PIRANDELLO, Luigi

Così è (se vi pare)

Scritto nel 1917, questo celebre dramma in tre atti fu tratto dalla novella La Signora Frola e il Signor Ponza suo genero .

TRAMA

Siamo in un piccolo capoluogo di provincia italiano, in casa del Consigliere di Prefettura Agazzi. Un suo impiegato, da poco trasferito, di nome Ponza, ha un'organizzazione di vita singolare. Ha affittato due appartamenti: in uno vive con la suocera, Signora Frola; nell'altro vive sola, chiusa a chiave, la moglie. Madre e figlia comunicano solo con biglietti scambiati attraverso un panierino calato dalla finestra della figlia-moglie. Gli Agazzi, ed altre famiglie bene del paese sono rosi dalla curiosità di sapere il perchè di tali stranezze. Il cognato di Agazzi, Lamberto Laudisi, è invece profondamente scettico sulla possibilità di accertare una verità oggettiva, e deride gli sforzi di parenti ed amici: "...Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così... me ne starò zitto non dubitate. Tutt'al più farò fra me e me qualche risata; e se me ne scapperà qualcuna forte, mi scuserete" (cit. Atto primo, Scena seconda ).

Finalmente la signora Frola viene in visita a casa Agazzi ed espone la sua versione: "Ecco: egli (il genero) vuole il cuore della moglie tutto per sè, fino al punto che anche l'amore che la mia figliuola deve avere per la sua mamma, e l'ammette, come no? Altro! Ma vuole che mi arrivi attraverso lui, per mezzo di lui, ecco!... È come una pienezza di amore-chiusa-ecco sì esclusiva; nella quale la moglie deve vivere, senza mai uscirne, nella quale nessun altro deve entrare... Ma un egoismo che si dà tutto, come un mondo alla propria donna! Egoismo in fondo sarebbe forse il mio, se volessi forzare questo mondo chiuso d'amore, quando so che la mia figliuola ci vive felice; così adorata!... Il panierino che vado a tirare là nel cortile, porta su e giù, sempre due paroline di lettera, con le notizie della giornata. Mi basta questo. E ormai già mi sono abituata; rassegnata, là, se vogliono! Non ne soffro più" (cit Atto primo, Scena quarta ).

E adesso sentiamo il signor Ponza: "...La signora Frola è pazza... Da quattro anni... Non pare ma è pazza. E la sua pazzia consiste appunto nel credere che io non voglia farle vedere la figliuola. Quale figliuola, in nome di Dio, se è morta da quattro anni la sua figliuola?... Mi vide passare per via con questa mia seconda moglie, dalla finestra dove la tenevano custodita; credette di rivedere in lei, viva, la sua figliuola; e si mise a ridere, a tremar tutta; si sollevò d'un tratto dalla tetra disperazione in cui era caduta, per ritrovarsi in quest'altra follia, dapprima esultante, beata, poi a mano a mano più calma, ma angustiata così, in una rassegnazione in cui s'è piegata da sè; e tuttavia contenta, come han potuto vedere. È come guarita. Tanto che, a sentirla parlare, non sembra più pazza affatto... E ha per me veramente affetto e gratitudine. Perchè io cerco di assecondarla quanto più posso, anche a costo di gravi sacrifizii. Mi tocca Tener due case. Obbligo mia moglie, che per forttina si presta caritatevolmente, a riaffermarla in quella illusione: che sia sua figlia. S'affaccia alla finestra, le parla, le scrive. Ma, carità, dovere, fino ad un certo punto, signori! Non posso costringere mia moglie a convivere con lei. E intanto è come in carcere, quella disgraziata, chiusa a chiave, per paura che ella non le entri in casa. Sì è tranquilla, e poi così mite d'indole; ma capiranno, si sentirebe reccapricciare da capo a piedi, mia moglie, alle carezze che ella le farebbe" (cit. Atto primo, Scena quinta ).

Tutti i documenti che potrebbero servire di verifica sono andati perduti nel terremoto che ha distrutto il paese d'origine dei due. Laudisi propone come unica possibilità di soluzione (anche se lui mantiene il suo totale scetticismo) tentare di parlare con la nuora-moglie. L'incontro avviene ma la risposta è scorcertante: "Per me, io sono colei che mi si crede". Laudisi scoppia a ridere e si chiude il dramma (Atto terzo, Scena nona finale).

 VALUTAZIONE LETTERARIA

La vicenda è indubbiamente originale e avvincente, venata di soffusa ironia; il dialogo è condotto con vivacità ed equilibrio. Artificiosa la scena finale, con l'apparizione della nuora-moglie ed il suo interrogatorio (tra l'altro non si trovava nella novella originale); non si fa altro che ribadire senza necessità la tesi relativista di Laudisi-Pirandello, banalizzandola però, e sbiadendo l'atmosfera di mistero e paradosso suscitata dal dramma. Il personaggio di Laudisi esprime molto probabilmente il punto di vista dell'autore: la visione disincantata della realtà costituita dall'incontro-scontro di prospettive individuali, senza alcuna oggettività. Conscio della sua superiorità ironizza sulle pretese degli altri nel raggiungere la verità. Tuttavia questa ostentata sicurezza funzionale ad evidenziare, forse, la mediocrità ingenua del mondo piccolo-borghese, che lo circonda, impedisce di esplorare più a fondo l'inquietudine esistenziale di chi accetta di vivere consapevolmente senza verità. Emergono poi dallo sfondo di esteriorità e superficialità che colora i restanti personaggi le figure della signora Frola e di suo genero. Il loro diverso peso specifico è definito dal carico di sofferenza che coscientemente hanno assunto, ciascuno dei due con l'intenzione di assecondare l'altro. Sicuramente sono i personaggi più complessi e meglio rifiniti.

Si evidenziano perciò tre tipologie umane: Laudisi, che assume la propria condizione conscio di dover vivere senza senso e senza speranza, sorridendo degli sforzi e degli inganni a cui sottostanno gli altri; la suocera ed il genero, la cui dignità consiste nel soffrire lucidamente sapendo di non avere speranza ma ancora costruendosi un senso con il gusto dolce della compassione reciproca; infine gli altri, il gregge piccolo-borghese assorbiti dalle proprie passioni e dalle vicissitudini della vita, a cui atribuiscono pieno significato ed in cui ripongono le proprie speranze. Laudisi è forse il personaggio meno riuscito: perchè non soffre. Sa di falso è costruito il suo atteggiamento: più che un essere umano è la rappresentazione fredda di un'idea. La sofferenza fondata su un dato reale o solo frutto della imaginazione, comunque provata, e resa oggetto di riflessione, è il segno certo, universale della presenza dell'uomo. E' il suo distintivo nell'universo, la cifra che permette di introdursi alla comprensione del mistero umano e così comunicare sul serio con gli altri.

 VALUTAZIONE DOTTRINALE

Per Pirandello, il teatro è la forma della vita; il simbolo che ne svela l'intima essenza. La vita è un giuoco di forme, di maschere, come il teatro, ma dietro le quinte c'è il vuoto: è quello che sfugge al gregge della gente comune, immersa nei suoi meschini interessi. Ognuno cerca di aggrapparsi al suo personaggio, alla sua forma, perchè possa ottenere dinanzi agli altri, e quindi dinanzi anche a sè stesso, sicurezza e stabilità. Il processo non è mai pienamente consapevole nella maggioranza dei casi e porta con sè una quantità incredibile di conflitti interiori e tensioni con gli altri. L'eroismo è divenire consapevoli della finzione e accettarne il drammatico senso di vuoto; come Laudisi che esprime con fredda lucidità questa posizione, ma forse, in modo più umano, più reale, come la signora Frola ed il signor Ponza che addolciscono il loro peso con una ragione di solidarietà e di compassione.

L'opera termina con una petizione di principio: cioè si rafferma con l'artificio finale (lìntervento della nuora-moglie e la sua espressione: "Io sono colei che mi si crede"), la tesi di partenza di Laudisi-Pirandello, senza averla realmente dimostrata. E' indubbio che ciascuno di noi ha una sua percezione della realtà: una propria prospettiva limitata. Questo non significa che sia falsa. Dobbiamo partire dal presupposto evidente che la nostra conoscenza, i concetti che la mia intelligenza arriva a formare non possono mai esaurire il reale. Tuttavia essi possono progressivamente arricchirsi grazie a nuove acquisizioni "...come non esiste, nell'orizzonte della esperienza umana, una conoscenza puramente intellettiva o intellettuale (tutta la nostra conoscenza è nutrita di dati sensibili), così non esiste neppure una conoscenza puramente sensitiva: senso e intelletto sono due componenti della conoscenza umana. E cioè non è che i sensi mi facciano conoscere quest'albero e che poi io concepisca intellettivamente l'albero in generale. Quando conosco quest'albero, adopero già concetti universali: albero infatti vuol dire a fatta in un certo modo, e la nozione di cosa è una nozione universale. D'altra parte se, quando apprendo sensitivamente questo, sapessi già che è un albero e che cos'è quest'albero, non si sa perchè dovrei metterri a pensare l'albero in universale. E' che quando sento questa impressione di rugoso (nel tronco), liscio (nelle foglie), quando vedo questo color marrone e questo verde, e cerco di esprimere a me e agli altri che cosa è, lo esprimo in modo indeterminato e cerco di determinarlo via via fino ad avere la nozione di qualcosa che, per certe caratteristiche, posso distinguere dalle altre. Ora il saper esprimere solo in modo indeterminato cosa sia ciò che mi tocca è un segno di imperfezione (non a torto Heidegger dice che il pensiero è il marchio della finitezza: un intelletto infinito non pensa per concetti: intuisce) ma è una perfezione in confronto ad uno stato (che si può difficilmente immaginare, perchè non l'abbiamo mai provato) in cui fossimo confinati a subire o sentire impressioni senza saper esprimere cosa fossero"[1]. Accade lo stesso con il concetto di uomo: "bipede implume" dice qualcosa dell'uomo; "animale razionale" dice molto di più, senza per questo negare o contraddire il precedente. Si può, si potrà sempre andare più a fondo: l'antropologia filosofica e scientifica ha ancora molto da chiarire per esempio sul senso dell'amore nella vita dell'uomo, o sulla religiosità naturale, o sulla consistenza metafisica del suo essere spirituale. Quello che non si può accettare è la contraddizione, come nell'espressione della nuora-moglie; ma essa può vivere solo nelle parole; di per sè è impossibile nella realtà e impensabile logicamente.

Rifiutare infatti il principio di non contraddizione, cioè che una stessa cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo riferimento, significa che nessun concetto e nessuna parola possono avere senso. Se fossero coerenti, gli assertori della contraddizione dovrebbero come dice Aristotele nel libro quarto della Metafisica, restare muti ridotti come una pianta. Così è (anche se a loro non pare).

 

                                                                                                                  S.V. (1993)

 

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[1] SOFIA VANNI ROVIGHI, Introduzione allo studio di Kant, La Scuola, cit. p. 33.