CERETI, Giovanni

Per un'ecclesiologia ecumenica

Edizioni Dehoniane, Bologna 1997, 313 pp.

 

 

OSSERVAZIONI GENERALI

Il testo si presenta come un trattato di ecclesiologia con “un taglio particolare sotto il quale affrontare la riflessione, il taglio ecumenico” (p. 13). Dopo un breve primo capitolo di carattere storico, la prima parte (La Chiesa come mistero) tratta soprattutto dell'origine trinitaria della Chiesa, della Chiesa come comunione e dell'unità della Chiesa. Nella seconda parte (La Chiesa come popolo di Dio), l'Autore si sofferma sulle note di santità, cattolicità ed apostolicità. Nella terza parte (La strutturazione della Chiesa comunione: la Chiesa locale, la comunione fra le Chiese e la collegialità, il primato), partendo dalla realtà della Chiesa locale, studia la comunione fra le Chiese ed il Primato del Vescovo di Roma. Nella quarta parte (La Chiesa popolo di Dio in cammino verso il Regno), l'Autore si occupa della missione della Chiesa, soprattutto dei diversi aspetti della missione ad gentes, e infine tratta brevemente l'indole escatologica della Chiesa in terra e la sua unione con la Chiesa celeste.

Il volume è costruito principalmente in base ai Documenti ecumenici delle commissioni miste. La selezione di testi è ben fatta. Si avverte però la mancanza di osservazioni critiche che sarebbero necessarie nei confronti di questi documenti misti. Invece l'Autore si manifesta assai critico di fronte ad alcune posizioni dottrinali o pastorali tradizionali nella Chiesa. In questa linea sono anche frequenti le affermazioni che manifestano una visione piuttosto semplicistica di alcune questioni. Ad esempio, l'Autore mette in rapporto l'espressione "Chiesa militante" con le crociate, le persecuzioni degli eretici e degli ebrei, ecc. (cfr. p. 24); afferma che la molteplicità di carismi, di cui parla I Cor 12,4 ss., fu lasciata in ombra nel corso della storia, “forse per un'esigenza d'ordine e di disciplina nella comunità, che portava ad affidare tutti i servizi al ministero ordinato” (p. 107). Ci sono molti altri apprezzamenti semplicistici di tipo storico con più o meno rilevanza dottrinale (cfr. ad esempio, pp. 23, 34, 37, 91, 134, 172, 222, ecc).

L'Autore fa un uso scorretto del Magistero ecclesiastico, sia per l'omissione d'insegnamenti importanti in questa materia che per le interpretazioni forzate o sbagliate.

Per quanto riguarda le omissioni, sorprende specialmente che non faccia alcun riferimento alla Lettera Communionis notio, della Congregazione per la Dottrina della Fede, nemmeno nel primo capitolo (di carattere storico) sui principali documenti ecclesiologici dopo il Vaticano II.

Tra le interpretazioni forzate o sbagliate di testi magisteriali, la più rilevante è quella relativa al n. 8 della Cost. Lumen gentium (la questione del subsistit della Chiesa di Cristo nella Chiesa Cattolica). Trattandosi di un punto centrale, tornerò più avanti sull'argomento. Altri esempi dello stesso difetto si trovano a: p. 87, nel rimandare in calce a UR 7; pp. 119-120, rispetto a LG 11; p. 202, rispetto a LG 23; p. 276 rispetto a Redemptoris missio 33; p. 287, rispetto a LG 15.

Infine, come osservazione generale, bisogna dire che nel volume si trovano molti punti validi; ad esempio, l'introduzione al paragrafo 2.3 del cap. 10 (Il primato universale e la Chiesa di Roma) contiene una riflessione interessante sulla natura episcopale del Primato e sulla validità dell'elezione del Papa da parte del collegio dei Cardinali (pp. 236-237). È altresì approfondita la riflessione sulla costituzione Pastor Aeternus, commentando la giurisdizione ordinaria e immediata del Romano Pontefice, e sulla lettera dei Vescovi tedeschi dell'anno 1875 (pp. 240-241).

 

AFFERMAZIONI CONTRARIE ALLA DOTTRINA CATTOLICA

Nel volume di Cereti c'è, un errore di fondo, non affermato direttamente e in modo del tutto esplicito ma presente dappertutto. Si tratta di una concezione errata sull'unicità e sull'unità della Chiesa. In sostanza l'errore consiste nel ritenere che le Chiese non cattoliche e le altre comunità ecclesiali sono vere Chiese indipendentemente dalla Chiesa Cattolica, la quale sarebbe una vera Chiesa ma non l'unica Chiesa. Infatti:

a) secondo l'Autore, una “corretta interpretazione [di LG 8] ci consente di concludere che la Chiesa una non si identifica, ma semplicemente sussiste, è presente, emerge nella Chiesa cattolica, anche se pure al di fuori di essa possono essere presenti non solo "elementi" della vera Chiesa, ma la realtà stessa della Chiesa che può "sussistere" anche in altre comunità cristiane” (p. 63). Questo testo è accompagnato da una nota in calce dove si legge: “In LG 8 il riferimento agli "elementi" sembra essere una inavvertita sopravvivenza della redazione precedente. Il cambiamento del verbo avrebbe necessitato una più piena armonizzazione di tutto il passo. In ogni caso la redazione attuale può permettere di pensare che la Chiesa di Cristo "sussiste" anche in altre Chiese” (nota 39). Poche pagine dopo, l'Autore scrive che “l'identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, che sembrava richiesta dal magistero papale verso la metà di questo secolo, è stata rifiutata dal Concilio Vaticano II” (p. 67); e un po' più avanti, dalla lettura di UR 3 l'Autore conclude che anche nelle comunità cristiane che non hanno l'Eucaristia ed il Sacerdozio "sussiste" la Chiesa di Cristo (cfr. p. 68);

b) in stretta relazione con quanto appena detto, riferendosi alle “Chiese ortodosse orientali, le Chiese ortodosse bizantine, le Chiese della comunione anglicana, e le stesse Chiese luterane e riformate”, dice l'Autore che “a fianco della Chiesa cattolica, e pur senza essere ancora in piena comunione con essa, anche queste altre Chiese fanno parte dell'unica Chiesa di Cristo: come dimostra l'esempio delle Chiese ortodosse, la comunione con il vescovo di Roma non costituisce un prerequisito essenziale perché una comunità cristiana possa essere riconosciuta come autentica Chiesa” (p. 69);

c) nello stesso senso, l'Autore lascia intendere che anche all'interno delle diverse Chiese e comunità non in piena comunione con la Chiesa cattolica, si trova già una pienezza di comunione. Emblematici di questa visione sono i seguenti brani: “In altre parole, la piena comunione esiste soltanto nell'ambito delle diverse famiglie ecclesiali: la comunione della Chiesa cattolica romana, la comunione delle Chiese ortodosse, la comunione anglicana, ecc.” (p. 87); “Un autentico atteggiamento ecumenico esige che questo grado [di comunione] sia misurato in rapporto a Cristo e alla sua volontà sulla Chiesa, non all'una o all'altra comunità cristiana (cf. UR 7). Ciò impedisce a chiunque di credersi al primo posto, e di continuare a misurare gli altri in rapporto a se stesso” (p. 89).

A proposito dei Concili ecumenici, viene affermato che “non ci sono difficoltà per quanto riguarda i primi sette concili ecumenici, riconosciuti concordemente dall'oriente come dall'occidente, e soprattutto i primi quattro, considerati i pilastri della fede” (pp. 208-209). Invece, secondo l'Autore, ci sono difficoltà per riconoscere come ecumenici altri concili ritenuti tali dalla Chiesa Cattolica (cfr. p. 209).

Intorno alla nozione di Chiesa locale, vi sono anche delle affermazioni non aderenti alla dottrina cattolica. Così, ad esempio, a p. 199, riprendendo il testo del comitato misto cattolico-ortodosso in Francia, viene detto che “non esiste priorità né storica né ontologica della Chiesa universale sulla Chiesa locale o viceversa”, ignorando quindi l'esplicita affermazione contraria della Lett. Communionis notio, n. 9.

Nel capitolo 12, primo paragrafo (Chiesa perché), si trova un'analisi della necessità della Chiesa per la salvezza che non corrisponde alla verità così come è stata insegnata dal Magistero e si trova nel Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 846-847). L'Autore in questa parte segue l'opera di G. Canobbio, Chiesa perché. Salvezza dell'umanità e mediazione ecclesiale (San Paolo, Cisinello Balsamo, 1994), le cui conclusioni, dice Cereti, “ci paiono pienamente condivisibili” (p. 288). In queste conclusioni si afferma che vi è stato “un passaggio, dal problema dell'appartenenza (intesa in passato come condizione necessaria per la salvezza dei singoli), al problema della necessità della esistenza della Chiesa (e quindi della necessità della missione che le consente di continuare nella storia). La comunità cristiana esiste nella storia come sale e lievito per la salvezza di tutta l'umanità: tutti possono essere salvati senza appartenere di fatto alla Chiesa, ma non senza l'esistenza della Chiesa” (p. 288). E più avanti, citando sempre il libro di Canobbio, si legge: “Risulta evidente, da tale prospettiva, che il problema della necessità della Chiesa per la salvezza si fonda sulla natura della Chiesa e non riguarda direttamente il problema dell'appartenenza ad essa” (p. 289; cfr. anche p. 127).

 

AFFERMAZIONI CONFUSE E PERICOLOSE

Nel volume ci sono anche molte affermazioni confuse e pericolose. In alcuni casi si tratta di tesi erronee in sé stesse, ma non si riesce a sapere chiaramente se l'Autore le fa proprie oppure no.

Diverse volte si fanno riferimenti alla potestà del ministro ordinato di celebrare l'Eucaristia che, per il tono o il contesto, presentano tale potestà come un “aspetto discutibile” tipico della Chiesa cattolica (cfr. p. 24). Su questo tema si veda anche l'ambiguo commento dell'Autore al documento dell'assemblea di Fede e Costituzione tenutasi a Santiago di Compostela nel 1993, riguardante il ministro dell'Eucaristia: “Le difficoltà che restano sono legate soprattutto al problema della presidenza dell'eucaristia. A questo proposito, il Rapporto finale dell'assemblea di Santiago raccomandava di essere rispettosi della sensibilità e delle esigenze dei membri delle altre Chiese cristiane, facendo ricorso quanto possibile a ministri ordinati e ricordando che essi operano nel nome di Cristo e in piena comunione con l'intera comunità” (p. 82). Nello stesso senso, è insufficiente ed ambiguo dire che in “quanto servitore della comunione ecclesiale, il presbitero si vede riconosciuta anche la presidenza dell'eucaristia, che gli compete come a colui che presiede nella carità la comunione della comunità locale” (p. 191). In calce, l'Autore cita un testo della Commissione internazionale anglicana-cattolica, dove si legge che siccome l'Eucaristia “è il memoriale della riconciliazione e nutre la vita della Chiesa”, è “quindi giusto che presieda la celebrazione dell'eucaristia colui che nella Chiesa detiene il compito della supervisione ed è il centro della sua unità” (p. 191, nota 16).

È confuso parlare, senza le dovute sfumature e precisazioni, di collegialità episcopale nel caso di aggregazioni di vescovi tali come le conferenze episcopali, o i sinodi patriarcali (cfr. p. 202). Questi raggruppamenti sono espressioni dell'affectus collegialis ma, come ha ricordato il Papa, la collegialità episcopale, in senso proprio e stretto, appartiene soltanto all'intero collegio episcopale, il quale, come soggetto teologico, è indivisibile (cfr. Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990: AAS 83 [1991] 745-747).

Vi sono ambiguità e inesattezze anche in alcuni punti che sono visti dall'Autore come ostacoli all'unità e che invece appartengono alla dottrina cattolica: così, ad esempio, le considerazioni intorno alla confessione della fede apostolica (pp. 76-77), e il mettere come modello la comprehensiveness anglicana (p. 79). Allo stesso modo, di fronte alla disciplina della Chiesa riguardo la partecipazione all'Eucaristia di altre Chiese cristiane, l'Autore sembra difendere la “trasgressione creativa” (p. 83). Nello stesso senso scrive: “Quello che è importante ai fini della koinonía, è l'astensione da giudizi negativi sui comportamenti o sulle soluzioni date dalle altre Chiese cristiane ai diversi problemi, compreso quello dell'ordinazione delle donne” (p. 85).

Ambiguo sembra anche il paragrafo che l'Autore dedica al profetismo (L'ufficio profetico di tutto il popolo di Dio e il carisma specifico della profezia, pp. 161-166), perché si interpreta questo carisma in chiave anti-istituzionale. Così scrive: “In quanto ministero carismatico e non istituito, il profetismo gode di una singolare libertà: esso obbedisce solo alla propria coscienza di fronte a Dio” (p. 164).

Le divisioni tra i cristiani sono viste dall'Autore come un bene, dato che nonostante “gli scandali e le sofferenze cui hanno dato origine, (...) hanno potuto paradossalmente accrescere la cattolicità della Chiesa, almeno nel senso che ogni comunità e ogni confessione metteva in evidenza e sviluppava aspetti diversi dell'unico mistero cristiano, che forse sarebbero stati meno valorizzati in una Chiesa nella quale l'uniformità veniva talvolta confusa con la necessaria unità” (p. 140). Nel libro si trovano altre affermazioni simili; ad esempio: “si può persino pensare che la nascita delle diversità confessionali è stata consentita dal Signore perché la straordinaria ricchezza e inesauribilità del mistero divino non poteva essere rappresentata ed espressa sufficientemente in un'unica formulazione e in un'unica tradizione” (p. 92; cfr. anche p. 94 §2). Semplicistico, e non corrispondente alla realtà, è il paragone tra le diversità fra le confessioni cristiane e i diversi carismi di vita religiosa all'interno della Chiesa cattolica (p. 93).

Apprezzamenti simili si fanno in relazione alle religioni non cristiane (cfr. pp. 127-133): “Esse infatti hanno non soltanto un compito pedagogico nei confronti dei loro fedeli (cf. Gal 4,1-3), ma possono continuare a far crescere l'umanità verso il Regno, per condurre i credenti verso una profondità spirituale sempre maggiore. La loro scomparsa non farebbe altro che impoverire l'avventura spirituale dell'umanità” (p. 131).

Accanto alle considerazioni valide già rilevate sul tema del Primato (cfr. supra, n. 4), diverse sono pure le inesattezze e ambiguità su questo argomento. Citando il Gruppo de Dombes, si afferma che il “primato include un'autorità nella Chiesa, ma non il governo della Chiesa” (p. 219). Inoltre si legge che l'autorità del Papa, così come viene esercitata oggi, non è che l'estensione delle sue prerogative come patriarca d'occidente (cfr. pp. 230, 238), e il suo primato è un primato d'onore (cfr. p. 231). L'Autore ritiene che l'intervento “del vescovo di Roma dovrebbe dunque somigliarsi a quello di una sorta di istanza di appello che interviene in maniera piuttosto eccezionale” (p. 244).

Ci sono anche altri equivoci causati da omissioni importanti. Ad esempio, a pp. 159 e 167, nel parlare del sensus fidei manca il riferimento al Magistero. In questo contesto, l'Autore auspica la costruzione “sempre più insieme” di “quell'etica comune capace di essere accolta dalle giovani generazioni e della quale si sente oggi urgentemente il bisogno a livello universale” (p. 178). Con ciò viene relativizzato il Magistero morale della Chiesa. Confuse sono alcune delle considerazioni che si fanno in riferimento al diritto e all'ordinamento giuridico (cfr. pp. 143-146); così come a proposito del “dissenso” (pp. 169, 173 e 251).

 

CONCLUSIONE

Per finire, può essere utile riportare un brano che riassume in qualche modo l'idea sottostante tutto il volume: “Non sono infatti le diversità esistenti che fanno ostacolo alla koinonía, perché come si è appena detto nel mondo di oggi sentiamo che la diversità è una ricchezza che non deve andare assolutamente perduta, che essa è un dono dello Spirito, e che nonostante tutte le difficoltà create dalle nostre differenze noi dobbiamo salvaguardare questa varietà nella vita della Chiesa come una eredità preziosa. Ostacolo alla koinonía sono invece tutti i comportamenti che in qualsiasi modo sanno di arroganza ecclesiale: il proselitismo fra i membri delle altre Chiese, allorché si giudica la propria Chiesa migliore delle altre; il non riconoscimento delle altre Chiese e dei loro ministeri, che può essere vissuto come una umiliazione; la polemica circa l'ordinazione delle donne, che fa sì che le Chiese che ordinano le donne trattino con sufficienza le altre come retrograde, mentre le Chiese che non le ordinano giudicano le altre devianti dalla tradizione; il senso di superiorità e il disprezzo nei confronti delle altre Chiese” (p. 95). Il relativismo ecclesiale che manifestano queste affermazioni mi sembra palese.

F.O. (1998)

 

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