tentatore. Altri teologi presentano tesi più sfumate: Ratzinger lo caratterizza come la non-persona; Semmelroth afferma che "anche se noi potessimo sostenere che il diavolo, i demoni sono persone singole, dovremmo però anche tenere presente che questo enunciato non esprime in modo chiaramente ed inequivocabilmente adeguato ciò che esso effettivamente intende"; Beinert avverte che "nella misura in cui si scarica su di esso la colpa, cresce anche il male. E così si giunge facilmente anche a quelle demonizzazioni che rappresentano i lati più oscuri della storia umana". La discussione ha inizio con l'illuminismo e la sua minimizzazione del male. Bloch e Kolakowsky però hanno reagito contro questa corrente che ha lasciato dietro di sé un vuoto.

Le riflessioni più recenti sembrano confermare fondamentalmente che il problema di un essere personale non serve molto a chiarire l'origine del male nella storia umana. Sarebbe però semplicistico voler dedurre dalla Scrittura e Tradizione della Chiesa che il fenomeno 'Satana' servirebbe soltanto a 'chiarire' il mistero del male. Se si vuole interpretare il mysterium iniquitatis non si può esagerare sulla funzionalità di questa categoria.

In ultima analisi esistono soltanto tre modelli fondamentali di cui ci si serve per chiarire l'origine del male: il dualismo, il monismo e trarlo dalla libera decisione dello spirito finito. Soltanto quest'ultimo può essere accettato dai cristiani.

Attualmente si suppone, in un modo abbastanza irriflesso, che il responsabile sarebbe esclusivamente l'uomo, e così il diavolo sarebbe soltanto personificazione o ippostatizzazione del male. Ma qui si dimentica un'intera dimensione della dottrina tradizionale sul diavolo, cioè il suo inquadramento tra i puri spiriti finiti. La ragione umana non è affatto sinonimo dello spirito finito.

La riflessione antropologica sull'origine del male s'imbatte presto in un limite. L'esempio è Kant. L'uomo è un essere spirituale-corporeo, per cui nemmeno il peccato in lui è perfetto, c'è, allo stesso tempo, ostinazione e debolezza. Per cui il peccato dell'uomo tentato è di una struttura diversa da quella che presenta il peccato spontaneo, inventato dal puro spirito (Brunner). L'uomo non può sopportare da solo la piena e illimitata responsabilità per il male.

Sembra che, nei manuali di teologia dogmatica si esita ad impiegare il concetto di persona quando si qualifica il modo d'essere delle pure intelligenze. Ma secondo la definizione classica di Boezio —"persona est naturae rationalis individua substantia"—, resta però da chiarire il suo specifico essere personale.

Secondo San Tommaso ogni puro spirito è per se stesso una species. Le intelligenze pure sono individui in quanto formae. Ma così, praticamente, esplode lo stesso concetto di individuum. E questo si incontra in consonanza con il dato biblico secondo il quale il demone si presenta come un esemplare del demoniaco: uno qui è molti, e viceversa (Schlier).

Per Tommaso d'Aquino sono due gli elementi dell'essere personale che valgono per i puri spiriti, e cioè la loro natura spirituale e il loro essere reale. Estremamente importante è il fatto che più tardi è reticente ad applicare a loro la personalità. La ragione sta nel fatto "che non era possibile pensare la persona senza individualità. Ma Tommaso da una parte qualificava gli spiriti come forme pure, dall'altra la materia come principio d'individuazione" (Rast). Non tutti i pensatori anteriori e i suoi contemporanei s'adeguano a questo modo di parlare (meglio, di non parlare). Alessandro, Alberto, Bonaventura pensano che con la persona è dato anche l'individuum.

Questo non può servire però per confermare le posizioni che negano al diavolo l'esistenza e pure la 'personalità', ma mostra la profonda diversificazione e pure una profonda consapevolezza del problema. L'angelologia non è una oscura speculazione scolastica, perché essa ci delinea un concetto pienamente evoluto di spirito finito e chiarisce così un modo d'intendere la spiritualità umana, corporalizzata. Particolarmente approfondito è il concetto di libertà propria degli spiriti puri. La possessione totalmente autotrasparente della propria ragione fa' sì che l'indurimento e l'ostinazione non rappresentino per loro l'effetto di una condanna di Dio ma piuttosto "ex conditione naturae status". Secondo Giovanni Damasceno, affermazione che ci riferisce San Tommaso, "ciò che per gli angeli è la caduta (e in genere la prima scelta), per gli uomini è la morte".

Ma più importanti per riflettere sulla personalità del diavolo di queste indicazioni è una riflessione sul concetto di "persona". Dal punto di vista formale persona vuol dire essere creaturale dotato delle forze di conoscere e di volere. Oggi, nel nostro linguaggio influenzato dal personalismo, personalità contiene pure i momenti del rapporto Io-Tu, del dialogo, della comunicazione e della responsabilità. Negli ultimi decenni questo concetto di persona ha colorito a tal punto —anche se il più delle volte in modo atematico e larvato— il nostro modo di impiegare i termini, che non si riesce più a percepire il contenuto classico del termino.

Concepire la persona come un essere dotato della capacità di conoscere e volere significa rimanere in un concetto meramente formale di personalità. Ma se si prende sul serio questo concetto di personalità, lo si dovrà precisare anche nelle caratteristiche che ora elencheremo:

1. Satana è un essere dotato della capacità di conoscenza e di volontà, che però a lui non servono per conoscere il vero e per volere il bene.

2. Il potere delle tenebre, per sua essenza, non si rivela benché si manifesti. Esso può sviluppare la sua vera forza soltanto nelle tenebre. Il diavolo deve sempre celarsi e sottrarsi a qualsiasi identificazione. Se persona in questo senso afferma una relazione del tipo Io-Tu, una relazione dialogica, una comunicazione, una responsabilità e, infine, pure l'amore, allora il diavolo è l'esatta negazione della persona. Questo si manifesta anche nel fatto che a lui piace tramutare gli uomini in massa.

3. Questi tratti stanno pure ad indicare che l'essere personale del diavolo mostra delle qualità collettive, la tendenza al mascheramento, l'intenzione d'ingannare e il carattere particolarmente anonimo. Per cui non va imputata soltanto ad una oscurità di tipo filologico, ma dipende dall'essere stesso del diavolo l'impossibilità di tradurre sempre e chiaramente il termine biblico con un soggetto personale o impersonale: queste fluttuazioni si spiegano propriamente  con la forma ambigua dello stesso essere satanico. Partendo di questa esperienza si potrà facilmente comprendere il motivo per cui l'uomo dei nostri giorni, che dispone di un certo concetto di persona, nel diavolo preferisce  vedere un essere a-personale o una personificazione del male. L'uomo contemporaneo esperimenta soprattutto il demoniaco nei processi anonimi di annientamento piuttosto che nelle persone che dirigono la storia.

4. Risulta così chiaro nel suo complesso l'essere contraddittorio del diavolo: il male è il niente, e nessuno tende soltanto al male come tale. Per cui anche il diavolo deve apparire come angelo della luce e giocare il ruolo di seduttore. Conviene ricordare che persona ha linguisticamente a che vedere con maschera. E quindi nel problema dell'essenza del diavolo si riflette al tempo stesso anche l'intera storia problematica  e concettuale di persona.

Dobbiamo dunque eliminare dal nostro linguaggio il termine di "essere personale"? Sembra di no perché: a) l'angelo è una creatura di Dio, e perciò originariamente buona, e deve realizzare i beni a lui donati per potere essere malvaggio; b) per l'interpretazione del male questo elemento personale è anche necessario perché la realtà non è alterata o distrutta per la sua origine creaturale. Vale a dire, non si può fornire una interpretazione naturalistica del male. Questo ha la sua origine nella libertà creata e perciò incontra dei limiti nell'ordine della creazione e della redenzione. Ed è proprio questo che ci impedisce una mitizzazione delle forze del male e di tutte le forze demoniache.

La nostra interpretazione trova conferma nelle parole di Tommaso d'Aquino. Il diavolo, in statu purae naturae non avrebbe possibilità di peccare. È soltanto in base a la chiamata a partecipare della vita soprannaturale che può apparire il rifiuto e, dunque, il male. E così vediamo che il male, nelle sue radici, consiste in una mancanza di relazione personale.

 VALORACIÓN DOCTRINAL

El artículo analiza con profundidad el contexto teórico en que se ha desarrollado la negación de la personalidad del diablo, y justifica la importancia de mantener esta enseñanza tradicional, junto con el marco en que ésta se debe entender. El autor critica al documento de estudio de la Congregación para la Doctrina de la Fe, Fe cristiana y demonología (26.VI.1975) —cuyo contenido e intención desconozco—, por no tener en cuenta el análisis del género literario, el contexto histórico-religioso y la intención asertiva de los textos bíblicos y del magisterio que utiliza, y descalifica la concepción teológica tradicional, basada sobre el "viejo método fundamentalista de las concordancias".

El autor piensa que la afirmación tomista de que los espíritus puros agotan su species está en concordancia con el dato bíblico que presenta a los demonios de un modo colectivo. Para él dicha tesis comporta la explosión del concepto mismo de individuum. Por mi parte, no estoy seguro de entender este planteamiento. Probablemente el autor quiere hacer ver que la species del ángel, por ser naturalmente universal, si no está personalizada, por falta de relación personal, como ocurre con los demonios, carece en último extremo de individualidad, y por tanto se manifiesta como "masa" anónima. Aun concediendo lo sugerente de la propuesta, se me ocurre hacer una precisión. Me parece que el autor identifica apresuradamente la species con el universal. El universal se puede considerar como una species cuyo ser es meramente intencional, y que se puede referir a una pluralidad de individuos. La referencia universal-singular es vista por Tomás de Aquino como una correlación en el orden lógico de la concausalidad forma-materia, en que la última es el principio de individuación. Pero en el caso del espíritu puro es evidente que no se puede hablar de universal y singular, pues su forma no tiene nada que ver con la materia. Precisamente, para Tomás de Aquino, este tipo de formas no necesitan individuarse porque son de suyo individuales (en el sentido de no compartibles). De modo que, en este caso, lo que explota, antes que el concepto de individuum, es el de universal, porque la unidad formal no se vierte en la materia. Y también, en consecuencia, la noción de individuum aplicada a las personas adquiere necesariamente un sentido distinto, aunque no por eso menos "individual", en el sentido común de la palabra. En último extremo, la individualidad de los seres espirituales —incluido el hombre— se da en el orden del ser. Y quizá, contra lo que piensa el autor, esto no está tan alejado del pensamiento de Tomás de Aquino.

 

                                                                                                                J.I.M. (1996)

 

Volver al Índice de las Recensiones del Opus Dei

Ver Índice de las notas bibliográficas del Opus Dei

Ir al INDEX del Opus Dei

Ir a Libros silenciados y Documentos internos (del Opus Dei)

Ir a la página principal