COLLINS, John J.: Seers, Sibyls and Sages in Hellenistic-Roman Judaism, E.J. Brill, Leiden/New York/London 1997, 438 pp.

 

1. Si tratta di una collezione degli articoli più significativi di uno degli autori più rinomati nel campo della letteratura apocalittica e dell’ellenismo giudaico. Professore di Lingue Semitiche all’Università di Chicago, si è dedicato anche allo studio dei manoscritti del Qumran.

2. La maggior parte degli scritti di questo libro sono di tipo analitico e tecnico, senza appena sottofondo di tipo teologico. Alcuni dei saggi fondamentali, però, sembrano suggerire alcune posizioni teologiche non chiare, specialmente quelli intitolati: “Apocalyptic Eschatology as the Transcendence of Death” (pp. 75-97, più volte pubblicato) e “The Christian Adaptation of the Apocalyptic Genre” (pp. 115-127). L’autore mantiene che i protagonisti di tipo personale presentati nei testi apocalittici (Dio, gli angeli, i demoni) devono essere considerati in chiave mitologica (pp. 83 ss.). Pensa, appunto, che gli scritti apocalittici stanno in continuità con la letteratura sapienziale più che con quella profetica, perché offrono all’uomo delle rivelazioni divine riguardanti la sua situazione attuale, piuttosto che una promessa di futuro compimento per tutti gli uomini. In base agli scritti di Wilhelm Bousset (p. 59), Gerhard von Rad (p. 83), Rudolf Bultmann (p. 95), Charles H. Dodd (“l’escatologia realizzata”: p. 81) e Karl Rahner (p. 95), insegna che questa letteratura non fa riferimento ad una dottrina di due età successive nel tempo, ma piuttosto si riferisce una spiritualità esistenziale in due piani (pp. 90-97). Per questo l’escatologia apocalittica non è di tipo collettivo e pubblico, ma solo di tipo individuale. Perciò si avvicina molto alla dottrina ellenica dell’immortalità dell’anima. In essa “non si tratta della speranza di un evento puramente futuro… ma piuttosto della trascendenza della morte per giungere una forma più alta, angelica, di vita” (p. 97). L’autore non applica questa lettura dei testi apocalittici apertamente al Nuovo Testamento, sembra però che questa sia la sua intenzione, perché condivide la posizione di autori che fanno una lettura esistenzialista, presentista, o “realizzata” del Nuovo Testamento.

 

P.O. (2002)

 

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