RAHNER, Karl

Corso fondamentale sulla fede

Ed. Paoline, Alba 1977, pp. 598.

(tit. orig.: Grundkurs der Glaube. Einführung in den Begriff des Christentum, 1976)

 

1 — Cenni biografici.

Karl Rahner nasce a Friburgo, in Brisgovia, nel 1904. Dopo gli studi teologici, compiuti tra il 1929 e il 1932 a Valkenburg (Olanda), è ordinato sacerdote nella Compagnia di Gesù il 29 Luglio 1932. Tornato a Friburgo, s’iscrive alla facoltà di filosofia e vi si specializza sotto la guida di M. Heidegger.

Nel 1936 si laurea in teologia, conseguendo nel 1937 anche l'abilitazione all'insegnamento universitario. Impedito dai nazisti di esercitare durante la guerra la sua attività didattica, collabora all'istituto pastorale di Vienna e presta cura d'anime in Baviera. È di questo periodo una serie di corsi sul tema: l'antropologia considerata come punto di partenza della teologia. L'argomento era stato da Rahner già affrontato e svolto in Hörer des Wortes (1941; tr. it.: Uditori della parola, Borla, Torino 1967), la sua massima opera filosofica, già compiuta nel 1937.

Ordinario di Dogmatica a Innsbruck dal 1949, succede nel 1964 a Romano Guardini nella cattedra di dogmatica e filosofia della religione a Monaco, passando nel 1967 a Münster quale ordinario di dogmatica e storia del dogma. Al tempo del Concilio Vaticano II viene nominato da Giovanni XXIII tra i periti conciliari. Precedentemente Rahner si era posto in contrasto con taluni ambienti ecclesiastici che alla vigilia del Concilio gli avevano proibito di scrivere. Paolo VI lo nominò membro della Commissione Teologica Internazionale, incarico che svolse fino al 1972.

Ritiratosi dall'insegnamento nel 1971, rimase come professore onorario alla scuola superiore di filosofia di Monaco. Nel periodo tra il 1966 ed il 1976, "l'attività di Rahner fu caratterizzata da un impegno indefesso a favore della diffusione dei princìpi del Concilio e della particolare attenzione con cui egli seguì i nuovi movimenti postconciliari, impegnati nella problematica della secolarizzazione e nel 'dialogo' con l'ateismo e con il marxismo"[1]. È questo il periodo in cui il teologo tedesco viene ritenuto "la più forte potenza teologica del momento"[2]. Continuerà ad essere punto di riferimento della teologia cattolica postconciliare anche dopo la sua morte, avvenuta a Monaco nel 1984[3].

 

2 — Considerazioni previe sull'opera.

Corso fondamentale sulla fede è una delle opere della maturità di K. Rahner. Esso vede la luce nel 1976, in Germania, dopo una lunga serie di opuscoli, saggi ed altre opere che avevano fatto la fama del teologo di Friburgo.

Le attese da parte del pubblico erano tali che, ancor prima della commercializzazione dell'opera, la Herder aveva ricevuto 10.000 prenotazioni. Il numero di copie vendute raggiunse in quattro mesi le 30.000 unità.

In Corso fondamentale sulla fede Rahner sintetizza e rivisita le idee di fondo di altri suoi lavori: in concreto i fondamenti filosofici di Gest in Welt[4] e le idee che era andato divulgando nei suoi saggi di teologia[5]. Pertanto il presente volume ha uno scopo più pastorale che teologico propriamente inteso. Esso vuole essere un modo di presentare gli esiti, i risvolti pratici, di una visione "rinnovata" del cristianesimo per un cristiano moderno, tenendo conto dei presupposti che stanno nei lunghi anni di studio di R. In ogni modo, quella che è ritenuta la "somma teologica" di Rahner è il suo lessico teologico Sacramentum mundi (Morcelliana, Brescia 1974-1977, in 8 voll.); Corso fondamentale sulla fede ne è — possiamo dirlo adesso — come una insufficiente sintesi.

Fattore importante da tener presente per inquadrare bene l'opera, è —oltre la fama mondiale di cui godeva all'epoca l'autore— il periodo critico, per la Chiesa e la teologia, durante il quale il saggio fa la sua comparsa. La sua larga diffusione lascia intendere chiaramente il desiderio di ricerca di "nuovi" fondamenti teologici, in base ai quali 'impostare' nuovamente il cristianesimo in crisi.

 

3 — Schema del Corso fondamentale sulla fede.

Il tomo è suddiviso in nove sezioni che iniziano dalla considerazione che l'uomo è "l'uditore del messaggio" (sez. I) e "l'essere della trascendenza" (p. 54). Nelle osservazioni preliminari a questa prima sezione, R. aveva richiamato i principi base di tutto il suo pensare teologico: il soggetto che coglie se stesso nella conoscenza (p. 36), l'apriorità dell'"apertura radicale a Dio" (p. 36), l'esperienza trascendentale (p. 40) e la conoscenza atematica di Dio (p. 41).

Come si può ben intendere essi sono principi ereditati dall'idealismo tedesco (per quanto riguarda l'impostazione gnoseologica) e dalla filosofia heideggeriana (per ciò che riguarda i temi di antropologia filosofica). Essi orienteranno tutto il contenuto dell'opera. Diciamo subito che l'impiego di questi termini, a guisa di introduzione, risparmia al teologo tedesco la fatica di dilungarsi sulla loro fondamentazione. Allo stesso tempo però, vista la loro importanza fondante nel pensiero di Rahner, le poche linee che vogliono spiegarli risultano eccessivamente sintetiche. In altri termini, se non si conosce il significato che Rahner aveva dato a questi concetti nelle sue precedenti opere, non si riesce a penetrare davvero sul senso di tutto il Corso fondamentale sulla fede.

Riprendendo il filo conduttore dell'opera, nel pervenire al mistero assoluto di Dio (sez. II) l'uomo si riconosce come l'"essere radicalmente minacciato dalla colpa" (sez. III). È così che egli perviene alla conoscenza di Dio più completa, ossia come autocomunicazione assoluta, libera e perdonante (sez. IV).

Arrivato a questo punto l'autore affronta il problema storico dell'intrecciarsi di storia della salvezza e storia della Rivelazione (sez. V), per poi introdurci al vertice di tutta la Rivelazione: Gesù Cristo (sez. VI).

In questa sezione, centrale per tutta l'opera, Rahner affronta vari argomenti. Dapprima introduce ad una antropologia che veda la situazione dell'uomo nel cosmo (p. 237-261) e quindi situa la cristologia in questa ottica evolutiva della storia e del mondo. Poi parla del rapporto tra l'uomo e Cristo come rapporto di fede e profila così una sua cristologia trascendentale (p. 271-277). Tratta di seguito il problema dell'"Incarnazione di Dio", dell'esistenza del Gesù storico, del suo rapporto con la propria vita e la propria morte, dei miracoli, della Risurrezione e dell'esperienza che di essa avranno fatto i suoi discepoli.

Parlando dei limiti della cristologia classica, Rahner a questo punto illustra i principi e i vantaggi di una cristologia dal basso (p. 383-389) che conglobi in sé i dogmi di una fede ortodossa. La sezione si chiude su alcune considerazioni sulla relazione personale del cristiano con Gesù Cristo (p. 393-399) e la lettura dell'evento cristologico nelle religioni non cristiane (p. 400-412).

Le ultime tre sezioni —di contenuto poco originale— vertono sui temi dell'Ecclesiologia (la Chiesa dalla sua fondazione, l'autorità nella Chiesa, etc.) ed il rapporto Chiesa-Scrittura (sez. VII); le caratteristiche generali della vita cristiana ed i Sacramenti (sez. VIII); l'Escatologia (sez. IX).

 

4 — Esposizione e analisi critica di alcuni capisaldi del pensiero rahneriano in Corso fondamentale sulla fede.

4.1 — L'approccio filosofico.

È stato scritto, a ragione, che Rahner è uno dei primi teologi del nostro secolo che si pone seriamente il problema di ridare alla teologia un saldo supporto filosofico. Pertanto, nel tentativo di rendere "comprensibile" ed attuale il discorso teologico, egli muove la sua analisi in un contesto molto attento alle istanze filosofiche contemporanee, divenute di non facile approccio per la scienza teologica. Tali istanze, infatti, sono state, nel nostro secolo, specialmente alimentate da scienze umane estremamente diverse tra loro come la sociologia, l'antropologia, la psicologia etc.:

"Tutto ciò mostra quanto sia difficile creare una teologia scientifica. Essa è diventata da parte sua un coacervo enorme di singole scienze; deve necessariamente tenere i contatti con innumerevoli filosofie per essere scientifica in questo senso immediato; inoltre deve avere legami anche con le scienze che non si lasciano più interpretare filosoficamente". (p. 25)

In ogni modo Rahner è deciso sostenitore della nativa unità tra filosofia e teologia:

"Tale unità originaria infatti esiste già nella vita concreta del cristiano. Questi è un cristiano credente ed è nel contempo —e precisamente come esigenza della sua fede— un uomo che riflette sul complesso della sua esistenza". (p. 28)

Il problema sorge nel nostro autore quando i presupposti filosofici presi in prestito dall'ermeneutica contemporanea, non rispettano lo statuto epistemologico del dato della Rivelazione. In altri termini nel connubio filosofia/teologia Rahner usa degli strumenti filosofici che mal si adattano, per cui, adducendo la ragione che il linguaggio di rivelazione è divenuto incomprensibile a molti contemporanei, egli cerca di accomodare il messaggio cristiano all'orizzonte di comprensione dell'uomo. Così facendo però egli ne evacua il contenuto originale[6]. Si attua così, in una tale forma di pensiero, quella "riduzione antropologica" più evidente quando Rahner, trattando dell'uomo di fronte al mistero assoluto (sez II), afferma che "qui teologia e antropologia diventano necessariamente una cosa sola" (p. 71).

Fattosi difficile un discorso su Dio, dato il contesto ostile al pensiero metafisico —contesto in cui si muove Rahner e tutta la teologia della seconda metà del secolo XX— al nostro autore pare risolutivo volgere lo sguardo all'uomo. È in questa creatura, infatti, che troviamo un'apertura atematica, una tensione al trascendente che è la via da percorrere per reimpostare una significativa teologia, un'antropologia ed anche, come vedremo, una densa cristologia:

"Questa con-conoscenza del soggetto conoscente, con-conoscenza soggettiva, atematica, presente in ogni atto di conoscenza spirituale, necessaria ed ineliminabile, nonché la sua apertura alla sterminata ampiezza di tutta la realtà possibile, viene da noi denominata esperienza trascendentale" (p. 40).

L'esperienza trascendentale è un punto chiave del discorso di Rahner. Essa consiste in questo autotrascendimento di cui è capace l'uomo e che fa parte della struttura necessaria ed ineluttabile del soggetto conoscente[7].

"Questa apertura al mistero non è per K. Rahner solo uno spazio aperto che suscita la tensione dell'uomo il quale però resta confinato nei limiti categoriali dei suoi pensieri e desideri. Il senso di Dio, qui, non si riduce, come in Tillich, al significato che egli ha per noi, bensì Egli è il Trascendente che viene desiderato per se stesso.

"Così l'antropologia pone le premesse umane a priori, di un discorso sul trascendente come termine delle proiezioni dell'uomo alla ricerca del suo significato, ma non raggiungibile in sé con le sole forze umane. L'uomo trova nel più profondo della sua umanità quella apertura che lo costituisce fondamentalmente per ciò che egli stesso è: un essere “in attesa” del dono che Dio può fargli di sé"[8].

Il modo in cui Rahner giunge a questa esperienza trascendentale è attraverso l'applicazione del metodo trascendentale —intrapreso fra gli altri da J. Maréchal, suo maestro ed ispiratore. Un tale approccio tenta di ricostruire la metafisica accettando in qualche modo —anche se in un contesto non esclusivamente fenomenico e riveduto, in Rahner, alla luce della filosofia heideggeriana— il suggerimento kantiano di partire dalle strutture conoscitive per arrivare alle verità della metafisica. Un tale metodo, a parte ad essere insufficiente in quanto tenta di introdurre una mediazione razionale per affermare quanto invece è immediato[9], ripropone, camuffati, parecchi elementi dell'idealismo hegeliano e del trascendentalismo kantiano. Come ha giustamente fatto notare Kasper: "Rahner rimane ancora impigliato, e in misura notevole, nelle maglie della filosofia idealistica dell'identità, resta prigioniero dell'identificazione di essere e coscienza"[10].

Partendo quindi dalla constatazione che l'uomo si senta sempre riferito ad un mistero che lo trascende, per cui in ogni atto categoriale di conoscenza e di libertà egli si proietta oltre se stesso, Rahner comporrà tutta la sua antropologia teologica, e pretenderà anche di ricavare nuove luci per approfondire il mistero di Cristo. A tal proposito ricordiamo che il discorso rahneriano pretende di partire, interpretandolo —discutibilmente— e facendovi costante riferimento, dalla teoria gnoseologica di San Tommaso:

"Presupposto di una simile "cristologia ontologica" è l'intuizione, già presente nel tomismo classico, secondo la quale essere e coscienza sono in ultima analisi la stessa cosa, secondo la quale l'essere è dato nel grado in cui l'ente è "presso di sé", "ritorna" su se stesso, in tal modo è affidato a se medesimo nella conoscenza e nella libertà e proprio così è aperto alla totalità della realtà, è intellegens et intellectum (ens et verum convertuntur; in tantum aliquid est ens actu, in quantum est intellegens et intellectum actu; il grado della reditio in seipsum è identico col grado dell'esse in actu e viceversa)" (p. 390).

In realtà per San Tommaso essere e coscienza non sono, come sostiene Rahner, "in ultima analisi la stessa cosa"[11]. Una tale confusione —fonte praticamente della maggior parte delle affermazioni errate di Rahner— "è il problema che sta alla radice del pensiero rahneriano e che riguarda una certa ipoteca idealistica dell'identità per cui si passa indebitamente dalla sfera della coscienza a quella dell'essere oggettivo non evidenziando le tensioni esistenti tra coscienza ed essere per cui se l'uomo trascende con la sua coscienza il mondo, questo però non si lascia assorbire dalla sua coscienza"[12].

4.2 — La questione cristologica.

Rahner si è trovato di fronte ad una situazione di fatto della teologia, ad un clima teologico, in cui si respirava una forte antinomia Dio-uomo. Nel tentativo —riuscitogli in gran parte— di risolvere tale contrapposizione e di fondare l'essere dell'uomo nell'essere di Dio, gli era preclusa la strada più semplice. Ossia la ripresentazione di un pensiero teologico adatta alle circostanze attuali ma —come raccomandato anche dall'ultimo concilio[13]— sempre a partire dall'evento Cristo, pienezza della Rivelazione. Dunque, anche se Rahner, come abbiamo visto, nello sviluppo del suo pensiero teologico parte dalla questione gnoseologica[14], egli ha chiaro, sin da principio, verso dove puntare. La sua teologia ha un fine eminentemente pastorale[15], vuole arrivare a recuperare la significatività di Dio per l'uomo contemporaneo, per questo egli mette Cristo e la cristologia in un secondo piano rispetto all'antropologia. È partendo da quest'ultima che egli pretende di arrivare ad una nuova sintesi della dogmatica.

Ci sembra illuminante, per una tale prospettiva, il punto di partenza del pensiero rahneriano che peraltro è facilmente riscontrabile, in quanto appare come una "dichiarazione di intenti" sin dalle prime pagine del suo Corso fondamentale sulla fede:

"Anzitutto sembra necessaria grande cautela riguardo al concentrarsi sulla cristologia. (...) Non è vero che basta predicare Gesù Cristo e che in tal modo si sono risolti tutti i problemi. Gesù Cristo è un problema anche oggi, e per convincersene basta dare uno sguardo alla teologia demitizzante dell'era post-bultmanniana" (p. 31).

Insieme a Rahner darà questo sguardo anche praticamente tutta la teologia cattolica dopo di lui e si lascerà portare sul problema della costituzione dell'uomo[16], dove Rahner pensa di trovare un appoggio sicuro per evitare il discorso storico-esegetico, ormai criticamente compromesso[17].

In ogni caso il nostro autore, fa sempre riferimento all'importanza della fondamentazione storica di tutto il discorso teologico, anche se, rinviandola continuamente nel corso del libro, la relega ad un posto più che di second'ordine:

"Non partiamo dalla premessa che di Gesù conosceremmo qualcosa solo in una ricerca storica che avremmo intrapreso qui ed ora per la prima volta come per curiosità storica, bensì perché (come abbiamo già detto nel primo paragrafo) presupponiamo come esistente la fede del cristianesimo, anche se essa deve venir successivamente legittimata in una genuina riflessione storica nell'ambito di un lavoro teologico fondamentale" (p. 278)[18]. Così Rahner rivolge l'attenzione verso il mistero dell'incarnazione. Nel fatto che il Verbo diviene carne egli incentra la sua analisi antropologica e cristologica. In questa proposizione dei tre termini, “Dio”, “divenire”, “uomo”, Rahner parte dal più "sicuro", ossia dall'uomo. "Antecedentemente alla questione circa l'incontro con il Gesù storico concreto, ci chiediamo che cosa vuol propriamente dire il cristianesimo quando parla di una incarnazione di Dio" (p. 278)

In secondo momento rivede la cristologia alla luce di questi presupposti antropologici: "bisognerebbe riprendere e sviluppare in maniera nuova quelle riflessioni su una "cristologia trascendentale" che abbiamo delineato in maniera molto astratta e formale nel terzo paragrafo di questa sesta sezione e che perciò andrebbero ulteriormente completate" (ibid. 378). In realtà, nonostante gli sforzi, non sembra che Rahner riesca a motivare e fondamentare in modo soddisfacente il suo pur originale progetto cristologico:

"In una "cristologia trascendentale" si può illustrare l'idea che l'uomo è l'essere del desiderium naturale in visionem beatificam, del desiderio "naturale" della beatificante visione di Dio. A questo riguardo qui non ha alcuna importanza stabilire fino a che punto e in che senso l'ordinazione ontologica (desiderium) alla vicinanza immediata a Dio appartenga alla "natura" dell'uomo come entità astratta, oppure alla sua natura storica elevata dalla grazia (attraverso l'esistenziale soprannaturale che però è un dato ontologico fondamentale [ontologische Grundbefindlechkeit])" (p. 383-384).

"Il limite di una tale prospettiva che si propone di mediatizzare antropologicamente dal basso la cristologia oggettiva tradizionale (cristologia dall'alto), onde dare ragione o comprensione della universalità dell'evento cristologico nel quadro di un orizzonte storico della venuta di Dio nel mondo, è non solo quello concernente “lo scandalo della singolarità” dell'evento stesso cristologico nella sua novità, irriducibilità, specificità, ma anche lo stesso proposito inteso. Infatti, mentre da un lato, compromettendo l'autonomia di un pensiero antropologico filosofico, il progetto rahneriano sembra piuttosto voler “mediatizzare cristologicamente” l'antropologia, dall'altro lato, l'attenzione riservata alla struttura soggettiva trascendentale dell'uomo, limita con criterio troppo metafisico la pluralità del dato storico, la sua concretezza ed irriducibilità all'ordine intenzionale della conoscenza, che si ripercuote nello stesso avvenimento “oggettivo” della rivelazione compiuta in Gesù Cristo"[19].

4.3 — Antropologia: la condizione autonomica creaturale dell'uomo.

Punto centrale del progetto rahneriano è, come anche appare in Corso fondamentale sulla fede, dimostrare la ragionevolezza di un armonico rapporto tra Dio e l'uomo, salva facendo l'infinita distanza esistente tra creatore e creatura —urgente istanza critica da parte della teologia protestante, Barth in testa. Per far ciò Rahner vuole uscire dall'impostazione antropologica che tende a mostrare l'uomo come vincolato a Dio in tal modo che solo annientandosi può realizzarsi in quanto creatura. Per ciò mostra l'uomo come partner che Dio stesso vuole e cerca mettendolo nell'esistenza:

"Nel mentre egli, data la sua perenne pienezza infinita, si estrinseca, sorge l'altro come realtà divina sua propria. Già Agostino affermava che Dio assumit creando ed anche che assumendo creat: nel mentre estrinseca se stesso e perciò, ovviamente, è presente nella stessa estrinsecazione, egli crea. Crea la realtà umana nel mentre la assume come propria. Egli —il Logos— costituisce ciò che è distinto da sé nel mentre lo detiene come suo proprio, e viceversa: dal momento che egli vuole veramente avere l'altro come realtà sua propria, lo costituisce nella sua genuina realtà". (p. 290)

Una tale impostazione risponde alle istanze dell'antropologia filosofica che, sulla scia di Feuerbach, accusava il cristianesimo di costruire un Dio a "misura d'uomo" in quanto non era altro che la proiezione delle sue aspirazioni. Nello stesso tempo essa da ragione dell'anelito all'infinito presente in ogni uomo. Gli esistenziali fondamentali dell'uomo, dirà Rahner, "sono la permanente provenienza da Dio e la diversità radicale da lui" (p. 165).

L'uomo dunque è l'evento dell'autocomunicazione assoluta e radicale da parte di Dio (p. 182). Per illustrare questo concetto "dobbiamo guardare ancora una volta alla natura dell'uomo, natura che viene alla luce in maniera originaria nell'esperienza trascendentale" (p. 165) Perciò Rahner afferma:

"La creatura, in base alla sua essenza più intima e profonda, dev'essere concepita come la possibilità del poter-essere-assunta, dell'esser-materiale per una possibile storia di Dio. Nel creare la creatura, nel mentre la pone fuori dal nulla nella sua realtà propria, distinta da lui, Dio la abbozza come la grammatica di una possibile automanifestazione divina. Ed egli non la potrebbe progettare diversamente neppure qualora di fatto tacesse, perché anche questo silenzio da parte di Dio presupporrebbe pur sempre delle orecchie che odono il suo mutismo". (p. 290)

Appaiono però anche i limiti di una tale impostazione che, risolvendo alcuni versanti del problema autonomico uomo-Dio, ne crea altri. Di fatto è difficile all'interno dell'impostazione rahneriana, conservare illesa l'indipendenza della creatura, il cui essere sembra a volte dissolversi in quello del suo creatore:

"Partendo di qui potremmo definire l'uomo —ponendolo nel suo mistero estremo e più oscuro — come ciò che sorge quando l'autoespressione di Dio, la sua Parola, viene pronunciata con amore nel vuoto del nulla non-divino. Per questo infatti il Logos incarnato è stato pure chiamato la parola abbreviata di Dio. L'abbreviazione, la cifra di Dio stesso è l'uomo, cioè il Figlio dell'uomo e gli uomini, i quali in fondo esistono perché doveva esistere il Figlio dell'uomo" (p. 293).

In tal modo Rahner giungerà ad affermare che —anche se "già ora dobbiamo dire che l'uomo partecipa della natura divina, (...), che egli è già ora figlio di Dio e deve solo essere rivelato ciò che egli è già adesso" (p. 166)— d'altro canto "quando Dio vuole essere non-Dio, sorge l'uomo" (p. 293). Pertanto l'uomo sorge "originato da Dio, in quanto non-Dio e natura-non santa" (p. 115). Da questi presupposti e con questi accenti, è breve il passo che porta a considerare come non positivo tutto ciò che è 'creazione', in quanto "materiale dell'attività creativa dell'uomo" (ibid.).

Nella descrizione del processo realizzativo umano, Rahner fa uso di una terminologia senz'altro originale e a volte geniale, ma che stride con un'antropologia teologica che conosce l'uomo come realmente distinto da Dio. Così per esempio egli parla dell'"acquisizione attiva della propria pienezza da parte del vuoto" (p. 245). Ci sembra eccessivo, anche dato per buono il punto di partenza dell'"abisso assoluto esistente tra Dio e il non-divino" (p. 118), definire l'uomo come il "vuoto".

Ambiguo è anche lo sviluppo dell'idea di autocomunicazione di Dio, che pure è tipico della terminologia rahneriana ed al quale è difficile dare un significato univoco:

"Nell'autocomunicazione Dio, nel suo essere assoluto, si rapporta all'esistente creato come causa formale, cioè egli nella creatura, originariamente non produce né realizza qualcosa di diverso da sé, bensì, comunicando la sua propria realtà divina, ne fa il costitutivo del compimento della creatura" (p. 168).

Qui per esempio non si sa come intendere il termine "causa formale" che sembra annullare una propria identità reale dell'uomo ridotto alla "grammatica" per un'autocomunicazione di Dio. A questo punto ci si potrebbe chiedere se l'uomo ne è la grammatica a chi vuol parlare Dio? La creaturalità umana è ben difesa nella sua origine ma non nella sua autonomia.

4.4 — Soteriologia.

A tal riguardo Rahner mostra le stesse esigenze di cambiamento del discorso soteriologico avvertite da gran parte della teologia moderno-contemporanea:

"La soteriologia classica non si è spinta al di là delle affermazioni del Nuovo Testamento, semmai le abbia raggiunte. Se prescindiamo da una dottrina della redenzione fisica, presente nella patristica greca, secondo la quale il mondo appare già salvato per il fatto che nell'umanità di Gesù esso è fisicamente e indissolubilmente unito con la Divinità, e se lasciamo da parte alcune rappresentazioni di tipo piuttosto immaginoso presenti nella patristica (riscatto dell'uomo ad opera di Cristo dalla potestà in un primo momento legittima del diavolo; raggiro del diavolo, che si inganna nei confronti di Cristo ecc.), vediamo che il medioevo, a partire da Anselmo di Canterbury, cerca di illustrare l'idea biblica della redenzione mediante un sacrificio espiatorio, mediante il sangue di Gesù (...)"(p. 371).

"Questa teoria soddisfattoria — continua il nostro autore — è corrente a partire dal medioevo (e facilmente comprensibile a una mentalità germanica) e compare di passaggio anche in enunciati del magistero ecclesiastico, senza però che il magistero straordinario della chiesa abbia mai preso una posizione molto approfondita nei suoi confronti"(p. 372). Nonostante ciò Rahner non andrà oltre, nel suo saggio, in tema soteriologico. Egli si limita qui a manifestare ulteriormente il disagio della teologia che ha perso la sua unitarietà ed i cui limiti si riflettono anche in questo campo.

4.5 — Revisione delle formule dogmatiche.

In tema di rapporti con il Magistero, i toni di Rahner si sforzano generalmente di essere rispettosi, tranne qualche appunto che, più che di dissenso, può definirsi di polemica[20]. Così egli si riferisce alle presunte difficoltà che la terminologia classica può talvolta presentare: "Quando l'ortodossa cristologia discendente dell'incarnazione dice: questo Gesù "è" Dio, ciò è una verità di fede perenne se questa proposizione viene intesa rettamente; essa però può anche venir intesa in senso monofisitico — e quindi eretico—" (p. 374).

Rahner sa bene, ed afferma, che "il senso dell''è' in comunicazione d'idiomi usate nella cristologia non si basa davvero su una tale identificazione reale, bensì su un'unità unica — che non ricorre altrove e che rimane un profondo mistero — fra realtà realmente diverse, infinitamente distanti l'una dall'altra". Tuttavia ancora una volta la sua posizione è confusa quando afferma che "Gesù, nella e secondo la sua umanità che noi vediamo quando diciamo "Gesù", non è Dio, e Dio, nella e secondo la sua divinità, non è "uomo" nel senso di un'identificazione reale" (ibid.)[21]. Ciò lo porta ad esprimere riserve di peso sulla formula cristologica calcedoniana:

"L''adiairetos' (indivise) calcedonese, che questo 'è' vuole esprimere (DS 302), questo 'è' lo esprime in maniera tale che l''asynchytos' (inconfuse) della stessa formula non viene enunciato, e così l'enunciazione rischia sempre di venire intesa in maniera 'monofisitica', ossia come una formula che semplicemente identifica soggetto e predicato" (p. 374).

Dopo questa critica sostanziale e diretta Rahner comunque ha l'"accortezza" di affermare che "tali formule, che vengono avvertite come scibbolet o parole d'ordine dell'ortodossia (“Per te Gesù è Dio?”, sì!), non vogliono una cosa del genere, ma nemmeno la impediscono positivamente" (p. 374). Egli si muove sempre con la motivazione di rendere più "dialogante" il linguaggio di fede per gli uomini del nostro tempo: "La persona pia al modo tradizionale non trova alcun nocumento in tali fraintendimenti concomitanti, bensì li avverte piuttosto come la radicalità di una fede ortodossa. Invece gli uomini d'oggi inclinano in vari modi a vedere tali fraintendimenti quali momenti della fede ortodossa e a rifiutare quest'ultima come mitologia, il che, data questa premessa, è semplicemente legittimo. (374)

L'argomento che sta sotteso alla sintetica e superficiale impostazione rahneriana è quello delle critiche ad una supposta ellenizzazione del linguaggio di fede nel periodo di Calcedonia e successivo. "Ma le obiezioni vere e proprie trovano riscontro nel primo periodo dell'era moderna con l'intervento di Lutero, il quale, pur aderendo allora, alla cristologia di Calcedonia testimoniava già l'insorgere della crisi culturale moderna tendente a scindere l'in sé della realtà (noumenon) con il suo apparire (phaenómenon) a noi"[22].

Avendo presente il rapporto cristologia-soteriologia alla luce della crisi di una teologia unitaria, possiamo dire che qui si incontra per la prima volta una obiezione che denota una frattura tra il linguaggio dogmatico della fede e l'esperienza della coscienza credente. "Questa difficoltà ha un certo seguito nel nostro tempo, sotto l'influsso del soggettivismo di F. Schleiermacher, come si nota nella cristologia di R. Bultmann e di P. Tillich con l'accusa contro il linguaggio dogmatico di Calcedonia come inadeguato, per la sua forma concettuale, mutuata dalla cultura ellenistica, di carattere astratto ed essenzialistico, non in grado di sciogliere il dilemma concettuale della cristologia antica"[23].

Nel rispondere a tale critica di ellenizzazione del kerigma cristologico si deve fare presente che "non ogni 'ellenizzazione', 'romanizzazione', 'germanizzazione' è in sé una corruzione del cristianesimo: “queste forme in sé attestano semplicemente che la religione cristiana nei periodi in questione è stata meditata ed assimilata autonomamente e che è divenuta parte costitutiva della cultura dei popoli”[24]. "Qualora l'evangelizzazione soggiacesse al predominio rigido degli schemi culturali, per un presunto più facile intento di “comprensione” della fede, allora si determinerebbe uno scadimento dell'identità del kerigma, una sua deformazione eterodossa"[25].

Nel nostro caso però, "non si può stabilire che la formula calcedonese rappresenti una contaminazione del kerigma, un passaggio dal predominio dell'annuncio dell'incarnazione come evento storico soteriologico ad una considerazione puramente strutturale metafisica, per il solo uso di termini greci che non compaiono nel greco del NT.(...) Il credo cristologico di Calcedonia più che compimento di un processo ellenizzante è una crisi di questo processo compiuta proprio a beneficio di una più chiara affermazione, con l'ausilio dei termini greci, della verità teologica del mistero cristiano"[26].

È sorprendente la posizione di Rahner, anche tenuto conto che, in studi precedenti, egli aveva colto perfettamente il valore soteriologico della formula di Calcedonia, rilevando che essa mirava a salvaguardare quella unica prossimità di Dio e dell'uomo in Gesù-Cristo che non si risolve a detrimento dell'uomo[27]. "Mentre nel contesto culturale religioso dell'antichità tardiva era divenuto corrente l'ideale di assimilazione dell'uomo a Dio (divinizzazione) che si risolveva però in una perdita dell'identità dell'uomo, in un suo assorbimento nell'essere assoluto divino, per il dogma calcedonese, la prossimità di Dio non comporta la fine dell'uomo, ma la sua promozione più perfetta, sia nella sua integrità (tutto l'uomo: corpo ed anima), sia nella sua libertà"[28].

4.6 — Ecclesiologia, Sacramentaria ed Escatologia.

Come si accennava all'inizio del nostro lavoro, le affermazioni in questi ambiti sono di importanza minore da parte di Rahner e sostanzialmente in linea con il magistero. Il suo non è altro che ripetere, in un linguaggio originale ma complesso ed a volte ambiguo, la dottrina classica su questi argomenti. Egli comunque non si prende la briga di difendere la fondamentazione scritturistica e teologica dell'organismo sacramentale:

"Se inoltre pensiamo che oggi (a differenza di quanto si pensava ancora al tempo della riforma) neppure il battesimo può essere così facilmente ricondotto e fatto dipendere da una istituzione verbale ad opera del Gesù storico e che quindi —a parte almeno l'istituzione della cena— tutti i sacramenti (anche quelli che vengono riconosciuti nelle chiese non cattoliche) pongono il medesimo problema per quanto riguarda la loro "istituzione" da parte di Gesù allora possiamo dire che la loro origine o la loro istituzione deve —ma anche può— essere concepita in maniera analoga alla fondazione della Chiesa da parte di Gesù" (524)

Questa, che sembra una tranquilla scorciatoia, è in realtà un modo poco elegante ed ancor meno scientifico di superare il problema molto sentito in teologia sacramentaria. Rahner lo ritiene in ogni modo secondario: "La sacramentalità dell'attività fondamentale della chiesa è data con la natura della chiesa stessa quale presenza irreversibile della promessa salvifica di Dio in Cristo. Questa sacramentalità viene dispiegata dalla chiesa nei sette sacramenti, così come essa ha esplicato la propria natura nella propria costituzione e nella propria struttura. Di conseguenza il singolo cristiano può accettare e vivere tranquillamente il dato di fatto di questo settemplice ordinamento sacramentale" (ibid., 524-525).

Riguardo il modo dell'efficacia dei Sacramenti, Rahner ne presenta in termini propri, il senso corretto: "In quanto l'opus operatum dei sacramenti va incontro all'opus operantis del credente, dell'uomo che accoglie l'azione di Dio, risulta chiaro che i sacramenti sono efficaci solo nella fede, nella speranza e nell'amore. Pertanto essi non hanno nulla a che fare con un incantesimo magico: non sono una magia perché non costringono Dio, bensì sono un'azione svolta dal Dio libero verso di noi. Inoltre non hanno niente a che fare con la magia perché diventano efficaci soltanto quando si incontrano con la libertà dell'uomo che si apre. Naturalmente l'uomo, quando accoglie tale promessa di Dio, deve confessare ancora una volta che anche tale sua accettazione avviene in virtù della grazia di Dio.(...) I sacramenti non sono altro che la parola efficace rivolta da Dio all'uomo nella quale Dio promette se stesso a costui e con ciò libera la libertà dell'uomo affinché accolga questa autocomunicazione divina con una propria azione".

Corretta e ben espressa risulta l'esposizione dell'importanza del battesimo e della penitenza: "Nel battesimo Dio conferisce la grazia all'uomo in ordine alla sua propria salvezza individuale per il fatto e in quanto che lo inserisce come un membro nella chiesa. L'appartenenza alla chiesa, l'essere membro della chiesa è l'effetto primo e più immediato di questo sacramento dell'iniziazione che riceve ogni cristiano, che per tutti costituisce la base dell'esistenza cristiana in tutto quello che in una simile vita ci può essere anche quanto a poteri gerarchici, sacramentali e di governo, perché un non battezzato non può ricevere alcun altro sacramento in maniera valida, né può detenere alcun potere giuridico nella chiesa. Nel battesimo l'uomo riceve la grazia a sua propria salvezza in quanto diventa membro della chiesa" (ibid., 527)

Riguardo al sacramento della riconciliazione Rahner si esprime, in questa sede, con termini suggestivi: "Il perdono è il miracolo più grande e incomprensibile dell'amore divino, perché in esso Dio comunica se stesso e ad un uomo che, in una faccenda della vita quotidiana solo all'apparenza banale, ha compiuto il gesto inaudito di dire di no a lui" (ibid., 534).

"Tale parola di perdono —continua Rahner— (sempre sulla base della parola pronunciata nel battesimo) la chiesa la rivolge di nuovo al singolo in una maniera particolare là dove e quando egli —che anche dopo il battesimo rimane peccatore e può cadere in una colpa grave— confessa pentito alla chiesa nella persona del suo rappresentante la sua colpa grave o la miseria della sua vita, oppure eventualmente le porta davanti a Dio e al suo Cristo anche in una confessione generale in seno a una comunità" (ibid., 535). Non si comprende qui se egli accenni in un dato momento alla possibilità della assoluzione generale. Se così è risulta incompleta la sua trattazione in quanto lascia intendere un indifferente facoltà di seguire una o l'altra modalità di amministrazione del sacramento della penitenza. Cosa che così non è, ma che richiede, nel caso dell'assoluzione generale circostanze e termini ben specificati dalla dottrina sui sacramenti e dal Codice di Diritto Canonico:

Riguardo l'escatologia intermedia si esprimerà in termini pacati e sensati ma, ribadiamo, non dirà niente di nuovo o degno di qualche rilievo: "Se dunque non possiamo contestare l'esistenza di uno stato intermedio nel destino dell'uomo tra la morte, da un lato, e il compimento corporeo dell'uomo nel suo complesso, dall'altro lato, allora non possiamo neppure avanzare alcuna obiezione decisiva contro l'idea di una maturazione personale durante stato intermedio che denominiamo appunto 'purgatorio', o 'stato di purificazione', o 'luogo di purificazione'. Ma in che senso e in che grado qui possano essere ancora applicate categorie temporali(...) è una questione su cui si può ancora discutere nella teologia cattolica. (...). L'unica cosa da cui bisogna guardarsi è di estendere le obiezioni contro simili modi di esprimersi al dogma stesso in quanto tale, che invece bisogna necessariamente professare" (ibid., 561).

 

5 CONCLUSIONI.

Ricapitolando possiamo sostanzialmente affermare che, per quanto emerso dalla nostra analisi, il saggio di Rahner delude le aspettative del titolo e non rappresenta in alcun modo un'opera emblematica o significativa nell'iter scientifico dell'autore. La motivazione più probabile —lo facevamo rilevare all'inizio del nostro lavoro— sta nel fatto che, data l'uscita in concomitanza di Sacramentum mundi —quella che ben può dirsi la "Somma teologica" di Rahner— l'autore abbia voluto pubblicare un saggio come sintesi di quanto contenuto negli 8 volumi del suo trattato. Non era difficile prevedere che commercialmente —come di fatto è stato— il Corso fondamentale sulla fede sarebbe comunque stato un successo, vista la notorietà, ai tempi, della firma del teologo tedesco.

Corso fondamentale sulla fede tratta troppi argomenti in troppo poco spazio. I temi centrali della filosofia rahneriana sono espressi in meno che due pagine, con periodi lunghissimi e termini propri dell'autore che, non debitamente illustrati, rendono davvero faticoso il proseguimento della lettura.

Dal punto di vista stilistico sorprende l'assenza di note in calce —non poche, ma nessuna— che avrebbero invece potuto servire da rimando, da sostegno alle affermazioni dell'autore —che a volte appaiono gratuite— o comunque dare un aspetto un pò più scientifico al saggio.

Altro grande assente è il riferimento alla Scrittura che, trattandosi di un Corso fondamentale sulla fede, sarebbe stato lecito aspettarsi. La motivazione è più che stilistica. Come abbiamo fatto notare ci sembra che Rahner eviti volutamente l'argomento spinosissimo allora —già più abbordabile adesso— dell'esegesi scritturistica. A parte la sezione sui sacramenti, dove compare qualche fugace citazione, non ci sono praticamente altri appoggi scritturistici. Il filo del discorrere è uno svilupparsi a ruota libera di presupposti filosofici misti ad una terminologia teologica propria di Rahner, originale ed a volte innovativa, ma che non riesce a costruire un minimo di sistema logico.

Come risvolti positivi bisogna riconoscere che con il sottolineare il legame fondante tra uomo e autocomunicazione di Dio, Rahner riesce a superare l'antinomia uomo-Dio. Questa, infatti, aveva imperato nei secoli precedenti e vedeva possibile l'affermazione di Dio solo nell'annichilimento della creatura e viceversa. All'esperienza trascendentale di Rahner, si deve riconoscere il merito di aver messo in grado l'antropologia di porre le premesse umane di un discorso sul trascendente, non in sé raggiungibile con le sole capacità umane e che quindi si abbandona ad una proposta di grazia.

"In ciò, però, si nota un passaggio dalla sfera del trascendentale soggettivo a quella del reale oggettivo, che è un punto critico del suo pensiero"[29]. Inoltre facevamo notare che questo "è il problema che sta alla radice del pensiero rahneriano e che riguarda una certa ipoteca idealistica della filosofia dell'identità, per cui si passa indebitamente dalla sfera della coscienza a quella dell'essere oggettivo, non evidenziando le differenze tra coscienza ed essere. Se è vero che l'uomo trascende con la sua coscienza il mondo, questo però non si lascia assorbire dalla sua coscienza"[30].

Le riserve sui contenuti dottrinali dell'opera sono, per quanto abbiamo visto sopra, molto rilevanti; soprattutto in ambito trinitario e cristologico. Questi errori, che si dipanano poi in misura maggiore o minore anche ai campi dell'antropologia soprannaturale ed alla sacramentaria, sembrano in definitiva da ricondurre alla parziale impostazione filosofica dell'autore: "La cristologia di K. Rahner costituisce il tentativo più apprezzabile in campo cattolico di utilizzare le categorie della metafisica trascendentale e della filosofia esistenziale per la comprensione e l'approfondimento della figura del Cristo. Rahner mette intelligentemente a frutto il meglio della speculazione tedesca degli ultimi due secoli: il trascendentalismo kantiano, l'idealismo hegeliano e l'esistenzialismo heideggeriano. Ma è proprio l'impiego delle categorie di tali filosofie a far sorgere alcuni interrogativi critici. Soprattutto l'uso della categoria kantiano-hegeliana dell'apertura trascendentale dell'essere umano e quella heideggeriana della domanda-risposta. Applicate al caso di Gesù questa categorie sembrano compromettere seriamente la gratuità dell'incarnazione del Figlio di Dio, offuscano la storicità della rivelazione e fanno della storia della salvezza semplicemente il prodotto di un meccanismo metafisico che scatta nell'intimità di ogni uomo in maniera imperfetta e in Gesù Cristo in maniera perfetta"[31].

 

6 — BIBLIOGRAFIA CRITICA SU KARL RAHNER.

A. ARANDA, Las propuestas de Karl Rahner para una teología trinitaria sistematica, in “Scripta Theologica” 23 (1991) 69-123.

A. ARANDA, La cuestion teologica de la Encarnación del Verbo. Relectura de tres posiciones características, in Scripta Theol. 25 (1993) 49-94.

M. BORDONI, Cristologia e Antropologia, in C. GRECO (a cura di) “Cristologia e Antropologia”, A.V.E., Roma 1994, pp. 13-62.

M. BORDONI, Gesù di Nazaret, Signore e Cristo. Saggio di cristologia in 3 voll., Herder-PUL, Roma 1982-1986: soprattutto su K. Rahner le seguenti sezioni: vol. I, 109-113, 198-201, 205-206; vol. III, 533-534, 707-708, 717-719, 746-748; 910-914, 952-953.

C. FABRO, La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano 1974.

B. MONDIN. Le cristologie moderne, Paoline, Roma 1979 (3º ed.), p. 59-65.

F.R. (1999)

 

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[1] B. MONDIN, Storia della Teologia, vol. 4, EDS, Bologna 1997, 510.

[2] Ibid.

[3] Vedi in tal senso A. MODA: "Se si getta uno sguardo al celebre Problèmes actuels de christologie, (H. BOÜESSÉ— J.J. LATOUR, Brouge-Paris 1964, ndr), che nella sostanza esprime lo stato della cristologia negli anni '60, subito è evidente il duplice padrinato che Karl Rahner e H.U. von Balthasar esercitano sulla teologia cattolica"; ID., La cristologia contemporanea nell'area tedesca, olandese, francese e italiana in “La cristologia contemporanea”, ATI, Ed. Messaggero, Padova 1991, 205. Nello stesso contributo, si riferisce indirettamente a questa influenza G. IAMMARRONE: "I teologi che operano in terra italiana e nell'ambito della chiesa italiana nel loro riflettere su Gesù Cristo dovrebbero (...) forse non insistere eccessivamente e talvolta unicamente con trattazioni di problematiche e tematiche cristologiche vivamente sentite in altri contesti culturali ed ecclesiali, ma alquanto estranee a quello italiano ed in esso troppo largamente importate, pena l'incomprensione, il disinteresse, la riduzione della cristologia a produzione di dotti accademici"; ID., in La cristologia contemporanea, ATI, op. cit., 16.

[4] K. RAHNER, Geist in Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin, Kösel-Verlag, München 1957².

[5] K. RAHNER. Schriften für Theologie, (ed it.: “Saggi di Teologia”, ed. Paoline, 1964-1975.

[6] Cfr. H.U. von BALTHASAR, “La riduzione antropologica”, in ID., Solo l'amore è credibile, Borla, Torino 1965, 33-51.

[7] Rahner sostiene la distinzione di questa terminologia dal “trascendentale” inteso come categoria kantiana. Anche se vedremo più avanti come di fatto non riesca a sostenere coerentemente questo suo intento.

[8] M. BORDONI, La cristologia ed il problema di Dio, in “Gesù di Nazaret, Signore e Cristo”, vol. I, Herder-PUL 1982, p. 110.

[9] Cfr. J.J. SANGUINETI, Recensioni, “Acta Philosophica”, vol. 7 (1998) p. 176.

[10] W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1975, 64-66.

[11] Per una trattazione più dettagliata cfr. De Veritate, q.1, dove l'Aquinate specifica in che senso "ens et verum convertuntur".

[12] M. BORDONI, op. cit., 111, nt 47.

[13] Cfr. Optatam Totius, 16.

[14] Cfr. K. RAHNER, Gest in Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin. 2ª ed., Kösel-Verlag, München 1957.

[15] Cfr. A. ARANDA, Las propuestas de Karl Rahner para una teología trinitaria sistematica,in “Scripta Theologica”, 23 (1991), 69-123. Vedi in particolare pp. 74-75.

[16] Cfr. Ibid., 32.

[17] cfr. J. RATZINGER, L'interpretazione  biblica in conflitto, in AA.VV. “L'esegesi cristiana oggi”, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1991, 93-125.

[18] Dirà ancora: "Una concezione volgare del cristianesimo il più delle volte identifica frettolosamente l'esplicita storia veterotestamentaria e neotestamentaria della rivelazione e la sua sedimentazione negli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento con la storia della rivelazione pura e semplice. Più avanti vedremo come questa specifica storia cristiana della rivelazione si distingua dalla generale storia soprannaturale della rivelazione e ne valuteremo la dignità e l'importanza" (197).

[19] M. BORDONI, op. cit. 113. Continua in nota lo stesso autore: "Di qui l'incoerenza di un pensiero che mentre minaccia l'autonomia di una riflessione antropologica, procede però filosoficamente offrendo il fianco ad accuse di “riduzione metafisica” del pensiero cristiano (cfr. H. U. von BALTHASAR, Herrlichkeit, I, Einsiedeln 1961, 142).

[20] Un esempio tra gli altri si ha quando, in un ambito di critica alla Chiesa, al Romano Pontefice e ad alcuni Sacramenti (Ordine, Eucaristia), giunge a dire che "una religione del genere sembra radicalmente inconciliabile con il nostro punto di partenza trascendentale,a cui d'altro lato non possiamo rinunciare, se oggi vogliamo ancora parlare di Dio" (p. 117).

[21] A tal riguardo facciamo notare che seguendo queste considerazioni, Rahner giungerà a considerare insufficiente e superata la categoria di “persona” in teologia. Il concetto della trinità verrà allora da lui presentato come tre "maniere di sussistere" (drei Subsistenzweisen) dell'unico Dio" (Cfr. p. 392) con tutta la problematicità che questa variazione terminologica porterà con sé. La sostituzione della categoria di persona ha luogo per evitare il problema presunto di "triteismo" e superare lo scoglio della preesistenza. Non ci dilunghiamo su questo approccio che comunque, a parte ad essere fortemente confuso, è oggi stato superato da impostazioni teologiche che rivalutano il termine “persona” in teologia; Cfr. M. BORDONI, Il contributo della categoria teologica di persona, in AA.VV. "La teologia per l'unità d'Europa", Dehoniane, Brescia 1991, p. 47-62.

[22] M. BORDONI, Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, op. cit. vol. III, 836-837. Rimandiamo, per un analisi molto chiara sui problemi interpretativi moderni del dogma calcedoniano, alla sezione: Gli sviluppi post-biblici della concezione cristiana della “Incarnazione” nel pensiero patristico e nel dogma della chiesa antica. Il Concilio di Calcedonia (451), ID., op. cit., 831-846.

[23] M. BORDONI, ibid., 837.

[24] M. BORDONI, op. cit., 838. Continua quest'autore: "È proprio una esigenza di incarnazione della Parola, già incarnata nel linguaggio biblico, il proseguire questa sua dinamica presenza nelle culture umane, in funzione delle nuove questioni degli uomini: “è la natura stessa della parola di Dio come atto sempre attuale di Dio che ci obbliga a sorpassare il biblismo e fondamentalismo e che fonda la necessità di una ermeneutica compresa come intelligenza sempre rinnovata all'identica parola di Dio” (C. GEFFRÉ, La révélation hier et aujourd'hui, in ID., “Révélation de Dieu et langages des hommes”, Paris 1972, 104); in M. BORDONI,op. cit., 839.

[25] M. BORDONI, Gesù di Nazaret, op. cit., 839.

[26] Ibid., 839, 840.

[27] Cfr. K. RAHNER, Réflexions théologiques sur l'Incarnation, in “Écrits théologiques”, III, DDB 1963, 97; cit. in M. BORDONI, op. cit., p. 841, nt 182.

[28] M. BORDONI, op. cit., 841. Il discorso critico di Rahner è in Corso fondamentale sulla fede velato e non ben fondamentato, come abbiamo rilevato all'inizio. Egli parte da affermazioni ambigue: "Bisogna ammettere e tenere pastoralmente conto che non ogni persona che si scandalizza della frase “Gesù è Dio”, già è per questo necessariamente eterodossa. (ibid., 374-375) È ugualmente sorprendente però, notare come l'autore, accogliendo parte delle critiche di alcuni teologi verso il dogma di Calcedonia, ricada nelle stesse difficoltà che proprio con la formulazione dogmatica di 1500 anni prima si vollero correggere.

[29] M. BORDONI, Cristologia e Antropologia, AVE, ROMA 1994, 31.

[30] Ibid., nt. 39. Il corsivo è nostro.

[31] B. MONDIN. Le cristologie moderne, Paoline, Roma 1979 (3º ed.).