LA LIBERTÀ DELLE COSCIENZE NELL’OPUS DEI

dedicato a tutti i fedeli della Prelatura Personale

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© di ORÁCULO

 

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                SOMMARIO: 1. Il cancro dell’Opus Dei. 2. L’opacità dell’istituzione. 3. Gli abusi nella direzione spirituale: a) La confusione fra governo e direzione spirituale. b) Il governo della direzione spirituale sui sudditi immediati. c) La burocratizzazione istituzionale della direzione spirituale. d) La proibizione esplicita della condivisione dell’intimità. e) Le manifestazioni della coscienza obbligatorie. 4. Il governo come dominio delle coscienze. 5. Una rottura reale della comunione ecclesiale. 6. Il necessario intervento della Santa Sede. 7. Appendice. La traduzione italiana del Decreto Quemadmodum del 17-XII-1890: ASS 23 (1890-1891) 505-508.

 

            1. IL CANCRO DELL’OPUS DEI

 

1.         Fin dai suoi inizi, l’Opus Dei va suscitando una grande diversità di opinioni e di discussioni, che derivano non solo da simpatia o da antipatia, ma che vertono soprattutto sulla realtà della sua vera essenza. Questo fatto risulta già strano di per sé in una istituzione oggi legittimamente approvata dalla Chiesa, i cui Statuta sono e sono sempre stati pubblici ed ufficiali nei differenti momenti delle distinte configurazioni canoniche. Quali sono, allora, le cause che danno origine a tali controversie? Nelle righe che seguono il lettore troverà ragioni sufficienti per rispondere a questo interrogativo.

            Oggi la Prelatura personale dell’Opus Dei difende ufficialmente se stessa contro le critiche che le rivolgono molti cristiani, adducendo le approvazioni canoniche dell’autorità della Chiesa. Questo è il sigillo della sua bontà o della sua pretesa trasparenza. In molti ambienti ecclesiastici la si considera persino come una istituzione modello, che si distingue per la sua fedeltà alla dottrina della Chiesa, per l’abbondanza di vocazioni, e per una prassi esente da scandali. Tuttavia con questo studio desidero dimostrare che la realtà interna dell’Opus Dei non corrisponde a tale immagine, costruita in buona parte per mezzo di un’ “abile politica” di relazioni istituzionali, a volte perfino con menzogne, dato che neppure la sua prassi interna si modella su quanto approvato dalla Santa Sede.

            E’ importante dire questo, e in questo momento, per supportare il giudizio di discernimento delle autorità centrali della Chiesa Cattolica, nella quale la pastorale dell’Opus Dei suscita già profonda preoccupazione, dato che poco a poco ci si sta rendendo conto della separazione dalla dottrina morale della Chiesa o delle gravi deviazioni rispetto a quanto prescritto nei canoni universali. Il fatto certo è che questo “fenomeno” comincia ad essere percepito. E le radici ultime delle controversie e delle riserve che l’Opus Dei suscita in tanti ambienti hanno radici proprio in tali disfunzioni. Quanti conosciamo a fondo — da molto dentro — tale “realtà ecclesiale” sappiamo che queste “disfunzioni” hanno radici nel momento fondazionale. E questo rende doppiamente difficile la chiarificazione mediante un sincero ed onesto dialogo, e soprattutto la rettificazione.

 

2.         Da quando ho iniziato le mie collaborazioni con questa web ho cercato di mostrare aspetti disgraziati di questa realtà, la cui miglior conoscenza dovrebbe portare ad una rettifica umile e ad un riconoscimento di colpe se veramente si vuole poter contare beneplacito divino, dato che Dio nessuno lo può ingannare. E, fin dalle mie prime collaborazioni, ho parlato di un brutto fatto, nucleare, che qualifico già come il “vero cancro” dell’Opus Dei. E non è questo né il “tradimento” di coloro che stanno dentro — come si esprimono alcuni — né la persecuzione dei “nemici di fuori”, fra i quali annoverano questa web a causa dell’impatto che provoca. Nessuno di noi vuole questa guerra: al contrario, cerchiamo la pace con tutti e, specialmente, la comunione con tutti i fratelli nella fede.

            Questo cancro è la violazione sistematica della libertà delle coscienze dei fedeli dell’Opus Dei mediante la pratica delle manifestazioni di coscienza, obbligatoria a causa della sua istituzionalizzazione, con la sua successiva rilevanza nel foro esterno. Nulla di tutto ciò è cattolico. E’ qualcosa di riprovato in modo assoluto dalla tradizione e dai canoni della Chiesa, per tutti i fedeli, non solo per le “famiglie di religiosi”. Tuttavia, le autorità dell’Opus Dei — incluso il suo Fondatore — hanno preteso e continuano a pretendere di giustificare una “pastorale” così — o, detto in altra maniera, tale “stile di formazione” spirituale — come se costituissero parte di una “rivelazione divina” (carisma o spirito), che obbiettivamente la mettono fuori della Chiesa Cattolica ovvero, se la lasciano dentro, la rendono una “chiesa parallela” riguardo ad aspetti sostanziali della fede e dell’antropologia cristiane.

            Evidentemente il fatto è molto grave. E perciò ogni sforzo per centrare e chiarire tali temi dovrebbe essere ben ricevuto da quanti veramente amano la Chiesa di Cristo. In questa collaborazione di oggi mi limiterò alla descrizione del fatto, con l’esclusiva finalità di facilitare lo studio agli esperti consultori della Santa Sede. E, dato che queste righe si scrivono dalla carità della comunione ecclesiale, esse sono dedicate in modo speciale a tutti i fedeli della Prelatura personale, la cui volontà di fedeltà alla Sede apostolica non metto in discussione: solo desidero che si traduca in opere. Filioli, non diligamus verbo nec lengua, sed in opere et veritate (I Ion 3:18).

 

            2. L’OPACITÀ DELL’ISTITUZIONE

 

3.         Nonostante che la Prelatura dell’Opus Dei possegga degli Statuti approvati dalla Santa Sede, il Codex iuris particularis proprio, la sua azione istituzionale non risulta trasparente né per i propri fedeli né per la gerarchia della Chiesa. La causa è riconducibile al fatto che la Prelatura si governa, di fatto, mediante un insieme di norme interne segrete, mai esaminate né approvate dalla Chiesa, nemmeno pubbliche o pubblicate e, in generale, quasi mai formulate come norme canoniche in senso formale. È in questo modo che la pastorale della Prelatura personale sta generando autentiche consuetudini contra legem, in aspetti ecclesiali sostanziali, la cui osservanza viene inculcata ai suoi fedeli come espressione di una “volontà divina”.

            L’Opus Dei realizza così un doppio gioco: ha una “doppia faccia” normativa. Da una parte le sue norme o “criteri” interni — raccolti in un’ampia varietà di scritti “segreti” — sono quelli che configurano la vita reale dei suoi fedeli, con prescrizioni gravemente contrarie ai canoni universali della Chiesa e ai diritti fondamentali dei battezzati. D’altra parte, questa singolare “disciplina” viene imposta in maniera totalitaria ed autoritaria, conferendo all’istituzione tinte settarie, lontane dal sentire della comunione ecclesiale, poiché questi abusi sono praticati istituzionalmente come se fossero “comandamenti divini” del carisma fondazionale.

            Sono già molte le persone che, da molto tempo e dall’interno dell’istituzione, vengono denunciando queste pratiche interne davanti alle autorità della Prelatura, auspicando la loro correzione. Tuttavia il Prelato e i suoi Direttori si mostrano impermeabile a qualsiasi cambiamento, poichè ritengono il loro operare consono allo “spirito fondazionale”. Così i fedeli dissidenti sono forzati ad abbandonare la Prelatura nonostante il fatto di aver dedicato i loro beni e le loro vite per anni all’istituzione e nonostante che tale allontanamento venga a significare, in alcuni casi, il ritrovarsi nell’indigenza personale: le situazioni risultano particolarmente scandalose nel caso dei sacerdoti numerari, la cui riduzione allo stato laicale viene facilitata senza scrupoli.

            Tale “deterioramento interno” sta provocando l’abbandono della Prelatura — durante questi ultimi lustri — di molti fedeli la cui rettitudine e i cui desideri di donazione totale a Dio non possono essere messi in discussione senza far loro offesa. E, tuttavia, le autorità della Prelatura continuano a promuovere verso l’esterno un’immagine di crescita e sviluppo costanti, che non corrispondono alla situazione reale. In luoghi e momenti diversi vengono fornite cifre riguardanti il numero dei membri, per esempio, come se tale numero fosse in costante aumento. Tali dati, però, sono in contraddizione fra loro e non rispondono a verità, quanto piuttosto a convenienze congiunturali di “dare un’immagine” di fronte all’esterno. Vi è in questo un indizio veemente di come la Prelatura dell’Opus Dei va avanti da anni praticando inganni “premeditati e sostenuti” nel tempo riguardanti i suoi dati interni, e non solo riguardo al numero dei suoi fedeli.

            Attualmente, le autorità della Prelatura si preoccupano molto di mantenere di fronte alla Santa Sede e ai Vescovi l’ “immagine” di una istituzione “solida”, della cui affidabilità non si può dubitare, grazie al fatto dei suoi abbondanti frutti apostolici, che sarebbero a loro volta la prova del beneplacito divino. È però un fatto la crisi profonda nella quale l’istituzione si trova affossata e per questo non si fa scrupolo di ricorrere alla menzogna per nascondere astutamente tale realtà, giustificandosi con l’esigenza di “preservare” la propria immagine. La sua apparente unità e disciplina ferree sono piuttosto simili ad un gigante con i piedi di argilla, dato che nascondono tutto uno stile e dei modi di fare totalitari, rivestiti o “camuffati” da modalità collegiali di governo. Però né tale governo né la pastorale della Prelatura sono consone alle norme del diritto canonico universale in determinati aspetti gravi ed importanti.

 

4.         Mesi fa pubblicavo un elenco de “documenti” interni — attualmente ab intra si preferisce chiamarli “scritti” — della Prelatura, sconosciuti alla gerarchia della Chiesa, dove si raccolgono in effetti le sue “peculiari norme” di azione: quelle riguardo alle quali mai si fa arrivare informazione a coloro che si avvicinano all’istituzione confidenti nelle approvazioni concesse dalla Sede Apostolica. Questi scritti sono quelli che generano il normativismo acanonico dell’istituzione, totalmente estraneo al diritto canonico universale.

            Una conferma di tale fatto è che, appena pochi mesi fa, è iniziata un’affrettata correzione di tanti “errori stampati” perchè, una volta presentati molti di tali scritti in questa web, si è avvertita la necessità di truccare l’autentico volto dell’istituzione, E così, per esempio, il Vademécum del Gobierno Local pubblicato nel 2002 ha finito per essere sostituito da delle Experiencias de los Consejos Locales, alle quali è stata apposta la data fittizia — assolutamente falsa — del 19 marzo 2005. Forse perchè è questa la “nuova immagine” da presentare alle richieste della Congregazione per la Dottrina della Fede?

            La realtà è che, ad intra dell’istituzione, si agisce come se ci fosse una totale libertà per operare prescindendo dalle comuni norme canoniche e senza il controllo della Gerarchia ordinaria, aggiungendo e togliendo apparenze — secondo la convenienza di chi comanda — per mantenere “la situazione di sempre”: l’Opera — si pensa e si dice — non avrà mai bisogno di “attualizzazioni”. Si comprende allora quanto pericoloso risulta essere tutto ciò per i fedeli cristiani, giacché la norma statutaria consegnata dalla Prelatura personale a Roma starebbe servendo da scusa e da dissimulazione a un governo autoritario capace di controllare le coscienze, ma fuori a sua volta da qualsiasi controllo. E ancor più risulta pericoloso per i fedeli dell’Opus Dei, che sono retti e formati — o piuttosto, “addottrinati” o “disinformati” — dai propri Direttori, in modo tale che la loro “vincolazione istituzionale” li lascia inermi di fronte agli abusi.

            Se il contenuto del Codex iuris particularis se paragona al Catecismo de la Obra, per esempio, il contrasto è evidente su aspetti tanto rilevanti come la direzione spirituale o il modo di fare proselitismo. Difficilmente, allora, potrà essere negata l’opacità del governo di questa Prelatura sia rispetto ai suoi che rispetto alla comunità ecclesiale. E, dato che la questione non è esaurire l’argomento e che il cancro ha molte ramificazioni, oggi mi centrerò sulla descrizione del suo nucleo, a costo di ripetere idee o dati già commentati in altre collaborazioni a questa web.

 

            3. GLI ABUSI NELLA DIREZIONE SPIRITUALE

 

5.         Innanzitutto, nell’Opus Dei non si rispetta la separazione obbligatoria fra “foro esterno” e “foro interno”, negli ambiti del governo e della legittima autonomia delle coscienze, nonostante che ciò costituisca l’abbiccì nella vita della Chiesa. Per verificare tale affermazione basta fare uno sguardo a come si intende e come si pratica la direzione spirituale personale dei fedeli della prelatura. In pratica questa si concreta nella cosiddetta confidenza o “colloquio fraterno”, che sacerdoti e laici senza distinzione realizzano con i Direttori dell’Opus Dei per dar loro a conoscere la propria intimità.

            Cosa dicono gli Statuti dell’Opera riguardo a ciò? Sono vistosamente sobri, dato che fanno menzione esplicita del tema solo nel loro numero 83 §2: L’ascetismo e lo spirito di penitenza che praticano i fedeli dell’Opus Dei comportano anche altre esigenze nella vita dei fedeli della Prelatura: innanzitutto la pratica dell’esame di coscienza quotidiano, della direzione spirituale e della confessione sacramentale.

            L’assenza totale di altri riferimenti al tema in questo Codex iuris particularis forza ad una esegesi della nozione di “direzione spirituale” secondo il suo senso più comune nella tradizione spirituale della Chiesa. Questa sarebbe stato l’unico concetto a cui fa riferimento il legislatore ecclesiastico che approvò quella norma. E, pertanto, dovrebbe consistere in una direzione spirituale praticata con sommo rispetto dei precetti del diritto canonico universale che hanno regolato tale materia: fra gli altri, soprattutto, il Decreto Quemadmodum del 17 diciembre 1890, nitido nelle sue espressioni e inequivocabile sulla dottrina morale custodita e sulla volontà pontificia. A causa della sua enorme importanza aggiungo un’Appendice con la traduzione italiana del Decreto, dal confronto con il testo latino originale, perchè i fedeli della Prelatura possano compenetrarsi del suo contenuto.

            Nell’Opus Dei si rispettano le prescrizioni permanenti ed universali del Quemadmodum di Leone XIII? Certamente no. La lettura dei numeri dal 209 al 222 del Catecismo de la Obra (7ª redazione, dell’anno 2003) mostra che lì si descrive “un modo di intendere” la direzione spirituale personale del numero 83 §2 molto differente da come si è intesa sempre nella Chiesa. E così, per esempio, si proclama senza imbarazzo che la direzione spirituale personale compete all’istituzione, non alle persone che accompagnano spiritualmente i loro diretti. Ancor più, si è soliti dire che questo compito è una delle funzioni più specifiche del governo esercitato dai Direttori, giacchè tale direzione personale altro non è che un aspetto della “formazione spirituale” che l’istituzione impartisce. Per ciò stesso, nemmeno si riconosce libertà ai fedeli di scegliere i loro consiglieri spirituali, giacchè questi vengono automaticamente assegnati per l’essere state costituite determinate persone negli incarichi di governo.

            Sembra incredibile, ma tale è la pratica delle cose. Questo fatto non può essere messo in discussione e per l’Opus Dei non c’è altra via d’uscita che intonare il mea culpa e, soprattutto, rettificare. E, affinché nessuno possa tacciare le mie affermazioni di essere una erronea e contorta interpretazione della realtà, descriverò questo stesso nucleo in un altro modo: e cioè attraverso le conseguenze che causa e utilizzando, inoltre, alcune spiegazioni che possono leggersi negli “scritti interni” nei quali l’Opus Dei descrive la sua propria prassi spirituale. In essi è possibile verificare, come minimo, cinque gravi abusi, contrari al diritto canonico vigente e soprattutto inaccettabili alla luce degli insegnamenti più sicuri del magistero del Concilio Vaticano II con riferimento alla persona umana.

 

            a) La confusione fra governo e direzione spirituale

 

6.         Secondo la prassi dell’Opera, la direzione spirituale personale è una delle funzioni proprie dell’azione di governo o, con più esattezza, identifica il secondo con la prima come se fossero materie omogenee, eliminando la distinzione fra foro interno e foro esterno. Esistono “scritti segreti” della Prelatura che mostrano chiaramente tale impostazione.

            Il Vademécum de sacerdotes del 1987, ad esempio, si esprime già in questi termini: Nell’Opus Dei, la direzione spirituale spetta, in primo luogo, ai Direttori locali, laici, con i quali anche i sacerdoti fanno il loro colloquio fraterno; poi, ai sacerdoti dell’Opera, per mezzo della confessione sacramentale. I sacerdoti sanno che, per collaborare efficacemente nella direzione spirituale personale dei fedeli della Prelatura debbono confermare in tutto, normalmente, le direttrici che gli altri ricevono nel colloquio fraterno: soltanto una completa armonia fra entrambi i consigli assicura l’adeguata direzione spirituale delle persone dell’Opera (p.41). Non è sorprendente che, in materia di santificazione, l’esercizio del ministero sacerdotale debba sottomettersi alle direttrici di alcuni “Direttori laici” i quali, secondo le norme del diritto canonico, neppure possono detenere la sacra potestas né del Prelato né dei suoi Vicari o, al massimo, soltanto cooperari possunt: cf. CIC-83 c. 129?

            Un altro testo conferma che le cose stanno così. Prendendo in considerazione i temi economici, le Experiencias de las labores apostolicas del 2003 dicono: I Consigli locali esaminano questi fatti con speciale diligenza e vigilano — attraverso il colloquio fraterno — perchè gli interessati agiscano in ogni momento come padri di famiglia numerosa e povera: nel rendimento economico della loro attività professionale e nel distacco; cura e sobrietà nell’uso dei mezzi materiali dei quali hanno bisogno nel disimpegno del loro lavoro: uffici, automobili, viaggi, etc. Concretamente, fanno comprendere a tutti che la libertà nell’attività professionale va sempre molto unita al pieno ed effettivo distacco dai beni materiali, ad una donazione senza riserve né condizioni (p.68). Si faccia caso al fatto che la finalità buona del governo viene ricercata per mezzo del colloquio fraterno (direzione spirituale personale) come se questo fosse uno strumento utilizzabile per il conseguimento efficace dei fini istituzionali.

            È ecclesialmente ammissibile che il mezzo più delicato di direzione spirituale sia considerato “strumentale” per vegliare sull’applicazione efficace delle direttrici di governo, per buone che queste siano? È forse questo il modo in cui la Chiesa intende che la sua sacra potestas serve le persone? Ovviamente no. Come è pure evidente che, se la direzione spirituale fosse nell’Opus Dei separata — come dovrebbe essere — dal governo, non sarebbero più possibili gli equivoci che favoriscono tale “manipolazione” strumentale.

 

            b) Il governo della direzione spirituale sui sudditi immediati

 

7.         Coerentemente con quanto detto anteriormente, secondo la prassi dell’Opus Dei, l’impartire la direzione spirituale personale compete sempre al Direttore sui propri sudditi immediati. Il Catecismo de la Obra (7ª versione dell’anno 2003) dice in effetti testualmente: Esercitano la direzione spirituale personale, per quanto si riferisce alle disposizioni interiori, i Direttori e i sacerdoti dell’Opera (numero 215). E nel Vademécum del Gobierno Local dell’anno 2002, per esempio, si arrivano a specificare cose del tipo: In generale, i colloqui fraterni delle persone del Consiglio locale vengono ricevute — come quelle delle altre persone del Centro — nel proprio Centro; in ogni caso, il Consiglio locale pondera e decide la distribuzione che considera più conveniente (p.98). Il principio di libertà in materie di direzione spirituale e confessione sacramentale, protetto dal canone 630 del vigente Codice latino, risulta seriamente danneggiato da questa singolare “autoriserva” dei compiti di direzione spirituale dei Direttori sui loro sudditi immediati e tanto più in quanto la riserva viene fatta in ragione della carica di governo.

            Per questo le nuove Experiencias de los Consejos Locales datate nell’anno 2005 (pp.84-89) si sono affrettate a camuffare il comportamento reale della Prelatura, rifacendo integralmente questa redazione dell’anno 2002, in modo tale che il suo tenore letterale non sveli tanto chiaramente l’abuso abitualmente praticato nella sua pastorale ordinaria. Tuttavia, tutti i fedeli della Prelatura — o tutti coloro che ad essa sono appartenuti durante qualche tempo — sanno che la vera realtà interna è quella qui descritta.

 

            c) La burocratizzazione istituzionale della direzione spirituale

 

8.         La “direzione spirituale” è allora anche un compito burocratico: cioè, materia e compito dell’ “organizzazione istituzionale” dell’Opus Dei. Questo si manifesta sfacciatamente quando si insegna e si pratica il principio che i Direttori — nelle relazioni con i loro superiori — sono liberi dal sacro obbligo naturale della confidenzialità rispetto ai contenuti dei “colloqui fraterni” che ricevono. Con tale violazione dell’intimità, si snatura quella che dovrebbe essere una direzione spirituale “personale”. Probabilmente può essere questo uno dei fatti più gravi e più forti, che maggiori abusi sta generando e che più gravemente attentano all’elementare rispetto dovuto alle coscienze, proclamato dagli insegnamenti della Chiesa e protetto dalla sua prassi canonica.

            Un testo del Vademécum del Gobierno Local del 2002 è peraltro eloquente: Le materie conosciute a causa della carica, soltanto possono essere comunicate o commentate, come è logico, con quelle persone che — anche in ragione della loro carica — debbono conoscerle. Se un medico o un avvocato custodiscono un naturale segreto professionale — silenzio d’ufficio — riguardo a fatti che conoscono a motivo del loro lavoro, a maggior ragione devono vivere questo silenzio coloro che si occupano dei compiti di direzione o di formazione spirituale delle anime (p.14). Cioè, ragionando a sensu contrario, si sostiene che possono essere commentati tutti quei temi confidenziali “con quanti devono conoscerli in ragione della loro carica”. E chi sono costoro? I Direttori superiori.

            Effettivamente, così viene spiegato nel libro di Experiencias sobre el modo de llevar charlas fraternas dell’anno 2001, dove si legge: Pertanto, daccordo con la natura del colloquio fraterno, il silenzio d’ufficio proibisce di trattare questi fatti con qualunque persona al di fuori di coloro che possono e debbono intervenire nella direzione spirituale, nella linea che va dai Direttori locali fino al Padre. All’interno di questa linea, e in senso ascendente (dal basso verso l’alto), non viene leso il silenzio d’ufficio quando il consultarsi sia necessario o conveniente (p.110). I testi parlano da soli e non hanno bisogno di commento.

            Nel caso non fosse chiaro, il frammento che abbiamo appena citato ha una nota di chiarimento a pie’ di pagina che dice: Se si comprende bene che chi impartisce la direzione spirituale è l’Opus Dei, si comprende facilmente che non avrebbe senso, per esempio, che al fare il colloquio fraterno qualcuno mettesse come condizione, per trattare un argomento determinato, che colui che l’ascolta si impegni a “non raccontare a nessuno” quello che sta per dirgli; o che questi, pensando di facilitare la sincerità, sbagliando dicesse a colui che sta facendo il suo colloquio: “raccontami tutto e non preoccuparti, perchè non lo racconterò a nessun altro”. In questi casi ipotetici la persona che stesse ricevendo il colloquio smetterebbe di essere strumento per far arrivare l’aiuto dell’Opera: tale conversazione non sarebbe un colloquio fraterno di direzione spirituale. Non risulta sufficientemente chiaro? È possibile un maggiore elusione di quella che è sempre stata la direzione spirituale nella Chiesa?

 

9.         Tali posizioni, presentate con apparenza di bene, sono radicalmente opposte all’insegnamento cattolico sul rispetto dovuto alla coscienza delle persone, e sono anche contrarie alle vigenti norme del diritto canonico universale, che dovrebbero essere applicate ed essere rispettate nella Prelatura personale. Basti pensare ai canoni 220 e 240 §2 in relazione al canone 984, per capire che non c’è posto né per esenzioni né per eccezioni.

            E forse per questo, in questa materia della confidenzialità, il numero 222 del Catecismo de la Obra enuncia la corretta dottrina della Chiesa. Però, come si è visto, altri documenti “riservati” a pochi promuovono e avallano una prassi del tutto inaccettabile, come quella di trasformare le conversazioni di direzione spirituale personale in “strumenti” di informazione per l’azione di governo — anche di controllo — sui fedeli e per una peculiare direzione spirituale “a distanza”. Non è forse tutto questo una manipolazione delle persone e una violazione della loro intimità più intima? Per queste mentalità che rispetto merita il foro della coscienza? Quando e dove la Chiesa ha approvato questo modo di procedere del Prelato e dei Direttori dell’Opus Dei?

            Però qui di nuovo, come in una confessione di colpe, le nuove Experiencias de los Consejos Locales datate 2005 hanno cercato di occultare un così grave abuso. Da una parte si è redatta ex novo tutta la parte dedicata al “colloquio fraterno” — come ho anteriormente segnalato nella parte b) — e nello stesso documento sono state soppressi i riferimenti alle Experiencias sobre el modo de llevar charlas fraternas dell’anno 2001. D’altra parte, del Vademécum del 2002 è stato soppressa anche la parte autonoma dedicata al silenzio d’ufficio (pp.14-15), in modo tale da diluire il contenuto del documento in un testo generico sulla prudenza necessaria all’operare dei membri dei Consigli locali (pp.15-17), ma senza mettere troppo a nudo le pratiche istituzionalizzate di violazione della confidenzialità. Come è risaputo, la pagina opuslibros.org ha apportato prove irrefutabili di questo fatto con documenti interni dell’istituzione e scritti che aiutano a comprendere la metodologia e la messa in atto.

            L’atteggiamento doloso della condotta del Prelato e dei suoi Direttori in queste materie, nella loro relazione con la Santa Sede, si deduce chiaramente esaminando la Ratio institutionis proposta dalla Prelatura Sanctae Crucis et Operis Dei (Romae 1997) e approvata dalla Curia romana, praticamente l’unico documento esaminato da Roma, oltre agli Statuti della Prelatura. Così, per esempio, nel numero 100 di questa Ratio institutionis si legge: Deve esserci anche in ogni Centro di Studi Interregionale un Direttore Spirituale, nominato dal Prelato per un quinquennio. Ci saranno, inoltre, altri sacerdoti, idonei e in numero sufficiente, disponibili per il lavoro di direzione spirituale, designati dal Prelato. Tutti osserveranno con la maggior cura il dovuto silenzio d’ufficio rispetto a ciò che concerne il foro interno. Si vedano in proposito anche i numeri 47-53 per quello che riguarda i Centri di Studio in generale. Cioè si è pienamente coscienti della dottrina e della disciplina canonica universali e si fa credere alla Sede Apostolica che tale è l’operare interno della Prelatura. Tuttavia, come stiamo vedendo, gli scritti interni “segreti” — scritti di formazione cristiana per l’apostolato, li si chiama adesso — violano espressamente quest’altro documento pubblico, perchè in essi di descrive e si insegna una pratica (la realtà del fatto) che è del tutto contraria: sono “consuetudini” interne obbligatorie, perchè si considerano “spirito” dell’Opus Dei, trasmesso dal Fondatore.

            Non può essere minimizzato il valore di questi scritti segreti (interni), che maneggiano tutti coloro che sono costituiti in incarichi direttivi all’interno dell’istituzione. Allo stesso modo che il Vademécum del Gobierno Local del 2002, le nuove Experiencias de los Consejos Locales del 2005 — in realtà dell’anno 2006, distribuite nei Centri durante l’ultimo trimestre dell’anno — continuano a dire questo: I documenti e gli scritti che si riferiscono alla formazione cristiana, non hanno come unico fine l’aiuto ai soli Direttori: sono dottrina viva e chiara per tutti. Per questo, i membri del Consiglio locale non si limitano a leggerli e a meditarli a fondo, ma considerano anche come trasmettere il loro contenuto in lezioni di formazione, colloqui personali, ecc. E la stessa cosa fanno i sacerdoti nella loro predicazione. Con lo studio permanente — responsabilità grave di tutti i Direttori, a qualunque livello — , si rende facile conservare nella memoria i criteri di base e le esperienze per disimpegnare il proprio compito accuratamente, evitando omissioni, improvvisazioni o perdite di tempo (p.19). E, grazie a Dio, una buona parte di questi scritti sono stati intercettati da fedeli della Prelatura, consentendo così la loro pubblicazione all’indirizzo opuslibros.org della rete, non essendo stato possibile trovare un altro modo di resistere agli abusi che la diffusione della loro conoscenza.

 

            d) La proibizione espressa di comunicazione intima

 

10.       La cosa non finisce qui: la prassi dell’Opus Dei sulla direzione spirituale si concreta inoltre nella proibizione espressa ai propri fedeli di aprire la propria intimità a persone diverse dal Direttore immediato o dai Direttori superiori. Il Catecismo de la Obra dice effettivamente: Mai sarà opportuno che i fedeli dell’Opus Dei abbiano fra di loro confidenze di vita interiore o su preoccupazioni personali, perchè coloro che contano con la grazia speciale, per curare e aiutare i membri dell’Opera, sono il Direttore o la Direttrice — o la persona che i Direttori decidano — e il sacerdote designato (numero 221). Pertanto, questa pratica della Prelatura comprende perfino la proibizione di qualunque comunicazione libera dei membri fra di loro su ogni tipo di fatti o inquietudini “personali”, non solo su quanto si riferisce al governo dell’Opera o dell’intimità spirituale dell’anima. Che amicizia potrà esistere allora fra tali “fratelli”? O che fraternità è questa nella quale la relazione interpersonale più naturale sembra essere sottomessa a interdizione?

            Non è difficile rendersi conto che tale procedura attenta direttamente contro la libertà di comunicazione, riconosciuta come diritto personale del fedele nel canone 212 §3 del vigente Codice latino. E inoltre, per questa strada la persona rimane completamente isolata e “sottomessa” a coloro che sono costituiti in autorità, in modo tale che su di esse si può esercitare poi la spoliazione di quanto ha di più personale: l’autonomia della propria coscienza. Sembre essere stato dimenticato quel classico che ricorda che l’anima appartiene solo a Dio.

            Nell’Opus Dei non si può esprimere ciò che ognuno pensa sull’istituzione stessa altro che con i Direttori. Chiunque esponesse la sua opinione personale, in pubblico o in privato, sarebbe immediatamente censurato e corretto come “mormoratore”, anche se quanto da lui manifestato fosse d’accordo con le norme morali. Se per amore alla verità si esercitasse tale diritto naturale, le conseguenze negative non tarderebbero ad arrivare. Ed esistono abbondanti testimonianze pubblicate riguardo a questo modo di operare.

            D’altra parte, si esercita un controllo totalitario dell’opinione, scegliendo accuratamente per dirigere i mezzi di formazione incaricati che siano esclusivamente portavoce dell’atteggiamento ufficiale. Eppoi il controllo si estende a tutti i libri. Molti autori di gran livello teologico, come ad esempio Hans Urs von Balthasar, si trovano proibiti o ritenuti sospetti. O non pochi libri di Ioseph Ratzinger furono giudicati “molto sconsigliati”, anche se venne poi cambiata tale qualificazione quando fu nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

11.       In tale contesto di controllo e proibizioni si colloca il numero 215 del Catecismo de la Obra che domanda: Chi sono coloro che esercitano la direzione spirituale personale per quanto si riferisce alle disposizioni interiori? E si risponde: Esercitano la direzione spirituale personale per quanto si riferisce alle disposizioni interiori, i Direttori e i Sacerdoti dell’Opera, come già sappiamo. Ma chi si ricorda adesso della libertà di scelta del confessore e del direttore spirituale, tutelata dai canoni universali della Chiesa?

            Perchè quest’ovvia restrizione non possa essere censurata immediatamente, si aggiunge: Lasciando completamente in salvo la libertà delle coscienze dei fedeli dell’Opera, il loro buono spirito li muove ad avere direzione spirituale personale con il Direttore o con la Direttrice locale, e con il sacerdote designato per seguire ogni centro. Possono sempre dirigersi, inoltre, a un altro sacerdote della Prelatura. Pertanto: non a sacerdoti che non appartengano alla Prelatura. E si chiarisce: per comprendere quanto anteriormente detto, si deve tener presente che è lo stesso Opus Dei quello che impartisce la direzione spirituale, e nessuno può attribuirsi il diritto esclusivo di esercitarla. Pertanto, quelli che non hanno ricevuto tale missione dal Padre o dai Direttori regionali, non possono essere buoni pastori. E poi si presenta come conclusione di tutto questo: Per questo, nell’Opera la direzione spirituale personale esiste solo in actu: quando il Direttore ascolta la Confidenza e quando il sacerdote confessa o ascolta colloqui di direzione spirituale.

            Sono paragrafi il cui significato letterale non può essere frainteso. Si dice senza pudori che la “direzione spirituale” personale corrisponde all’istituzione e non alle persone concrete che accompagnano spiritualmente. E anche troviamo il riferimento al “buono spirito” per indicare quale dovrebbe essere il comportamento corretto dei fedeli della Prelatura. Pertanto, a sensu contrario si deve interpretare che colui che non agisse come previsto in questo n. 215, avrebbe “cattivo spirito”, per quanto esercitasse la libertà di coscienza che inizialmente questo n. 215 dice di rispettare, e per quanto questa libertà si esercitasse conformemente alle leggi universali della Chiesa — che reggono la Prelatura — e persino in conformità con gli Statuti dell’Opera, nei quali non esiste nessuna di queste specifiche che questo Catecismo fa.

 

12.       Più ancora: Il numero 309 di questo Catecismo, nell’elencare i mezzi che si consigliano alle vocazioni recenti per assicurare la loro perseveranza, raccomanda: <1> abbandonarsi al Signore, per mezzo dei Direttori; <2> avere una gran sincerità nella direzione spirituale con i Direttori e i sacerdoti dell’Opera. E questo, insieme ad altri consigli di senso comune. Forse che non si ha abbandono in Dio se non attraverso dei Direttori? Forse che non si pratica la sincerità se questa non si esercita con i Direttori o sacerdoti dell’Opus Dei? Sorprende questo “preteso monopolio” sulle anime, che trasforma in cattivo pastore qualunque altro sacerdote della Chiesa che non sia dell’Opus Dei: è tutto ciò comunione ecclesiale? Però sono loro — il Prelato, i Direttori — quelli che pongono se stessi come portavoce esclusivi dell’Altissimo con la loro gente, non Dio né la sua Chiesa.

            Che differenza esiste fra questo modo di operare e l’annullamento della coscienza personale? Forse non si sta sostituendo in questo modo Dio con la “volontà dei direttori”? Sì, effettivamente si suole ripetere che bisogna ricevere tutto quello che essi dicono come “volontà di Dio”. Perciò solo loro sono il buon pastore e non possono esserlo altri. È un’autentica “divinizzazione” della struttura di governo, alla quale i fedeli della Prelatura debbono “sottomettere” il giudizio personale delle loro coscienze, come se si trattasse di un oracolo divino. Tutto ciò loro chiamano docilità o “finezza” nell’obbedienza.

            La coscienza cede allora di fronte all’obbedienza. “Ciò che dicono i Direttori”, le loro indicazioni, viene messo al di sopra della coscienza personale, dato che il loro dire o comandare non può essere discusso dato che porta il marchio del divino. E, di fatto, è un obbedire — inteso erroneamente come “sottomissione” ascetica: donazione dell’intelletto e, poi, della volontà — molto somigliante a quello praticato da società integriste o fondamentaliste. Una “fede cieca” — che non si può considerare soprannaturale — nel Fondatore e anche nella sua istituzione conduce a non avere pensiero proprio, a cedere costantemente nelle idee personali, a mandar giù qualunque boccone contrariamente a quello che ciascuno personalmente potrebbe capire che è reclamato dalla carità o che è la spiritualità secolare, vissuta con coscienza della propria vocazione.

 

            e) Le manifestazioni di coscienza obbligatorie

 

13.       Come complemento di quanto finora esposto, ai fedeli della Prelatura viene esigita l’antica “manifestazione di coscienza”, già riprovata con termini durissimi dall’autorità della Chiesa. Cioè si presenta come “obbligo” — a causa della vocazione — la realizzazione di una periodica e completa comunicazione della propria intimità ai Direttori, i quali a loro volta si “autoconsiderano” consiglieri esclusivi di queste coscienze o condotto unico per il quale può arrivare a tali anime la volontà e la grazia di Dio. Si è soliti affermare ciò con una chiarezza che spaventa, mettendo di mezzo Dio; in realtà tali affermazioni — mai sottomesse a discussione teologica — quello che cercano è un ferreo controllo delle persone attraverso la “direzione spirituale personale”.

            Alcune citazioni delle Experiencias sobre el modo de llevar charlas fraternas illustrano tale procedimento, nel quale sembra appena esistere un margine per la spontaneità personale, e dove tutto è previsto, persino nel modo di operare. Per esempio, vi si legge: Deve essere curata molto la puntualità del giorno fissato e dell’ora stabilita (...) un’altra caratteristica importante è la brevità. Anche se la durata concreta dipenderà da molti fattori, normalmente, se si prepara bene, basteranno dieci o quindici minuti per commentare con sincerità e profondità tutti i punti necessari. Solo in casi eccezionali sarà necessaria una maggiore dedicazione (p.23). E più avanti si aggiunge: Si dice <nel Catecismo de la Obra n. 208> che i fedeli dell’Opera “possono” aprire la loro anima nella Confidenza, perchè è un diritto che hanno. E, allo stesso tempo, “debbono curare” fedelissimamente questa Consuetudine, perchè è uno dei mezzi per identificarci con lo spirito dell’Opera, che ci siamo impegnati a mettere in pratica incorporandoci alla Prelatura (p.16).

            Però, dov’è l’importante in queste considerazioni: la persona singola o le direttrici dell’istituzione alla quale uno si vincola a causa della vocazione? Dov’é “approvato” dalla Chiesa che l’incorporazione alla Prelatura dell’Opus Dei comporta l’accettazione dell’uso delle “manifestazioni di coscienza” ai propri Direttori come qualcosa di obbligatorio?

            Identica mentalità riflette quanto previsto nel Vademécum del Gobierno Local del 2002 nel caso di qualcuno che desse dimostrazione di autonomia o che manifestasse dubbi circa il continuare vincolato alla Prelatura, istigando ad aumentare il controllo sulla persona per mezzo della direzione spirituale: Concretamente, converrà rendersi conto con prudenza di che tipo di amicizie coltiva; se ha intimità con qualche persona, se cerca consiglio spirituale fuori dall’Opera, invece di dirigersi ai suoi fratelli; che corrispondenza invia o riceve, perchè forse potrebbe scrivere a parenti, amici o altre persone che non lo orientano bene; che libri legge (p.63). Sono indicazioni ora soppresse nelle Experiencias de los Consejos Locales del 2005 (pp.55-57), come pure altri paragrafi significativi della versione del 2002. Il confronto dei cambiamenti mostra chiaramente la “operazione di abbellimento” della Prelatura, se fossero esaminati i relativi testi, poiché in essa nulla è cambiato — né all’interno né all’esterno — orientando verso altri modelli di comportamento, con la coscienza di rettificare gli errori.

 

            4. IL GOVERNO COME DOMINIO DELLE COSCIENZE

 

14.       Arrivati a questo punto è lecito domandare: si può forse considerare legittimata tutta la procedura descritta grazie ad una semplice menzione negli Statuti (numero 83 §2) del concetto di “direzione spirituale”? È ovvio che no, poiché nulla di tutto questo è consono con la dottrina morale né con la prassi canonica della Chiesa. Ancor più: risulta difficile affermare che tali metodi abbiano qualcosa a che vedere con la vera direzione spirituale personale poiché la cura dei fedeli è sempre strumentalizzata dagli interessi — non necessariamente perversi — dell’istituzione.

            Per molto nobili che possano essere i fini delle istituzioni ecclesiastiche, non sarà mai lecito invertire i termini delle relazioni: ogni istituzione è al servizio delle persone e non il contrario, e questo ancor più nel caso delle strutture canoniche. La persona non può essere mai trattata come “mezzo” o strumento, tanto meno per fini religiosi, mettendo l’istituzione davanti alla legittima autonomia morale della coscienza. Quanto resta lontana tale prassi dall’antropologia e dagli insegnamenti morali di Giovanni Paolo II, a cominciare dalla sua prima enciclica Redemptor hominis!

            Allora, che tipo di direzione spirituale è quella praticata nell’Opus Dei? Si tratta forse di quello che tradizionalmente la Chiesa ha inteso per “direzione spirituale”? Non sembra proprio. Basti pensare in alcuni dati. C’è il Decreto Perfectae caritatis del Concilio Vaticano II, che raccomanda ai superiori che governino i loro sudditi come figli di Dio, e con rispetto alla persona umana, fomentando la loro sottomissione volontaria. Lascino loro, quindi, specialmente la dovuta libertà rispetto al sacramento della penitenza e alla direzione della coscienza (numero 14). E una concretizzazione canonica diretta di questo orientamento conciliare è senza dubbio il canone 630 del Codex iuris canonici del 1983, la cui sola esistenza è una solida prova del fatto che la Chiesa non rinuncia mai a proteggere questa libertà di dichiarazione per quello che riguarda l’intimo della propria coscienza.

            Molti altri canoni vigenti vanno nell’identica direzione, come c. 220, c. 624, c. 239 §2 e c. 985 sulla libertà della direzione spirituale nei seminari, e c. 1548 §2-2° oppure c. 1550 §2-2°. Per questo è destinato al fallimento il tentativo di giustificare l’ingiustificabile o di conciliare l’inconciliabile, con l’argomentare che sono norme “per i religiosi” ma non per i cristiani normali, poiché la confusione fra governo e direzione spirituale è una pratica canonicamente irrazionale e riprorevole: mai potrà apportare a suo favore la nota di rationabilitas per consolidare una consuetudine canonica di diritto. La dottrina della separazione dei fori è tradizionale nella vita della Chiesa e la sua confusione, con la conseguente invasione dell’ambito privativo delle coscienze, è stata inequivocabilmente riprovata da Leone XIII nel suo Decreto Quemadmodum, del 17 diciembre 1890. Lì si trova censurata qualunque consuetudine opposta, anche se immemorabile, viene proibita per sempre, come pure viene riprovata ogni disposizione contraria, in qualunque tempo.

            Conviene leggere con attenzione questo Decreto pontificio e valorizzare la sua perennità morale. Questo Decreto è fonte diretta che ispirò il canone 530 del Codice del 1917 e, a sua volta, da questi proviene la redazione dell’attuale canone 630 del Codice del 1983. E la letterarietà del Decreto Quemadmodum è fortissima: annulla, abroga e d’ora in avanti dichiara di nessun valore qualunque disposizione delle Costituzioni delle Pie Unión, degli (…) come di quelli maschili laici di qualunque tipo, anche se le menzionate Costituzioni avessero ricevuto l’approvazione della Sede Apostolica in qualsiasi forma, anche quella che si è soliti chiamare specialissima, su questo aspetto: cioè in quello che regolano, con qualsiasi nome o denominazione, la manifestazione intima della coscienza e del cuore. E così, per questa causa, ai Direttori o Direttrici di questo tipo di Istituti, di Congregazioni e Società, viene imposto seriamente il compito di sopprimere del tutto le mezionate disposizioni, ed eliminarle totalmente dalle proprie Costituzioni, Direttorî o Manuali. Ugualmente annulla e sopprime qualunque uso su questa materia e consuetudine anche se immemorabile (n.I).

            Però il Decreto è inoltre molto pratico, giacché aggiunge: ai menzionati Superiori e Superiore di qualunque grado o potestà, viene rigorosamente proibito che inducano i loro sudditi direttamente o indirettamente, per mezzo di precetto, consiglio, paura, minaccia o lusinga, a che facciano a loro stessi una manifestazione di coscienza di questo tipo. E, allo stesso tempo, si comanda ai sudditi che di fronte ai Superiori maggiori denuncino i Superiori minori che osassero indurli a tali condotte. E, se gli induttori fossero il Direttore o la Direttrice Generali, <si comanda allora> che facciano la denuncia davanti a questa Sagra Congregazione <di Vescovi> (n.II).

            Le prescrizioni dei numeri che seguono in questo Decreto sono tutte orientate ad assicurare che la norma pontificia sarà applicata effettivamente, senza diminuzione del suo rigore, poiché non si riconosce margine alcuno alla possibilità di desuetudo in materia così gravi.

 

15.       Com’è possibile allora che l’Opus Dei continui senza censure nonostante le sue pratiche? Semplicemente perché il suo Fondatore e i successori hanno avuto cura e si curano molto di nascondere la loro vera realtà interna alla Sede Apostolica e ai Vescovi. La prova e dimostrazione più recenti dei metodi praticati si trova nella precipitata elaborazione delle ultime Experiencias de los Consejos Locales, datata 2005, ma redatta nel 2006 e distribuite durante l’ultimo trimestre dell’anno. In ese sono stati soppressi tutti i paragrafi compromettenti del Vademécum del Gobierno Local dell’anno 2002 che mostravano chiaramente gli abusi che praticava e continua a praticare la Prelatura. Con una calcolata terminologia, a volte equivoca, sono state fatte redazioni nuove di paragrafi e sezioni per “camuffare” la realtà, in modo che non possa essere percepita come in verità è tramite i testi, e neppure essere oggetto di una censura esplicita.

            D’altra parte, purtroppo, mai si sono risparmiati i mezzi per squalificare con ingiustizia quanto hanno combattuto e combattono tali simulazioni. E di tutto questo c’è ampia documentazione nelle migliaia di scritti pubblicati in internet nella pagina opuslibros.org.

            Ma inoltre, a tutto questo si aggiunge un’abile ed efficace “politica ecclesiastica” orientata ad ottenere e a consolidare una formula canonica di approvazione — la famosa intenzione speciale del Fondatore — che garantisse la libertà d’azione di fronte a tutti, Vescovi ordinari compresi. A supporto di tale lavoro sono serviti, e continuano a servire, le schede personali su ognuno dei Vescovi nel mondo, elaborati sulla base delle visite che periodicamente si fanno loro o sulle informative ricevute da qualunque membro della Prelatura che entra in relazione con loro. È un autentico servizio di intelligence che nulla ha di invidiare alle più raffinate procedure della polizia segreta dei soviets o degli scomparsi regimi comunisti. Non agiscono così le Congregazioni della Curia Romana.

            In queste schede individuali, regolarmente aggionate dalle diverse Regioni, è registrato di tutto, persino i dettagli più minimi, anche i gusti personali e le stranezze particolari di ogni Vescovo. Ma, in tali schede, l’aspetto più eloquente sono i giudizi su ogni persona, valutando persino la loro “ortodossia” cattolica, poiché sono opinioni che poi si trasmettono in circoli chiusi in tutto il mundo. Tutto viene espresso secondo un linguaggio in chiave, parte delle cui espressioni sono raccolte nel segretissimo volume denominato Augustinus: è lì dove si precisa, per esempio, che il modo di riferirsi ai gerarchi in tali informazioni deve essere colega de Leo (collega di Leo); cioè un “collega” di “Leo(poldo Eijo y Garay) ”. La lettura di altri volumi, come il Vademécum del Gobierno Regional del 28 novembre del 2000, riservato a Delegazioni e Commissioni, provoca non solo vergogna e rossore, ma autentico scandalo, per l’immoralità dei comportamenti che sono promossi, del tutto contrari alla dottrina e alla prassi canonica della Chiesa.

            Pertanto, pensando alla “Prelatura personale”, sapevano e sanno quello che vogliono, sapevano e sanno quello che cercano, sapevano e sanno anche perché lo cercano. Garanzie per la secolarità del loro carisma? Oggi risulta difficile crederlo: piuttosto, garanzie di “indipendenza” nel seno della Chiesa in modo tale che nessuno possa mettere il naso nelle “loro consuetudini” dall’interno, chiedendo conto, né discutere la “divinizzazione” che di esse fanno per sottometere le coscienze. Da ciò il loro impegno nell’interpretare adesso la “Prelatura personale” concessa come analoga alle Chiese Particolari, ignorando le ultime modifiche apportate da Giovanni Paolo II su tale figura canonica con l’approvazione del Codex Iuris Canonici del 1983, e il loro interesse nel confondere teologicamente la natura dell’Opus Dei e della Chiesa attraverso la definizione della loro Prelatura como “struttura gerarchica”.

 

16.       Così quindi non è possibile dubitare della disciplina canonica universale né della volontà di salvaguardare i diritti più fondamentali dei fedeli rispetto alla loro libertà e alla loro giusta autonomia morale (cfr. Veritatis splendor, nn. 38-41). E, nonostante ciò, l’Opus Dei ha eluso il compimento di queste norme fin dal suo inizio: quando era vigente il canone 530 del Codice del 1917, adesso col vigente canone 630, e sempre di fronte alla permanente obbligatorietà sostanziale del Decreto Quemadmodum di Leone XIII.

            Nell’Opus Dei viene impedito ai fedeli di scegliere liberamente il proprio direttore o consigliere spirituale, poiché questi viene assegnato sempre dall’alto: il Direttore del Centro sui suoi sudditi immediati — proprio in ragione della sua carica di “Direttore” nel governo dell’istituzione — oppure chi da lui designato. La ragione addotta oggigiorno per seguire questa prassi, tanto contraria ai canoni, è quella di mantenere il “buono spirito” del Fondatore, che così aveva disposto. Secondo il n. 215 del Catecismo de la Obra, già citato, il loro buono spirito li muove a tenere la direzione spirituale personale col Direttore o con la Direttrice locale, e col sacerdote indicato per aver cura di ogni Centro. Cioè si invoca il “carisma fondazionale” come scusa per eludere un precetto canonico e una pratica ecclesiale di profonda ragionevolezza, giacchè trae radici dalle esigenze della stessa legge naturale.

            Il volume Experiencias sobre el modo de llevar charlas fraternas del 2001 giustifica la prassi in questo modo: I primi presero volontariamente — liberrimamente — l’abitudine di raccontare a nostro Padre tutte le loro cose, di aprirgli completamente la coscienza. Poi, quando la crescita del lavoro apostolico rese fisicamente impossibile che egli potesse ascoltarli personalmente, iniziarono ad aprire la loro anima al Direttore, con la stessa visione soprannaturale, con la stessa semplicità e confidenza con la quale parlavano al nostro Fondatore. E continua: Da allora tutti i fedeli dell’Opus Dei siamo consapevoli del fatto che il colloquio fraterno è un mezzo soprannaturale, voluto dal Signore per la nostra santificazione nel mondo: i Direttori sono strumenti di Dio, e contano sulle grazie convenienti per aiutarci; pertanto, vi ricorriamo sempre con disposizioni di completa sincerità, col desiderio che sia ogni volta più chiara, più piena, più intima la conoscenza che hanno della nostra lotta ascetica (pp.3-4).

            Alla luce di tutto ciò c’è l’obbligo di domandarsi: è possibile un “buono spirito” contrario a una proibizione severa della Chiesa? È autentico allora questo supposto aspetto del carisma? È responsabilità dell’autorità della Chiesa rispondere dovutamente a questa domanda, poiché il discernimento dei carismi e la loro regolamentazione è materia della sua esclusiva competenza: cfr. CIC canone 576. Inoltre, è proprio il riferimento al “carisma divino” quello che sempre troviamo alla base dei comportamenti canonici irregolari dell’Opus Dei e nell’opacità stessa dell’istituzione la quale, non senza coscienza di ciò che fa, sa che il suo governo sottomette e annulla le coscienze. Di fatto, a quanti esercitano la propria coscienza con autonomia, sacerdoti o laici, dapprima li si emargina eppoi, presto o tardi, li si forza all’uscita dalla Prelatura.

 

            5. UNA ROTTURA REALE DELLA COMUNIONE ECCLESIALE

 

17.       Con la scusa del carisma, le autorità dell’Opera hanno fatto sempre quello che hanno voluto, ingannando — così senza eufemismi — i loro e gli estranei. Hanno investito il Fondatore, ancora in vita, di un’aura tale di santità, profezia e ispirazione, da giustificare poi tutte le sue opere fuori dalla norma. Ciò che disse e prescrisse il Fondatore è considerato “parola di Dio”, senza possibilità di una discussione ragionevole. E per questo percorso di autentico “fondamentalismo”, di esaltazione fanatica della figura di Escrivà, operata col suo proprio consenso e da lui stesso alimentata, si è giunti alla suddetta confusione dei fori e all’imposizione di alcune direttrici di governo anomale, come se queste fossero volontà espressa di Dio.

            Suffragano tale errore le idee personali di José Maria Escrivá sull’autorità e il governo, che applicò all’Opus Dei e che sono molto diverse da quanto oggi possiamo leggere nella Costituzione Lumen gentium. Con una ecclesiologia antimodernista nella testa — tipica dei suoi tempi di seminarista — e una notevole chiusura ai progressi della migliore teologia del secolo XX, presentava l’autorità come qualcosa di indefettibile, divinizzata, e pertanto i suoi comandi come indiscutibili: l’Opera e la Chiesa erano societates perfectae alla stessa maniera delle monarchie sacralizzate. Da ciò il fatto che, essendo considerati la direzione spirituale personale — è l’istituzione colei che “dirige” — e tutti i mezzi di formazione come compiti propri del governo o del regime, i consigli in essa ricevuti vengono presi come provenienti dallo stesso Gesù Cristo.

            Per questa strada si finisce in una prassi nella quale la coscienza personale è sostituita dall’obbedienza di regime: un’obbedienza senza restrizioni, universale, che riguarda tutti gli atti e tutti i tipi di atti. Così, per esempio, il Vademécum del Gobierno Local del 2002 segnala: Si indicano di seguito alcuni di questi obblighi, al fine di che servano da traccia per mantenere sempre la coscienza molto chiara di che, al dono eccelso della vocazione all’Opera, si deve rispondere con una esigenza ugualmente grande, piena, che si applica a tutti gli aspetti della donazione: <1> il dovere di obbedire con finezza, senso soprannaturale e prontezza al Padre — e ai Direttori che lo rappresentano — , in tutto ciò che si riferisce alla vita interiore e all’apostolato; <2> la disponibilità, ognuno secondo il suo stato e le sue circostanze, per dedicarsi ai compiti apostolici dell’Opera (p.53). Nelle nuove Experiencias de los Consejos Locales del 2005 si è abbellita la redazione di questa prima sezione, così eloquente, scrivendo: <1> una delicata docilità, con senso soprannaturale e prontezza, al Prelato e a coloro che lo rappresentano, in tutto ciò che fa riferimento ai fini della Prelatura (la ricerca della santificazione personale e dell’apostolato) (p.48), considerandolo adesso non come “obbligo” ma come manifestazione del servizio a Dio e alle anime. Sono cambiate le parole, ma non lo “spirito” né la prassi (le consuetudini) dell’istituzione, che continua a comportarsi come sempre.

            Se si esaminano con attenzione i testi, nel contesto generale degli scritti interni, si percepiscono delle sfumature che in astratto possono sembrare sottilezze e, tuttavia, nella vita pratica acquistano un’ampia portata. Ma l’unica cosa certa è che non può chiedersi a nessun fedele una “obbedienza da regime” in ciò che si riferisce alla vita interiore, perché tutto nella vita ha dei rapporti con la “vita interiore”, e la “totalità” della sua vita non si trova — non si può trovare — sotto il regime del foro esterno: l’anima, la coscienza, appartiene soltanto a Dio, e ci sono ambiti privati nei quali solo Lui può entrare.

            Tuttavia, affrontando le “esigenze vocazionali”, la mentalità del Prelato e dei Direttori dell’Opus Dei di solito è molto diversa: partono dal presupposto che tutto, nella vita dei loro fedeli, è “di spirito”, tutto è regolamentabile, ogni loro condotta è suscettibile di “valutazione” per la definizione dello “spirito” e, pertanto, qualunque indicazione può essere esigita per obbedienza. Per avallare questo procedimento, si è soliti ripetere frasi attribuite al Fondatore: in Casa si può comandare tutto, oppure non abbiamo diritti, o più poeticamente, ho il diritto di non avere alcun diritto. Ma questa confusione di piani e di ambiti risulta pericolosissima, perché si presta ad ogni tipo di abuso sulle anime, ancor più se si realizzano “con buona volontà”, presentati come un bene e come segni della donazione a Dio. La persona mai deve essere totalmente sottomessa ad una istituzione, né alla sua struttura dirigente.

 

18.       E, tuttavia, quanto si è descritto è la formazione di base che riceve chi si avvicina all’Opus Dei e, con frequenza, in età precoci: è “addottrinamento” que in maniera assoluta non concorda con gli Statuti (numero 27 §3, 1°), poiché questi limitano la giurisdizione del Prelato ai fini peculiari della Prelatura. E invece, se ricapitoliamo quanto detto, ci troviamo con un’organizzazione che si antepone alle persone, sottraendo loro il proprio nucleo più intimo di autonomia e spogliandole di diritti inalienabili. La persona non conta, conta solo “la volontà di Dio” manifestata nei Direttori, che sembrano essere gli agenti diretti della santificazione dei fedeli.

            Il servizio alla verità è posposto agli interessi dell’istituzione perché questa, i suoi fini, le sue azioni, sono una “volontà esplicita di Dio”, e da lì il suo nome di Opus Dei. È così che arriviamo ad un’autorità che non riconosce barriere né diritti che la limitino nell’esercizio: un autentico sistema “totalitario”, molto gerarchizzato, nel quale il maggior peccato è la mancanza di unità, concretata in qualunque manifestazione di criterio proprio o di non sottomissione. La pratica obbligatoria delle “manifestazioni di coscienza” con i Direttori — come mezzo di direzione spirituale personale — è strumento efficacissimo per il controllo della “opinione interna”, e anche di quella esterna fin dove possibile.

            La presenza di sistemi “anticritica” assicurano la disciplina: per esempio, non possono commentarsi i mezzi di formazione, nessuno deve confessarsi né dirigere la sua anima con persone al di fuori dell’Opera, non si ammettono vocazioni fra coloro che siano appartenuti ad altre istituzioni, eccetera. L’ “isolamento” personale si ottiene con il ricondurre poi le espressioni di fraternità ad una “correzione fraterna” che consiste per prima cosa e innanzitutto in una delazione di fronte ai Direttori, anche se non la si chiama così. Ed infine, il risultato reale finisce per essere un controllo effettivo delle coscienze.

 

19.       Tutto questo dimostra che questa indefettibile istituzione, apparentemente “benedetta da Dio con tante vocazioni”, non ha una così buona dottrina come dice, poiché non accetta tutta la dottrina della Chiesa, né una buona parte del Concilio Vaticano II, né rispetta diritti di base dei fedeli, né il suo operare è in comunione piena con la Chiesa universale. E dopo tutto quanto esposto, una conclusione emerge chiara: oggi l’Opus Dei non è di fatto quello che dice di essere.

            Certamente si presenta come una istituzione di spiritualità secolare, un cammino di santificazione nel mezzo del mondo, di donazione senza togliere nessuno dal suo posto, come cristiani normali. E così si mostra di fronte a coloro che si avvicinano ai suoi apostolati. Tuttavia, una volta dentro, i fedeli sono lentamente caricati di obblighi e di forme di vita che poco o nulla hanno a che vedere col carisma riconosciuto dalla Chiesa: il fine della Prelatura è una formula vaga e astratta alla quale si ricorre sempre per eludere i diritti della persona. E, nello stesso tempo, si insiste presso i fedeli con l’argomento che, se abbondano questo cammino ecclesiale, corrono un serio pericolo di dannazione eterna.

            Non sono pochi coloro che a un certo punto si sentono ingannati giacché, cercando sinceramente di servire Dio e secondo uno spirito completamente secolare, vengono spinti poi ad un tipo di vita completamente diverso, e oltretutto in nome della volontà di Dio. A tutto ciò si agiunge l’ “inganno” di inculcare loro — come dovere morale grave — un’obbedienza che non ha limiti, carente di una cornice canonica chiara e stabile. Sia gli uomini che le donne, tutti, devono sopportare gravi abusi contro i loro diritti fondamentali, protetti dai canoni universali.

            Non rispettando una cornice giuridica stabile, le “norme interne” della Prelatura, mai approvate dalla Santa Sede, esigono anche dai membri molti obblighi non contemplati dagli Statuti, che vanno ampliando — “a capriccio” dei Direttori — il contenuto sostanziale e i modi della donazione: in molti casi non vanno direttamente contro il diritto canonico universale, ma significano comunque una “frode” in relazione all’ideale vocazionale inizialmente proposto e voluto dai fedeli.

            La costante emanazione di “norme” o criteri, mediante scritti interne o note, vanno cambiando continuamente il contenuto dell’ “impegno” secondo l’arbitrio dei Direttori. E questa serie di “obblighi”, presentati come concretizzazioni dirette della Volontà divina o come concrete manifestazioni della fedeltà a questo Volere, soffocano il cuore dei fedeli e finiscono per modificare la loro percezione della realtà. Ci sono troppe contraddizioni ed inganni nella pastorale dell’Opera: dalla formazione che si riceve, deliberatamente limitata, settoriale, unilaterale e perfino settaria, fino all’informazione sull’autentica realtà storica, vitale e giuridica della propria istituzione.

            Insomma, tutto questo è fatto da un’organizzazione che persuade se stessa di stare realizzando la volontà di Dio, in un’unione indiscussa e sicura con Lui, che imprime a tutti i suoi atti il sigillo della bontà e dell’ortodossia. In se stessa crede di avere la soluzione ai tremendi problemi della Chiesa, come pure crede di portare in sé la fedeltà all’autentica dottrina messa in forse da una generazione di teologi inquieti, non tenuti sufficientemente a bada da Pontefici blandi e disorientati. Essa omnia bene fecit, e, “più santa “ della stessa Chiesa, non ha necessità di chiedere perdono.

            L’Opus Dei ha bisogno di migliorare la rettitudine morale del suo operare e anche di trasparenza: un lavoro di chiarificazione storica sulla persona del Fondatore, sul suo carisma, e sull’applicazione pratica del suo diritto particolare conformemente al diritto universale della Chiesa. Finché tutto questo non si realizza, continuerà ad essere una istituzione senza comunione effettiva con la pastorale ecclesiale e con la sua gerarchia, persone che vanno per i fatti loro, come una specie di “cancro” che si propaga “dentro” la Chiesa, portando al suo interno un fermento di scandalo, di tensione o di divisione.

            Se il Divino maestro è venuto per dare testimonianza della verità (Io 18:37), non ha senso né futuro che un’istituzione della Chiesa viva giocando con la menzogna e installata nell’opacità. È male per questa istituzione ed è una bomba a orologeria per la Chiesa, già innescata. Qualunque società aspiri a crescere in beni reali deve essere capace di costante riforma, di purificazione, e questo non si ottiene senza una costante autocritica. Quello che distingue la fede autentica dai fanatismi umani è sempre l’impegno con la verità.

 

            6. IL NECESSARIO INTERVENTO DELLA SANTA SEDE

 

20.       Esiste in effetti tutta una “letteratura ufficiale” sul Fondatore e sulla storia dell’Opera che non può essere discussa e che, poco a poco, si va dimostrando falsa in molti aspetti. Non è questione adesso di addurre prove, che ci sono, quanto di avvertire che si è prodotto un autentico sequestro delle fonti storiche del Fondatore e dell’Opus Dei da parte dei suoi Direttori, con un controllo totale dell’informazione e persino della possibilità di produzione letteraria, poiché tale realizzazione esige l’autorizzazione esplicita dei Direttori.

            La maggior parte delle numerose ed estese Cartas fondazionali sono ritirate dall’uso e dalla circolazione interna. Le biografie “ufficiali” sul Fondatore e l’Opera contengono lacune scientificamente inaccettabili in aspetti molto controversi, quando non succede che apportano dati e interpretazioni che sono successivamente riscontrati falsi. In generale, né si promuove né si agevola un’investigazione storica libera e indipendente al servizio della verità. È tutto un mondo di mezze verità e di false apparenze: propaganda istituzionalmente promossa. Questi “inganni” alla Santa Sede e ai propri fedeli, giustificati dalla difesa del carisma, sono soliti avere la loro origine in una plasmazione poco coerente di tale carisma nella prassi e nel diritto dell’Opus Dei.

            Come già visto, la pastorale interna dell’Opera contiene errori moralmente gravi, che reclamano oggi una revisione a fondo, per poter essere portate alla piena comunione con la dottrina e la disciplina della Chiesa. E questo inizia con un dibattito interno ed esterno al servizio della verità, nel quale si sradichi il timore — che attualmente mostrano alcuni — a che negli scritti del Fondatore appaiano deficienze teologiche, canoniche ed antropologiche, quando non errori ed incongruenze.

            Non risulta ecclesialmente ammissibile che venga mantenuto ancora a lungo il “sequestro” esercitato sulle fonti storiche dell’istituzione, col proposito di proteggere ad ogni costo la sua immagine. Questa appropriazione degli scritti fondazionali da parte dei Direttori evidenzia la debolezza dei fondamenti dell’attuale prassi dell’Opus Dei: non si accetta la più piccola critica poiché, facendolo, facilmente crollerebbe l’insieme. Non riconoscendo né affrontando la sua profonda crisi, la Prelatura si mantiene in piedi per mezzo dell’indottrinamento fanatico e del controllo totalitario delle coscienze che, perpetrato nel nome di Dio e della Chiesa, sono accettati poi “senza testa”: cioè, con un’ingenua e ignorante fiducia, sostenuta dalla buona volontà di molti dei suoi fedeli.

            Non sembra che l’attuale Prelato e la sua squadra di collaboratori siano in condizione di portare avanti questo compito di autocritica, poiché sono loro la causa diretta della situazione attuale, e ci sono dati per affermare che agiscono così con piena coscienza. La discussione sui temi di fondo è sostituita dalle opportune “campagne di immagine” e di relazioni pubbliche. E così l’Opus Dei dedica attualmente enormi energie al mantenimento della sua immagine esteriore: per esempio, in Spagna — e solo in questa Regione — sono più di 50 le persone il cui incarico istituzionale (nonché l’unico impegno professionale) è la relazione con i mezzi di comunicazione, senza considerare il lavoro dei Direttori — che si assumono pure questi compiti — e i fedeli dell’Opera che professionalmente operano nei mass media.

            Ma un tema che non si può più rinviare è quello degli effetti di tutto ciò sulle persone. Non si possono permettere abusi come quelli qui illustrati, e meno ancora quando tali abusi sono praticati in nome di Dio. Tutto ciò non può essere grato allo Spirito Santo, che in effetti guida la Chiesa, ma solo quando si resta nella comunione con Cristo, che è comunione con la Chiesa. Per questo deve essere affrontata la questione: la realtà descritta è qualcosa di realmente approvato dalla Santa Sede come carisma dell’Opus Dei? La Prelatura personale è stata eretta per dare “copertura indipendente” a questi modi di fare al margine dei Vescovi e dei canoni universali?

            Non è difficile essere d’accordo nel rispondere negativamente. Ma è ugualmente vero che oggi molte persone dell’Opus Dei stanno operando il bene con rettitudine, e che la stessa organizzazione potrebbe dare dei magnifici frutti apostolici se non si frapponesse l’ostacolo delle attuali deviazioni che viziano profondamente la sua pastorale. Questa è una ragione sufficiente perché la Santa Sede intervenga e aiuti a rettificare quei modi di fare che si oppongono al dono di Dio. Ed è certo che tale intervento, se si producesse, dovrebbe essere pubblico e conosciuto, per evitare che si riesca a diluirla nella “coscienza sequestrata” di non pochi fedeli della Prelatura.

 

            7. APPENDICE. LA TRADUZIONE ITALIANA DEL DECRETO

            QUEMADMODUM DEL 17-XII-1890: ASS 23 (1890-1891) 505-508

 

DECRETO

mediante il quale si dettano alcune norme relative alla manifestazione intima della coscienza e del cuore ai Superiori stabilita nei monasteri femminili o maschili

 

            Come è condizione di tutte le cose umane che, per quanto siano in sé oneste e sante, gli uomini si servano di esse per finire in quanto è loro estraneo ed improprio e che questo si traduca in abusi, così succede con le leggi, saggiamente elaborate. E per questo, quando questo avviene, succede inoltre che non si raggiunge il fine cercato dal legislatore, e perfino a volte si va a finire nell’effetto contrario. È deprecabile al massimo che questo succeda in relazione alle leggi di molte Congregazioni, Società o Istituti di donne che emettono voti semplici o solenni, o nella professione degli uomini e persino nel governo dei laici. Dato che qualche volta la manifestazione di coscienza è stata permessa nelle loro Costituzioni, col fine di che i principianti apprendessero, nei loro dubbi, più facilmente l’arduo cammino della perfezione dai loro Superiori esperti, ora avviene invece che alcuni di questi hanno imposto questa investigazione intima della coscienza, che è riservata unicamente al sacramento della Penitenza.

            Allo stesso modo, in linea con i sacri Canoni, si è stabilito nelle Costituzioni che la Confessione sacramentale si facesse nelle comunità di questo tipo con i rispettivi Confessori ordinari e straordinari. E da ciò è nato che l’arbitrio dei Superiori arrivasse all’estremo di far loro negare ai sudditi qualche Confessore straordinario, anche quando questi lo necessitavano grandemente per consigliare la loro propria coscienza. Ed in ultimo si è introdotta come norma di discrezione e prudenza che costoro dirigessero i loro sudditi secondo la regola e rettamente sulle penitenze particolari e le opere di pietà. Ma anche tale norma si è estesa per abuso fino all’estremo di che fossero loro quelli che permettevano di accedere alla Sacra Comunione a loro piacimento, o che la proibissero a volte del tutto.

            Da ciò è risultato che [506] questo tipo di disposizioni, che nel loro momento furono stabilite con sapienza e al fine di promuovere salutaremente il profitto spirituale dei principianti e la salvaguardia della pace e della concordia dell’unità nelle Comunità, non raramente finissero per trasformarsi in causa di discriminazione delle anime, di angustia nelle coscienze e perfino di turbamento della pace esterna, come evidentissimamente dimostrano i ricorsi ed i reclami interposti in altri tempi davanti alla Santa Sede.

            Per la qual cosa il Nostro Santissimo Signore Leone per divina provvidenza Papa XIII, con attenzione a quello che conviene a questa amatissima parte del suo gregge, nell’Udienza celebrata il giorno 14 di dicembre del 1890 per sbrigare consulte e affari con me, il Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, dopo aver esaminato tutto ciò con somma cura e diligenza, con particolare sollecitudine decise, ordinò e decretò quanto segue.

            I. Sua Santità annulla, abroga e d’ora in avanti dichiara di nessun valore qualunque disposizione delle Costituzioni delle Pie Unioni, degli Istituti femminili sia di voti semplici che di voti solenni, come di quelli maschili laici di qualunque tipo, anche se le menzionate Costituzioni avessero ricevuto l’approvazione della Sede Apostolica in qualsiasi forma, anche quella che si è soliti chiamare specialissima, su questo aspetto: cioè in quello che regolano, con qualsiasi nome o denominazione, la manifestazione intima della coscienza e del cuore. E così, per questa causa, ai Direttori o Direttrici di questo tipo di Istituti, di Congregazioni e Società, viene imposto seriamente il compito di sopprimere del tutto le mezionate disposizioni, ed eliminarle totalmente dalle proprie Costituzioni, Direttorî o Manuali. Ugualmente annulla e sopprime qualunque uso su questa materia e consuetudine anche se immemorabile.

            II. Ancor più: ai menzionati Superiori e Superiore di qualunque grado o potestà, viene rigorosamente proibito che inducano i loro sudditi direttamente o indirettamente, per mezzo di precetto, consiglio, paura, minaccia o lusinga, [507] a che facciano a loro stessi una manifestazione di coscienza di questo tipo. E, allo stesso tempo, si comanda ai sudditi che di fronte ai Superiori maggiori denuncino i Superiori minori che osassero indurli a tali condotte. E, se gli induttori fossero il Direttore o la Direttrice Generali, <si comanda allora> che facciano la denuncia davanti a questa Sagra Congregazione.

            III. Quanto detto però in nessun modo impedisce che i sudditi possano liberamente e spontaneamente aprire la loro anima ai Superiori al fine di ricevere dalla loro prudenza la direzione e il consiglio, nei loro dubbi ed ansietà, per acquisire virtù e avanzare nel cammino della perfezione.

            IV. Inoltre, fermo restando — in relazione con i Confessori ordinari e straordinari delle Comunità — ciò che il Sacro Concilio di Trento prescrisse nella sua Sessione 25 capitolo 10 “de Regolaribus” e quanto il grande Maestro Benedetto XIV stabilì nella Costituzione Pastoralis curae, Sua Santità ammonisce i Prelati e i Superiori affinché non neghino ai loro sudditi il Confessore straordinario quante volte essi lo reclamino per consigliare la loro coscienza, ed in modo tale che questi Superiori in nessun modo indaghino la ragione della richiesta, né che spieghino loro il perché coloro che la fanno. E, al fine di che una tanto prudente disposizione non resti frustrata, esorta gli Ordinari a che designino sacerdoti idonei provvisti di licenze nei luoghi delle loro Diocesi dove esistano Comunità di donne, ai quale queste possano facilmente far ricorso per ricevere il Sacramento della Penitenza.

            V. Per quanto si riferisce all’autorizzazione o alla proibizione di ricevere la Sacra Comunione, Sua Santità decide su di questa che i permessi o le proibizioni di questo tipo siano di sola competenza del Confessore ordinario e straordinario, perché così i Superiori non abbiano autorità alcuna di mischiarsi in tali decisioni, eccetto che nel caso che qualcuno dei loro sudditi abbia scandalizzato la Comunità dopo l’ultima Confessione Sacramentale, o abbia commesso una grave mancanza esterna, fino a quando non abbiano ricevuto di nuovo il Sacramento della Penitenza.

            VI. Per tutto ciò si esortano tutti [508] ad aver cura nel prepararsi diligentemente a ricevere la Sacra Comunione e a riceverla nei giorni determinate dalle proprie regole. E quelle volte che il Confessore riterrà che per il progresso di qualcuno sarebbe conveniente che si ricevesse con maggior frequenza, a causa del fervore spirituale, il Confessore stesso potrà dare il permesso per ciò. Certamente, chi ottenesse licenza del Confessore per comunicare con maggiore frequenza, persino per la Comunione quotidiana, avrà obbligo di comunicare questo al Superiore in modo tale che a questi ciò consti con totale certezza. E, se costui pensasse che esistono cause gravi e giuste contro questa frequenza di Comunioni, avrà l’obbligo di comunicarlo al Confessore, al cui giudizio definitivo si dovrà attenere definitivamente.

            VII. E, ancor più, su queste cose Sua Santità comanda a tutti e ognuno dei Superiori Generali, Provinciali e Locali degli Istituti ai quali si è fatto riferimento, sia di uomini che di donne, che compiano scrupolosamente e con cura le disposizioni di questo Decreto, sotto minaccia di incorrere ipso facto nelle pene previste contro i Superiori che violano i Comandamenti della Sede Apostolica.

            Infine comanda che esemplari di questo Decreto tradotti in lingua vernacola siano inseriti nelle Costituzioni di dette pie Istituzioni, e almeno una volta l’anno, nel tempo stabilito in ogni casa, si leggano a voce alta e intelligibile nel refettorio pubblico oppure in un Capitolo specialmente convocato a tal fine.

            E così ordinò e decretò Sua Santità, senza che nessuna causa di nessun genere possa obstare in contrario, anche se dovesse essere stata menzionata in modo singolare e speciale.

            Dato in Roma il giorno 17 di dicembre del 1980, dalla Segreteria della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. I. Cardinal VERGA - Prefetto. FR. LUIGI Vescovo di Callinicum dei Maroniti - Segretario

 

 

 

 

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