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OPUS DEI: ¿un CAMINO a ninguna parte?

Ricostruzione
Indice
Prologo
1. Presagi
2. Numeraria
3. Maturita' e liberta' interiore
4. Crisi di vocazione
5. Rinascita
6. Ricominciare: primo tentativo
7. Ricostruzione
FIN DEL LIBRO
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RICOSTRUZIONE
(18 anni nell'Opus Dei)

Autore: Aquilina

MATURITA' E LIBERTA' INTERIORE

In quegli anni imparai a meditare e a pregare, e un giorno bellissimo e indimenticabile, da quegli incerti tentativi, nacque qualcosa di completamente nuovo, anche se, probabilmente, non del tutto soprannaturale: ero sulla riva di un lago, circondata da un paesaggio estremamente sereno e dolce; riuscii a immaginarmi un paesaggio lacustre simile di duemila anni prima, a vedere, quasi, il Maestro circondato dai suoi amici, che parlava della sua dottrina e portava avanti l'opera della redenzione. Da quella volta imparai a far lavorare la mia fantasia sul vangelo, a tradurre in racconti, suggestivi per le orecchie giovani che mi ascoltavano, la dottrina cristiana che volevo esporre, a rendere estremamente plausibili e affascinanti le severe esigenze morali che volevo trasmettere a chi mi ascoltava, in attesa di poter chiedere ancora di più proponendo la sequela di Cristo nella donazione totale nell' Opus Dei.

Credo che riuscissi ad essere tanto convincente proprio per il fatto che non sarei riuscita a proporre qualcosa in cui non credevo sul serio, e quindi, di fronte ad esigenze spropositate e ingiustificabili, che altri dotati di maggior buon senso di me si sarebbero buttati allegramente dietro le spalle, ero capace di una sforzo di razionalizzazione che risultava irresistibile per molte.

La forte propensione al razionalismo cristiano, a far leva sull'apologetica e sulla dialettica teologica che esistono nell'Opus Dei aveva accentuato la mia tendenza a valorizzare la mia dimensione intellettuale a sfavore di un'affettività sempre più repressa e immatura, che ha continuato poi a lungo a crearmi grossi problemi. L'apostolato di amicizia e confidenza era diventato per me una vera specialità, dato che, libera ormai dalle pastoie paterne e giustificata dalla maggior gloria di Dio, potevo, anzi dovevo, cercare di coltivare più amicizie possibili, naturalmente solo femminili, per avvicinare tramite la mia amicizia il maggior numero di persone a Dio. Insomma, l'Opus Dei risultava proprio tagliata a misura delle mie nevrosi ed infatti ebbi un discreto successo: mi diedero incarichi sempre più importanti e arrivai giovanissima a ricoprire responsabilità di governo a livello nazionale. Nell'80, a venticinque anni appena compiuti, subito dopo la laurea a pieni voti in Filosofia, mi diedero l'incarico di responsabile nazionale per le attività di apostolato con i giovani.

Io avevo un modo tutto mio di intendere l'onestà: da mio padre ero stata educata all'obbedienza, a lui e alla morale cattolica che mi aveva inculcato, come ad una delle maggiori virtù cristiane, e soprattutto (e non è proprio la stessa cosa) a vedere nella disobbedienza la radice di ogni disordine e l'impossibilità di costruire qualcosa di buono nella società. Per quello che riguardava l'obbedienza a lui, avevo imparato a far la tara con disinvoltura in nome di un bene maggiore, ma questo solo a patto che continuassi ad obbedire a qualche altra entità superiore, pena la prova, di fronte al mio Io sempre più esigente, della mia mala fede. Su tali criteri si è basata per anni tutta la mia vita morale. L'Opus Dei accentuò questa mia impostazione, enfatizzando smisuratamente, nella formazione che dava a me come a tutte le altre persone dell'associazione, l'importanza dottrinale e ascetica dell'obbedienza, della sottomissione totalmente acritica al magistero ecclesiastico (correttamente interpretato -quest'ultimo, solo dal Padre e dai direttori che diffondevano le indicazioni date dal Padre e facendo quasi esclusivamente riferimento alla dottrina tridentina), l'importanza di immedesimarsi con il buono spirito inteso come una gerarchia di valori, un insieme di norme e di reazioni alle situazioni che finivano per diventare quasi istintive, di affetti coltivati in modo esclusivo.

Nell'Opus Dei si parla molto della libertà di cui godono i membri dell'associazione. Effettivamente io debbo riconoscere che non ho mai ricevuto indicazione esplicite riguardo al partito politico a cui dare il mio voto, e la facoltà universitaria che mi attraeva incontrava la piena approvazione delle Direttrici. Per quello che riguarda il lavoro professionale, non ne ho mai esercitato uno esterno durante gli anni in cui sono stata numeraria, ma io stessa, come direttrice, ho sempre evitato di dare indicazioni esplicite riguardanti aspetti pratici o organizzativi. Questo però non significa che io sia stata veramente libera sotto nessuno di questi aspetti, né negli altri ambiti, perché i mezzi che si usano nell'Opera per controllare le scelte e i comportamenti dei soci e dei simpatizzanti sono altri: il buono spirito, appunto. Il buono spirito è una specie di legge non scritta, che viene coltivata nell'intimo di ognuno tramite la formazione impartita incessantemente dall'Opera. Viene coltivata lentamente, in modo serrato, in mille piccoli modi che si stratificano all'interno della persona arrivando a formare così una specie di seconda natura e di seconda coscienza. Viene coltivata con metodi che si potrebbero definire, scherzosamente ma non troppo, pavloviani: con innumerevoli, minuscoli rinforzi dei comportamenti coerenti al buono spirito e con altrettanto innumerevoli, minuscoli (o non tanto minuscoli) scoraggiamenti e sanzioni dei comportamenti non coerenti. In questo modo non c'è bisogno di metterlo per iscritto per tramandarlo, ed infatti i mille criteri e comportamenti di buono spirito, nella loro maggior parte, non sono scritti su documenti ufficiali dell'Opera, ma la loro esistenza e affidata ad una specie di tradizione orale: sono esempi buttai là nelle lezioni di formazione, sono atti praticati dalle persone più inserite nel sistema e che vengono proposte da esempio alle altre, c'è tutta una aneddotica di ricordi, di comportamenti del fondatore o dei più antichi che viene utilizzata dando per sottinteso che quei comportamenti, quegli orientamenti mentali, quei criteri e quei giudizi sono quelli di buono spirito, quelli che rendono soddisfatto il Padre dei suoi figli, quelli che rendono feconda l'Opera e i suoi apostolati, quelli che portano alla santità la persona che li pratica.

Prassi di questo tipo, probabilmente, si possono trovare in molte altre organizzazioni, della Chiesa e non. Quello che le rende criticabili è l'esagerata intolleranza, il più delle volte silenziosa e implicita ma drastica, che porta nell'Opus Dei all'inesorabile emarginazione di chiunque si allontani dai criteri del buono spirito, e questo in un'organizzazione che fa della libertà e del pluralismo nei comportamenti umani la propria bandiera, come se fosse la prima ad averli scoperti e praticati nella storia della Chiesa.

In questo modo, nell'Opera, si diventa guardiani e custodi della propria prigione. Le singole persone, se hanno buono spirito, esercitano su se stesse una sorveglianza strettissima, sono censori spietati delle proprie mancanze e diventano delatori di se stessi davanti al tribunale della direzione spirituale col proprio direttore laico.

Tali direttori, poi, sono per lo più persone che meglio incarnano i criteri del buono spirito, operandosi così una specie di selezione in-naturale che fa crescere e prosperare la tipologia di numeraria che il buono spirito esalta: una persona che non si fa mai domande rispetto all'Opera; che rintuzza ogni dubbio come una tentazione; che respinge come un'infedeltà ogni impulso a considerare le singole persone più importanti della fedeltà allo spirito dell'Opera.

Questi comportamenti sono anche molto lontani dalla virtù della sincerità. Ogni virtù -cristiana o anche solo umana- per essere veramente tale deve essere basata sulla libertà, non solo sulla libertà da condizionamenti esterni ma anche e soprattutto sulla propria libertà interiore. Nell'Opus Dei, se si ha buono spirito, non è così. Non si può fare a meno di riportare al proprio direttore, alla propria direttrice, nel colloquio settimanale di direzione spirituale, ogni più piccolo pensiero che possa spuntare anche solo per distrazione nella propria mente contro la fede, o la purezza, o la vocazione, o una critica o un'insofferenza verso ciò che fanno o dicono i direttori o il Prelato.

Non è possibile nessuna mediazione del buon senso in questo, i criteri dati sono fin troppo chiari. Quando qualche volta ho provato a gestirmi in maniera più autonoma la mia coscienza, non ho mai resistito a lungo al rimorso che nasceva da un comportamento così disinvolto, e dovevo alla fine rivolgermi, in maniera compulsiva, e quella che veniva chiamata la madre buona, l'Opera per ritrovare una specie di momentanea serenità e pace interiore.

 

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