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OPUS DEI: ¿un CAMINO a ninguna parte?

Ricostruzione
Indice
Prologo
1. Presagi
2. Numeraria
3. Maturita' e liberta' interiore
4. Crisi di vocazione
5. Rinascita
6. Ricominciare: primo tentativo
7. Ricostruzione
FIN DEL LIBRO
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RICOSTRUZIONE
(18 anni nell'Opus Dei)

Autore: Aquilina

RICOSTRUZIONE

Tornai, con la consapevolezza di avere ancora bisogno di aiuto, ma prendendo stavolta una decisione in maniera completamente autonoma, a fare una psicoterapia. La persona a cui mi rivolsi non apparteneva stavolta all'ambiente dell'Opera, anzi ne era esattamente agli antipodi.

E' stato un lavoro lungo, pieno di momenti belli ma anche di altri dolorosi e difficili. La tentazione di scappare è stata, in alcuni momenti, molto forte. Mi è stato di grande aiuto, in tutti quegli anni, il proposito che mi era maturato dentro e che mi ero scritta per non perderlo di vista e per mantenermici fedele: "…voglio imparare a trovare il centro all'interno di me stessa. Voglio arrivare -pur sapendo perfettamente di avere bisogno degli altri- a riuscire a fare in modo che nessuno sia proprio indispensabile, in quella maniera che mi prende tanto spesso di sentire l'impulso invincibile, quasi coatto, e irragionevole, di trovare due orecchie fidate capaci e pronte ad ascoltare quello che mi angoscia, o mi deprime in quel momento, salvo poi soffrire molto peggio per non sentirmi adeguatamente compresa e consolata. Forse ho imparato ancora poche cose della vita, ma quelle poche me le voglio tenere ben strette. Innanzitutto, che ognuno di noi è un santuario, che nessuno se non Dio -nemmeno lo stesso interessato a volte- può sapere cosa ci sia veramente nella testa e nel cuore di un altro, e che perciò nessuno può sapere al mio posto cosa sia bene o male per me. Può aiutarmi a scoprirlo, ma non può scoprirlo o capirlo al posto mio, né tanto meno impormelo".

Il lavoro fatto con la psicoterapia è stato fondamentale. Ognuno di noi si porta dentro dei punti deboli, più o meno accentuati. La differenza sta nell'imparare a gestirli, perché eliminarli del tutto non si può. Ho imparato, a poco a poco, a distinguere le cose fattibili da quelle irrealizzabili, ad impegnarmi nelle prime senza sentirmi frustrata dalle altre; ho imparato a non manipolare gli altri, trattandoli in modo tale da potermi aspettare, in cambio, la gratitudine o la considerazione che non sempre arrivavano. Parlandone, imparando le parole per raccontarli, ho affrontato tanti momenti brutti del mio passato che continuavano a rovinarmi il presente, perché non li avevo capiti e smontati fino a renderli inoffensivi. La lezione più importante forse, è stata quella che essere adulto significa rendersi responsabile del soddisfacimento dei propri bisogni, non delegandolo ad altri ma sentendocene responsabili in prima persona. Essere adulti è imparare ad essere genitori di se stessi: esigerci, consolarci, gratificarci, coccolarci. Imparare a volersi bene e a starci simpatici.

Pian piano, cominciai a sentirmi molto meglio e persino a rifiorire come donna: il mio fisico, che fino ad allora aveva conservato le caratteristiche di una specie di acerba adolescenza, cominciò ad ammorbidirsi e ad arrotondarsi, ed io, dentro, mi ci sentivo più comoda e a mio agio.

Cambiai lavoro, e i miei nuovi colleghi, che non mi avevano conosciuto prima per la persona rigida e innaturale che ero, cominciavano a corteggiarmi e a provare interesse per me. Non era una stupida civetteria fine a se stessa, la mia. Era piuttosto il risveglio di una spontaneità mai vissuta in una persona che aveva smesso di essere bambina senza mai essere adolescente, che era passata dalla tutela opprimente dei genitori a quella più oppressiva di un'istituzione senza aver avuto il tempo di vivere le esperienze ovvie, un po' sciocche, ma fondamentali, di tutti gli adolescenti.

Con la separazione da mio marito, mi ero messa dalla parte di coloro che avevo sempre considerato sbagliati, falliti. Ero però arrivata a questo passo dopo lunghe e serie riflessioni, e tutti i ragionamenti che facevo mi portavano a concludere che questa soluzione rappresentava, almeno nel mio caso, il minore dei mali. Questa situazione, paradossalmente, mi ha portato rapidamente ad entrare in un altro rapporto con Dio. In questo sono stata anche aiutata dall'esperienza della maternità. Ormai sapevo per esperienza diretta cosa significhi avere un figlio, e quanto possano diventare imbecilli, di fronte a questa esperienza, le categorie meschine in cui rinchiudiamo l'amore di Dio verso di noi. La ragazzina scrupolosa ed ossessiva aveva saltato il fossato e aveva così scoperto che l'amore di Dio è un'altra cosa.

Da quell'esperienza, in qualche modo la mia mentalità è cambiata radicalmente. Aver imparato a volermi più bene mi ha fatto diventare più serena e tollerante con gli altri. Poco a poco ho capito che il precetto evangelico "ama il prossimo tuo come te stesso" non voglia dire che la misura minima dell'amore che dobbiamo portare agli altri deve essere il massimo dell'amore che abbiamo per noi stessi, ma che se non impariamo prima ad amare noi stessi, allora l'amore che pretendiamo di avere per gli altri non è altro che il paludamento di nevrosi e frustrazioni. Pian piano ho imparato a parlare di meno e con più calma, e a cercare meno fuori di me e più dentro di me il centro del mio equilibrio e delle mia serenità. E' rimasto qualche -sempre più raro- momento di depressione, che nonostante la mia vita fondamentalmente serena mi assale nei momenti più impensati. Io mi sento guarita dalla depressione vera e propria, e per dirla proprio tutta mi secca di essere affetta da questo strano disturbo che mi sembra abbia tanto poco a che fare con una persona entusiasta e ottimista come sono io nei miei momenti migliori, ma cerco di accettarla come una cicatrice lasciatami dalla mia vita passata. In realtà la depressione mi ha impartito lezioni importanti di compassione, di tolleranza, di non giudicare chi sembra più debole, di saper ascoltare senza voler per forza dare soluzioni.

Ho una figlia sana e serena, che sto cercando di aiutare a crescere senza remore e capace di andare al nocciolo delle questioni. Il rapporto con mio marito, passati i primi momenti burrascosi subito dopo la separazione, sta trovando serenità attorno all'obiettivo comune di rendere la nostra realtà il meno dolorosa possibile per nostra figlia. Lui lavora all'estero, e quando viene in Italia sappiamo stare insieme per dare a nostra figlia la possibilità di non dover scegliere tra i suoi due genitori. E, in definitiva, abbiamo trovato un modus vivendi abbastanza accettabile. Certo, spesso mi sento molto sola. Sono andata a vivere con mia madre subito dopo la separazione che ha coinciso con la morte di mio padre. Ho un supporto e degli affetti nella mia famiglia, e vedo mia figlia crescere in un contesto quasi normale, però sento la mancanza accanto a me di una presenza maschile con cui condividere preoccupazioni e soddisfazioni. Ma per ora va bene così.

So di avere una storia atipica e di essere stata, per un certo verso, un po' stupida. Conosco persone che, pur dentro l'Opera, hanno conservato la loro lucidità di giudizio e che se ne sono andate rendendosi conto dell'ingiustizia delle cose che succedevano là dentro. Io ci ho messo molto tempo a riacquistare il mio giudizio. Mi sono lasciata fare, collaborando attivamente, il lavaggio del cervello, ho perso, forse colpevolmente, la mia capacità di giudicare in maniera autonoma secondo coscienza. Ho fatto e lasciato fare su di me cose che adesso mi fanno spavento. Il mio corpo e la mia psiche hanno reagito prima di quanto non ci siano arrivate la mia intelligenza e la rettitudine della mia coscienza. Mi giudicano e mi giudico una persona intelligente, eppure gran parte della mia vita è stata una grande stupidaggine.

Ora, quando penso alla mia storia, mi vedo come una navicella spaziale che viaggia all'inizio lentamente per vincere la forza di gravità, ma che poi, raggiunta una soglia critica, comincia ad accelerare e a viaggiare sempre più veloce. Quando lottavo, dentro e fuori di me, per recuperare la mia libertà, persone autorevoli all'interno dell'Opus Dei mi avevano predetto che avrei rimpianto amaramente la decisione che stavo prendendo, che non avrei mai più ritrovato la pace con me stessa e con Dio, che non avrei mai più avuto serenità. Dopo più di dieci anni, senza nessun dovere di coerenza con idee preconcette, posso invece tirare le somme, e con un gran senso di appagamento e una serenità che somigliano da vicino alla felicità, constatare che la mia vita non è mai stata così equilibrata e a contatto con la realtà come lo è oggi.

Aquilina
Roma, 3 settembre 1999

 

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